In Italia sta iniziando un nuovo anno scolastico. Si tratta di un momento particolarmente importante per molti bambini, giovani ed adolescenti. Nei giorni scorsi abbiamo preso parte, grazie a Fondazione Soldano, allo spettacolo di Alessandro D'Avenia sul tema della scuola e, di conseguenza, della vita. Oggi abbiamo chiesto ad un importante esperto di psicologia del comportamento di offrirci una riflessione sul tema del bullismo. Tematiche che riguarda molto i giovani, soprattuto nelle scuole, ma non solo. Si tratta di un atteggiamento che viene utilizzato anche a danno degli adulti e nelle nostre strutture.
Sono sempre di più, purtroppo, gli episodi di cronaca che ci parlano di bullismo. Lesioni, soprusi, umiliazioni, minacce, ragazzini presi a calci, professori aggrediti, picchiati, ecc...
Perchè accade tutto questo? Che cosa è il bullismo?
La comunità scientifica è concorde nell’identificare il bullismo come una qualsiasi forma di comportamento offensivo e/o aggressivo messo in atto da un singolo o da un gruppo, ripetutamente e intenzionalmente a danno di uno o più individui con lo scopo di esercitare potere o controllo appunto sulla vittima (Olweus, 1996).
Il comportamento agito deve essere intenzionale e non casuale, programmato in modo sistematico e ripetuto e attivare un’asimmetria o disequilibrio di potere tra il bullo e la vittima.
E’ bene non dimenticare che nel comportamento disfunzionale oltre a chi compie l’atto violento, il bullo, e a chi lo subisce, la vittima, sono coinvolti anche altri attori.
Tra questi troviamo i gregari, gli aiutanti del bullo, i sostenitori ovvero chi non agisce direttamente ma sostiene i prepotenti con incitamenti e azioni indirette sulla vittima, gli spettatori neutrali, vale a dire coloro che osservano senza intervenire, i difensori della vittima e il leader che può essere il prevaricatore stesso, un suo aiutante oppure una figura determinante nell’andamento della prepotenza, considerando il suo carisma e autorità nel gruppo.
Questo fenomeno si verifica in modo particolare nella scuola ma accade anche in oratorio, nelle squadre sportive e in diversi ambienti che frequentiamo ogni giorno. Si inseriscono, infatti, in dinamiche relazionali tra giovani come forma disfunzionale di comportamento sociale.
Seppur questa sia la forma di bullismo più nota, recentemente e purtroppo sempre più frequentemente, si sono verificate forme di violenza agita su figure autorevoli come insegnanti, sacerdoti, educatori e in generale coloro che dovrebbero esercitare una leadership positiva sul giovane, ma anche su fratelli e coetanei. I contesti di azione si allargano quindi oltre le strutture educative, intaccando la sfera famigliare, lavorativa (mobbing) e il web (cyberbullismo).
Le manifestazioni possono essere differenti e più o meno identificabili poiché coinvolgono vessazioni dirette fisiche (pugni, calci, schiaffi, spintoni…) e verbali (ingiurie, ricatti, intimidazioni, vessazioni…) ma anche indirette, quelle che colpiscono la sfera intima e psicologica della vittima.
Il bullismo psicologico
Parliamo di bullismo psicologico quando questo diviene una forma sottile e celata di prevaricazione e violenza che spesso non viene identificata, se non, purtroppo, per conseguenze estreme.
La sua natura lo rende estremamente pericoloso e porta la vittima ad una sofferenza e sottomissione psicologia tale da non renderla capace di denunciare gli atti subiti, ancor di più che nel caso di violenza fisica.
Come si comporta un “bullo psicologico”? Come sceglie la sua vittima?
Diffonde pettegolezzi e cattiverie, lavora per distruggere i legami amicali attraverso la divulgazione di falsità e offese che colpiscono la sfera più intima della vittima, attaccano la famiglia o aspetti di fragilità personali come una disabilità, difetti fisici o cognitivi o altre limitazioni.
