Città del Vaticano – Una Piazza San Pietro gremita ha accolto questa mattina la catechesi del Santo Padre Leone XIV, che ha proseguito la sua riflessione sulle guarigioni operate da Gesù, presentandole come segni concreti di speranza e strumenti di rinascita spirituale.
«In Lui c’è una forza che anche noi possiamo sperimentare – ha detto il Pontefice – quando entriamo in relazione con la sua Persona». Un’energia che, ha spiegato, può toccare anche le ferite più profonde del nostro tempo, come quella che ha definito “la fatica di vivere”, una malattia silenziosa che affligge molti e spinge alla rassegnazione, all’isolamento, alla fuga dalla realtà.
Due donne, una sola fede
Al centro della meditazione odierna, Leone XIV ha posto il racconto evangelico di Marco (5,21-43), che intreccia due storie femminili: una bambina morente e una donna malata da dodici anni. In entrambe, ha osservato il Papa, si manifesta la forza della fede, ma anche il coraggio di non arrendersi.
Il Papa ha ritratteggiato la toccante la figura dell'emorroissa, che osa infrangere il silenzio e il giudizio sociale per avvicinarsi a Gesù e toccarne il mantello. «Tutti continuavano a dirle di rimanere a distanza… L’avevano condannata a rimanere nascosta», ha ricordato il Pontefice. Ma è proprio quel tocco carico di fede a fare la differenza: «La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca», ha ricordato citando sant’Agostino.
Un padre che crede
Altro protagonista della pagina evangelica è il padre della bambina: non si arrende, non si chiude nella disperazione, ma va incontro a Gesù con umiltà e perseveranza. Anche quando gli comunicano che la figlia è morta, non smette di sperare. «Non temere, soltanto abbi fede», gli dice Gesù. E quella fede diventa via per la vita: «Talità kum!», “Fanciulla, alzati!”. La bambina si rialza e cammina. «Per Dio – ha commentato il Papa – la morte del corpo è come un sonno. La morte vera è quella dell’anima: di questa dobbiamo avere paura!»

“Sappiamo nutrire i nostri figli?”
In un passaggio particolarmente significativo, Leone XIV ha richiamato l’invito di Gesù ai genitori della ragazza: «Datele da mangiare». Un gesto semplice, ma carico di significato: «Quando i nostri ragazzi sono in crisi – ha chiesto il Papa – sappiamo dare loro un nutrimento spirituale? E come possiamo, se noi stessi non ci nutriamo del Vangelo?»
Vicinanza ai cristiani perseguitati
Al termine della catechesi, il Pontefice ha rivolto un pensiero accorato alla comunità greco-ortodossa colpita da un attentato domenica scorsa nella chiesa di Mar Elias a Damasco. «Affidiamo le vittime alla misericordia di Dio – ha detto – e eleviamo le nostre preghiere per i feriti e i familiari. Ai cristiani del Medio Oriente dico: vi sono vicino! Tutta la Chiesa vi è vicina!». Leone aveva inviato anche un telegramma a firma del Segretario di Stato.
Un appello, poi, alla comunità internazionale perché non volti le spalle alla Siria, «ancora segnata da anni di conflitti e instabilità». E uno sguardo preoccupato anche al Medio Oriente, dove la tensione resta alta: «Si respinga ogni logica di vendetta. Si scelga la via del dialogo e della pace. Le parole del profeta Isaia risuonano più urgenti che mai».
Nel saluto ai pellegrini italiani, Leone XIV ha incoraggiato le diverse realtà presenti – diocesi, congregazioni religiose, gruppi parrocchiali – a essere testimoni del Vangelo della carità, ad attingere forza dall’Eucaristia e a vivere la fede con gioia e responsabilità. Un messaggio speciale anche per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli, in vista dell’estate: tempo di riposo, sì, ma anche di crescita, impegno, e cura reciproca. «A tutti – ha concluso – la mia benedizione!»
In un tempo segnato da incertezze e ferite profonde, la catechesi del Santo Padre è risuonata come un invito accorato a non lasciarsi vincere dallo scoraggiamento, a non cedere alla paura. Perché – come ha detto con forza – «Gesù è la nostra speranza».
F.R.
Silere non possum