Diocesi di Milano

Domenica 24 marzo 2024 l'Arcivescovo Mario Enrico Delpini ha presieduto la Santa Messa nella Domenica delle Palme e della Passione del Signore nel Duomo di Milano. «Un messaggio di pace è la promessa di questa celebrazione. La parola pace percorre la terra, bussa alle porte dei potenti, si aggira per le strade di città rovinate e di vite distrutte. La pace vuole entrare nelle case e si immagina di essere accolta come una benedizione. E invece nelle parole dei potenti, nelle strade delle città e persino nelle preghiere dei devoti, la pace è cacciata via, non ti vogliamo, vattene via! Noi vogliamo la vittoria!» ha detto Delpini. 

«Siamo chiamati - ha spiegato - a entrare nei giorni di questa settimana autentica con l’inquietudine e il desiderio di essere di comprendere, di ritrovare le parole per dire la verità, per creare intesa, per dare voce alla comunione che lo Spirito di Gesù vuole creare e tenere viva tra noi». 

Omelia di S.E.R. Mons. Mario Enrico Delpini

1.Le parole non sono più quelle di una volta.

Le parole s’aggirano tra la gente e sono come smarrite, intimidite, spaventate. Avrebbero infatti un pensiero da comunicare, e invece si spaventano quando si accorgono non di comunicare un pensiero, ma di provocare una ferita, una rabbia; le parole vorrebbero creare una comunicazione un incontro tra le persone e restano mortificate quando si accorgono che invece creano una rottura.

La gente accorre e acclama e grida: benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele. La gente gli attribuisce il titolo al quale Gesù ha cercato di sfuggire quando lo cercavano per farlo re (Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte lui solo: Gv 6,15).

Nell’interrogatorio al quale Pilato sottopone Gesù, Gesù si attribuisce il titolo regale: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37).

Nella notte della tortura i soldati si prendono gioco di Gesù, e usano il titolo regale come un insulto: intrecciata una corona di spine gliela posero sul capo e gli misero addotto un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi (Gv 19,3).

Il titolo di re è dunque una parola che s’aggira smarrita e non sa più che cosa significa.

Il profeta invita la figlia di Sion a esultare: “Ecco a te viene il tuo re … annuncerà la pace alle nazioni” (Zc 9,9-10). Un messaggio di pace è la promessa di questa celebrazione. La parola pace percorre la terra, bussa alle porte dei potenti, si aggira per le strade di città rovinate e di vite distrutte. La pace vuole entrare nelle case e si immagina di essere accolta come una benedizione. E invece nelle parole dei potenti, nelle strade delle città e persino nelle preghiere dei devoti, la pace è cacciata via, non ti vogliamo, vattene via! Noi vogliamo la vittoria! Noi vogliamo conseguire i nostri obiettivi, fare i nostri affari! Noi vogliamo farla pagare e distruggere i nemici a costo di distruggere tutta la terra. Vattene via, parola antipatica. Noi qui non ti vogliamo!

Ecco: le parole si aggirano smarrite, storpiate, irriconoscibili. Che significa la parola “re”? Che significa la parola “pace”?

2.I suoi discepoli

I discepoli che accompagnano Gesù sono non capiscono le parole che risuonano, non sanno interpretare il comportamento della gente e il gesto di Gesù. Forse se ne stanno lì, ai margini del corteo festoso sorpresi, sconcertati: Sul momento i discepoli non compresero queste cose. E non sanno che cosa fare, che cosa dire. Anche i discepoli di oggi, anche noi, riconosciamo che non abbiamo ancora capito. Siamo presenti a quello che succede e non riusciamo a comprendere quello che sta succedendo, quello che Gesù sta compiendo.

Vorremmo forse unirci alla festa generale e gridare: “Osanna, al re dei Giudei”. Vorremmo anche noi annunciare la parola del profeta: “Ecco a te viene il tuo re, annuncerà la pace!”. Ma restiamo confusi: ma questa è una processione? È un corteo di protesta? È la celebrazione di un trionfo sui nemici sconfitti? Restiamo perciò anche noi, come le parole, fraintesi, respinti, ritenuti insignificanti nella confusione. E sperimentiamo che anche tra noi, discepoli di Gesù, le parole non sono più come quelle di una volta: non servono a intendersi, piuttosto creano malintesi, diventano bandiere, armi per ferire, etichette per classificare. Come possiamo fare?

3. Quando Gesù fu glorificato.

Il Vangelo proclamato ci dà un appuntamento. Se volete comprendere ciò che avete visto, se volete risolvere i vostri dubbi, se volete interpretare quello che succede, allora dovrete essere là quando Gesù è glorificato, allora dovete seguire la vicenda fino all’ora del compimento, allora dovete stare con il discepolo amato, fino alla fine.

Siamo chiamati a entrare nei giorni di questa settimana autentica con l’inquietudine e il desiderio di essere di comprendere, di ritrovare le parole per dire la verità, per creare intesa, per dare voce alla comunione che lo Spirito di Gesù vuole creare e tenere viva tra noi.

Disponiamoci a contemplare la gloria di Gesù crocifisso, risorto, vivo, perché si aprano i nostri occhi e noi lo possiamo riconoscere e rimanere il lui, la Parola che si è fatta carne per consentire a coloro che credono in lui di contemplare “la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazie e di verità” (Gv 1,14).

Per ritrovare le parole da dire, per offrire a questo tempo un messaggio che possa seminare pace e costruire la fraternità, adesso non ci resta altro da fare che vivere la Pasqua.

+ Mario Enrico Delpini