Città del Vaticano – «Tante volte quando abbiamo bisogno di aiuto, cercate un buon “accompagnatore”, un direttore spirituale, un buon confessore. Nessuno qui è solo. E anche se stai lavorando nella missione più lontana, non sei mai solo!». Sono le parole con cui Papa Leone XIV si è rivolto, con evidente commozione, ai sacerdoti e vescovi presenti nell'Auditorium della Conciliazione questo pomeriggio. 

Un clima di gioia e fraternità ha preceduto l'arrivo del Pontefice e quando Leone XIV è entrato nell'Auditorium è stato accolto con lunghi applausi dai presbiteri presenti. Il Pontefice è intervenuto all’Incontro Internazionale Sacerdoti Felici – «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15), promosso dal Dicastero per il Clero.

Sempre sorridente e disponibile, con il suo tratto gentile, Leone XIV ha aperto l’incontro con semplicità: «Cominciamo con il Segno della Croce, perché siamo tutti qui perché Cristo che è morto e risuscitato ci ha dato la vita e ci ha chiamati a servire. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!»

Il Cardinale Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero, ha introdotto l’intervento del Papa con parole cariche di gratitudine: «Siamo qui perché sappiamo che un sacerdote felice è il miglior annuncio del Vangelo. Grazie, Santo Padre, perché ci indica l’amicizia con Cristo come fonte della nostra gioia e della nostra fedeltà».

L’amicizia con Cristo come chiave del ministero

Nel suo discorso, Leone XIV ha voluto ribadire un punto fermo: è possibile essere sacerdoti felici. Una felicità che non è frutto di strategie umane, ma nasce dalla relazione viva con il Signore: «Cristo ci ha chiamati, Cristo ci ha fatti suoi amici: è una grazia che vogliamo accogliere con gratitudine e responsabilità». Parole che hanno ricordato la meditazione offerta da Monsignor Mario Enrico Delpini ai seminaristi nella Basilica di San Andrea della Valle. Il Papa ha sottolineato che questa amicizia è il fondamento del ministero ordinato, il senso del celibato, la forza che sostiene nel servizio ecclesiale.

Tre direttrici per la formazione sacerdotale

Nel cuore del suo intervento, Leone XIV ha indicato tre implicazioni concrete per la formazione al ministero:

Una formazione relazionale: non solo trasmissione di nozioni, ma familiarità con il Signore che plasma cuore, intelligenza e libertà.
Fraternità presbiterale: i sacerdoti sono chiamati a vivere da fratelli, non da solitari o concorrenti. Il presbiterio deve essere una vera comunità.
Amicizia e amore come stile di vita: formare uomini capaci di ascolto, preghiera, servizio, attraverso una formazione comunitaria che coinvolge tutto il popolo di Dio.


«La formazione deve allora diventare il luogo dove si apprendono non solo contenuti, ma soprattutto legami», ha affermato il Santo Padre, sottolineando quanto sia essenziale che il presbiterio sia un ambiente di relazioni autentiche. «Una Chiesa sinodale cresce solo là dove i sacerdoti imparano a condividere fatiche e gioie, camminando insieme come fratelli. Ma come potremmo essere costruttori di comunità vive, se fra noi non regna prima di tutto una fraternità effettiva e sincera?» ha domandato con incredibile concretezza.

Il Papa è così entrato in una delle questioni più complesse del ministero sacerdotale: la difficoltà a vivere la fraternità presbiterale. Non si tratta di un'idea astratta, ma di una ferita concreta che incide sulla vita di molti. Leone XIV lo ha detto con chiarezza: «Diventare amici di Cristo comporta vivere da fratelli tra sacerdoti e tra vescovi, non come concorrenti o individualisti.»

La radice di tante divisioni, ha lasciato intendere il Papa, sta in un atteggiamento sottilmente diffuso ma pericoloso: l’idea che i successi dell’altro siano una sconfitta per me. Un veleno che paralizza la comunione e corrode la fiducia. Tutto diventa giudizio, critica e volontà di svilire l'altro. E questa mentalità – ha ricordato nei giorni scorsi parlando ai seminaristi – nasce da un male più profondo, che oggi si presenta con una forza inedita: il narcisismo. «Oggi, in modo particolare, in un contesto sociale e culturale segnato dal conflitto e dal narcisismo, abbiamo bisogno di imparare ad amare e di farlo come Gesù» aveva detto. 

Il narcisismo, infatti, è forse la tentazione più insidiosa del nostro tempo: trasforma la vocazione in affermazione personale, la missione in competizione, la fraternità in confronto sterile. Per questo la formazione non può limitarsi a trasmettere strumenti pastorali, ma deve lavorare in profondità, aiutando i futuri sacerdoti a decentrarsi da sé per lasciare spazio all’altro, ai fratelli, e a Cristo. Solo così, ha lasciato intendere il Papa, si può costruire un presbiterio che sia realmente segno di una Chiesa che cammina insieme.

Vocazioni, missione e speranza

Non è mancato un riferimento alle vocazioni, trattata con realismo e speranza: «Nonostante i segnali di crisi che attraversano la vita e la missione dei presbiteri, Dio continua a chiamare e resta fedele alle sue promesse. Occorre che ci siano spazi adeguati per ascoltare la sua voce. Per questo sono importanti ambienti e forme di pastorale giovanile impregnati di Vangelo, dove possano manifestarsi e maturare le vocazioni al dono totale di sé. Abbiate il coraggio di proposte forti e liberanti! Guardando ai giovani che in questo nostro tempo dicono il loro generoso “eccomi” al Signore, sentiamo tutti il bisogno di rinnovare il nostro “sì”, di riscoprire la bellezza di essere discepoli missionari alla sequela di Cristo, il Buon Pastore». 

