Le regole e i principi del processo sono completamente sospesi e, oltre Tevere, nessuno osa dire nulla. In questo clima di stato di polizia, Francesco sta facendo processare il cardinale Angelo Becciu e altri imputati per una trattativa nella quale è entrato lui stesso.
Il diritto canonico, il quale rammento agli improvvisati giuristi, è la sorgente anche del diritto vaticano, ha come fine ultimo quello di ricercare la verità. Se in questo procedimento si ricercasse davvero la verità, in aula, martedì, ci sarebbero il Papa in persona e il segretario di Stato. Questi non sarebbero lì quali parte civile ma come co-imputati.
Francesco però ha scelto di utilizzare lo stesso modus agendi che viene usato dai pubblici ministeri italiani, far fuori gli avversari attraverso procedimenti penali studiati ad hoc. Ed ecco qua, ci ritroviamo a celebrare un processo con una schiera di avvocati che non hanno neppure sottomano un codice di procedura penale che gli faccia capire cosa si può e cosa non si può fare in aula.
I più illustri giuristi hanno in mano delle fotocopie del codice del 1913 senza neppure gli aggiornamenti con le varie leggi emanate dalla commissione cardinalizia o dal sommo pontefice. Fotocopie del codice del Regno di Italia. Fotocopie!
Alla base del “giusto processo”, così come sancito nelle varie convenzioni internazionali, vi è proprio la conoscenza, da parte degli imputati, delle norme penali e di procedura. Se il cittadino non sa neppure quali sono i reati, difficilmente potrà avere consapevolezza di aver violato delle norme.