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Negli ultimi giorni, alcune critiche hanno evidenziato la ridotta presenza pubblica di Papa Francesco a causa dei suoi problemi di salute, quasi a voler suggerire che un Pontefice debba costantemente mostrarsi per dimostrare di essere ancora in grado di guidare la Chiesa. Questa pretesa, però, riflette una mentalità contemporanea malsana: l’ossessione per la visibilità.

Viviamo in un’epoca in cui l’esistenza sembra dipendere dalla costante esposizione mediatica. L’idea che si possa custodire la propria fragilità senza ostentarla è diventata inconcepibile. Ma davvero la continua presenza pubblica è sinonimo di autenticità e autorevolezza?
Il filosofo Byung-Chul Han, nel suo saggio Nello sciame, descrive come la società digitale abbia trasformato la comunicazione in un incessante processo di auto-esposizione. Oggi, non si comunica più per scambiare idee, ma per esistere agli occhi degli altri. La stessa logica sembra essere applicata al Papa: se non appare, per alcuni significa che è debole o incapace. Addirittura, qualcuno mette in discussione il fatto che possa davvero essere in vita. Ma il Pontefice non è un influencer né un attore sulla scena globale. La sua autorità non dipende dalla sua visibilità costante, ma dal magistero che continua a esercitare, dalla sua parola che viene comunque diffusa, dalle nomine e dalle decisioni che comunque continua a fare e prendere. E, in questo momento, la sua testimonianza passa anche attraverso il silenzio e il raccoglimento.

Questa pressione a essere sempre presenti trova un’eco nelle riflessioni della sociologa Sherry Turkle, che in Insieme ma soli descrive come la tecnologia ci abbia resi perennemente connessi, ma incapaci di stare con noi stessi. “Abbiamo scambiato la connessione per la conversazione”, scrive. La richiesta che il Papa sia sempre visibile riflette la nostra incapacità di accettare che la leadership possa esistere anche nella discrezione e nella riflessione.

Han, inoltre, introduce un concetto chiave: il panottico digitale. Se un tempo il potere disciplinava sorvegliando dall’alto, oggi siamo noi stessi a esporci volontariamente al giudizio pubblico. Nel caso del Papa, questa dinamica si manifesta nell’aspettativa che debba “farsi vedere”, come se l’assenza fosse una colpa. Ma davvero il Pontefice deve essere sempre sotto i riflettori? La Chiesa non è una macchina che necessita di un leader costantemente operativo davanti alle telecamere: la sua funzione è spirituale, e il Papa non deve essere trattato come una star da cui dipendono introiti mediatici. In questi anni, infatti, l'unica cosa che il Dicastero per la Comunicazione è riuscito a fare è proprio guadagnare con il volto di Francesco. Basti pensare al Servizio Fotografico della Santa Sede che in questo mese non ha potuto vendere le foto del Papa che stringe mani, benedice o rilascia sorrisi. Hanno dovuto ripiegare facendo foto a qualunque altro evento: rosario in piazza, esercizi spirituali, visite dei capi di Stato al Segretario in Terza Loggia, ecc...

Una sfida alla dittatura della visibilità

L’idea che l’autorità dipenda dalla visibilità è un riflesso di una mentalità iperconnessa, in cui “tutto deve essere visibile e nulla può restare nascosto”, come scrive Han. Ma questa trasparenza forzata non genera verità: annulla la profondità. La malattia, in particolare, è un momento in cui la discrezione è un diritto, non una debolezza. Eppure, c’è chi vorrebbe che anche la sofferenza fosse esibita, come se il Papa dovesse dimostrare la sua lotta pubblicamente. Con la sua scelta di vivere la malattia senza spettacolarizzarla, Francesco lancia un messaggio controcorrente: la dignità non si misura dall’apparenza. La forza di una guida spirituale non sta nell’esposizione mediatica, ma nella profondità della sua testimonianza. Un messaggio che, forse, mette in discussione anche la cultura della visibilità a cui lo stesso Francesco ha contribuito in passato.

In definitiva, il dibattito sulla ridotta esposizione pubblica del Papa in questi giorni rivela quanto siamo immersi in una società che considera l’apparire più importante dell’essere. Ma la fragilità non ha bisogno di essere esposta per avere valore. Al contrario, la capacità di custodire la propria vulnerabilità senza cedere alla logica della visibilità forzata è un segno di maturità e di forza, anche spirituale. Forse, invece di chiederci perché il Papa non si mostri di più, dovremmo domandarci perché abbiamo così tanto bisogno di vederlo. E se, nel nostro desiderio di continua esposizione, non stiamo perdendo qualcosa di essenziale: il diritto alla profondità, al silenzio e alla verità che non ha bisogno di ostentazione.

Felipe Perfetti
Silere non possum