Viene colpita ripetutamente l’immagine della persona, che spesso vive un grande senso di colpa e arriva a percepirsi come estremamente sbagliata, fino a giustificare gli atti subiti, attribuendoli ad aspetti non adatti del proprio sé.
Le conseguenze del bullismo psicologico sono molteplici e davvero gravi.
Dalla perdita dell’autostima, della fiducia negli altri, ripercussioni sui legami di amicizia, isolamento sociale e allontanamento dal gruppo dei pari, fino a disagi più complessi.
La vittima ha un vero e proprio terrore di andare a scuola o frequentare luoghi diversi dal contesto famigliare, può iniziare a manifestare ansia e attacchi di panico, cali dell’umore o veri e propri episodi di depressione, disturbi dell’alimentazione fino a raggiungere casi di anoressia e bulimia.
Se non ben identificata la sofferenza può condurre la fragile vittima a desiderare di non esistere più e arrivare a decidere di porre fine alle vessazioni attraverso il suicidio. Come sacerdoti ed educatori abbiamo il dovere di tenere d'occhio queste situazioni, coglierle e, non solo condannarle ma agire a tutela dei più fragili.
Come agire?
Il passo più importante che una vittima deve fare è trovare il coraggio per rompere il silenzio e raccontare quanto sta vivendo. Impresa purtroppo ardua perché contrastata da vergogna, senso di colpa e paura di ulteriore violenza. Per quanto riguarda noi educatori dobbiamo sempre tenere uno sguardo vigile, mostrarci come figure di cui le persone (giovani o grandi) possono fidarsi e quindi a cui possono confidare ciò che stanno vivendo. L'errore da non compiere è quello di sminuire o giustificare. Non dimentichiamo che questi sono peccati: sia chi bullizza, sia chi omette di aiutare e intervenire. Cogliere i segnali di sofferenza: chiusura sociale, tristezza, problematiche scolastiche, perdita di interessi, difficoltà alimentari, sonno difficoltoso, rifiuto di parlare, dimagrimento improvviso (o viceversa), rifiuto nel condividere esperienze e un cambio improvviso nel modo di essere, possono essere importanti campanelli di allarme.
I genitori devono accogliere i disagi dei figli, senza giudicare, anche quando non riescono ancora a parlarne. È fondamentale che i ragazzi vivano l’ambiente famigliare come un luogo sicuro per sentirsi liberi di esprimere se stessi e riuscire a dare e ricevere fiducia. È importante aiutare l’adolescente a costruire amicizie costruttive e positive monitorando l’utilizzo dei social e del cellulare e a lavorare sulla sua autostima, sulle proprie capacità e sull’affermazione del sé al fine di ridurre gli effetti dei soprusi.
A scuola o in oratorio è necessario intervenire sul gruppo al fine di incrementare i comportamenti pro-sociali, far comprendere che non esiste un modo di essere corretto ma tanti modi diversi, ognuno con le proprie caratteristiche. Il sostegno psicologico può essere un grande aiuto per imparare a non essere vittima delle prepotenze, aquisire maggiore consapevolezza di se stessi e sviluppare adeguate abilità relazionali.
Il primo modo per difendersi dal bullismo psicologico è comprendere che la violenza non è accettabile a prescindere, sotto qualsiasi forma appaia, che non si è sbagliati ma solamente diversi dagli altri, che le caratteristiche personali ci rendono unici e speciali e che ognuno di noi merita il rispetto, ha il dovere di affermare i propri diritti ed è libero di esprimersi.
Da ultimo una provocazione: siamo sicuri che il bullo si senta forte e sicuro di sé?
Vittima e oppressore hanno bisogni cosi diversi? Non si nasconde, forse, dietro a queste azioni una personalità fragile che necessita, allo stesso modo, di un lavoro mirato su se stesso e sulla propria affermazione sociale e relazionale?