L’intervento si è concluso con uno sguardo alla missione della Chiesa nel mondo: «Mediante la nostra azione pastorale, è il Signore stesso che si prende cura del suo gregge. Quando uno crede, si vede: la felicità del ministro riflette il suo incontro con Cristo».

Il dialogo spontaneo: il Papa tra i suoi preti

Alla fine del suo intervento un monsignore ha chiesto di poter abbracciare il Santo Padre. Il Papa ha risposto con umorismo: «Se è uno per tutti! Perché dopo anche gli altri vogliono! Siete d’accordo?» E i presenti, in coro: «Sì!» «Allora, uno per tutti!» ha replicato Leone XIV con un sorriso.

Poi, quasi a voler coinvolgere tutti, ha chiesto – in diverse lingue – da quali continenti provenissero i vescovi, i sacerdoti e i seminaristi presenti: «Quanti vengono dall’America Latina?... dall’Africa?... dall’Asia?... dall’Europa?... dagli Stati Uniti?...» – ottenendo un’esplosione di mani alzate e risposte dai presenti. Un gesto semplice, ma eloquente: il Papa vuole conoscere i suoi preti, vuole guardarli negli occhi, sapere da dove vengono.

Anche in questo momento conclusivo, seppur breve, è emerso con forza il tratto distintivo di Leone XIV: una spontaneità disarmante, un’umiltà sincera, quasi timida, che non lo allontana ma anzi lo rende ancora più vicino a chi lo ascolta. Il Papa si è mostrato attento, partecipe, realmente interessato alle vite dei sacerdoti, dei vescovi presenti, ai loro percorsi, alle fatiche e alle gioie del loro ministero. Poco prima della preghiera finale, ha voluto offrire un ultimo pensiero, semplice ma denso, come a voler lasciare un’impronta duratura nel cuore di ciascuno. «Quanto è importante la vita spirituale del sacerdote!» ha detto commuovendosi. «Cercate un buon accompagnatore, un confessore, perché nessuno è solo, nemmeno nelle missioni più lontane. Vivete quella ‘vicinanza’ che Papa Francesco ci ricordava: col Signore, col vostro Vescovo, tra di voi. Siamo amici, siamo fratelli.»

Parole che non suonavano come una raccomandazione generica, ma come qualcosa che scaturiva direttamente dalla memoria personale, dall’esperienza vissuta. Il Papa è apparso visibilmente toccato, lasciando trapelare l’emozione di chi ricorda gli anni passati nelle periferie, al servizio di quella porzione di Chiesa che gli era stata affidata, spesso lontano dai riflettori, ma mai lontano da Dio. Era la voce di un pastore che sa cosa significhi camminare con i suoi confratelli, con i suoi preti, condividere la solitudine della missione, portare nel cuore il peso e la bellezza di essere padre. E che oggi, con voce fraterna, ha voluto dire a tutti i presenti: non siete soli.

Parole e gesti che non appaiono mai come caricature, né come costruzioni artificiose. Sono espressioni autentiche, che i media vaticani scelgono sistematicamente di non valorizzare, preferendo restituirle — quando lo fanno — con toni freddi, distaccati, quasi imbarazzati. Eppure, al termine dell’incontro, non pochi sacerdoti e vescovi hanno espresso con una certa amarezza il loro disappunto. Non solo per la presenza di Salvatore Cernuzio, che molti iniziano a non sopportare più avendo visto cosa fa grazie ai reportage di Silere non possum, ma soprattutto per il fatto che — come hanno fatto notare in più d’uno — "non mette mai in evidenza i gesti del Papa, come se volesse appiattirne il profilo e neutralizzarne la vicinanza."

Un vescovo italiano ha commentato con parole schiette: «Noi siamo molto contenti di come Leone XIV è, e di come ci dimostra il suo affetto. Si vede che non è rabbioso, non sorride o fa certi gesti per essere ripreso dalla telecamera. Anzi! Quello che più mi colpisce di lui è che — per fortuna — non gliene importa nulla di quello che dicono certi professionisti della disinformazione.»

È in questa distanza tra ciò che accade realmente e ciò che viene mostrato — o omesso — che molti hanno riconosciuto il segno di una comunicazione vaticana sempre più autoreferenziale, e sempre meno capace di raccontare la verità delle cose. In sostanza, molti chiedono che una certa era venga chiusa, con tutto ciò che ne deve conseguire. 

Un momento di Chiesa viva

Dopo la preghiera del Padre nostro e dell’Ave Maria, Leone XIV ha impartito la sua benedizione, lasciando un messaggio forte: «Non siamo perfetti, ma siamo amici di Cristo. Questo ci basta. Abbiamo una grande missione: tutti insieme, possiamo essere davvero questa voce nel mondo.»

Un messaggio essenziale, ma capace di rovesciare la narrazione dominante. In un tempo in cui il ministero sacerdotale è costantemente sotto attacco, bersaglio di una cultura che per anni ha finito per colpire i preti nel loro insieme, etichettandoli spesso come “il problema” o “l'origine di ogni male”Leone XIV ha scelto un’altra strada. Ha scelto di guardare i suoi fratelli negli occhi, ricordando loro che la felicità è possibile, se nasce dall’amicizia con Cristo. Un messaggio tanto semplice quanto rivoluzionario.

d.R.P.
Silere non possum