Il Pontificato di San Giovanni Paolo II è diventato, ormai, un lontano ricordo. Se da una parte il Papa polacco è stato addirittura usato nella sua malattia per mostrare "un Pontefice umano" e quella sofferenza spesso è stata anche strumentalizzata, oggi ci ritroviamo a vivere una situazione paradossalmente contraria a quella alla quale siamo stati abituati negli anni 2000. Nella Domenica delle Palme Papa Francesco ha scelto di non pronunciare l'omelia. Nulla di strano potremmo dire, in quanto il Messale Romano prevede che: «Dopo il racconto della Passione si tiene, secondo l’opportunità, una breve omelia. Si può osservare anche un momento di silenzio». Ciò che in molti non sanno, però, è che il Papa l'omelia l'aveva preparata ed era stata tradotta nelle diverse lingue e trasmessa alla stampa. Non si tratta, quindi, di una scelta adottata in precedenza ma un cambio dell'ultim'ora. Perchè? L'entourage del Papa riferisce che "era stanco".
Francesco è "il grande attuatore del Concilio" e sa bene che Sacrosantum Concilium al numero 52 stabilisce che "Nelle messe della domenica e dei giorni festivi con partecipazione di popolo non si ometta l'omelia se non per grave motivo". Nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium Papa Francesco scrive: «Occorre ora ricordare che «la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza». Vi è una speciale valorizzazione dell’omelia, che deriva dal suo contesto eucaristico e fa sì che essa superi qualsiasi catechesi, essendo il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo, prima della comunione sacramentale. L’omelia è un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo. Chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio, e anche dove tale dialogo, che era amoroso, sia stato soffocato o non abbia potuto dare frutto» e ancora: «Nell’omelia, vogliono che qualcuno faccia da strumento ed esprima i sentimenti, in modo tale che in seguito ciascuno possa scegliere come continuare la conversazione. La parola è essenzialmente mediatrice e richiede non solo i due dialoganti ma anche un predicatore che la rappresenti come tale, convinto che « noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù».
Noi non siamo amanti delle parole, anzi, riteniamo che tacere è molto meglio che fare considerazioni astratte. Il Vangelo della Domenica delle Palme è così carico di significato che basta ascoltarlo, meditarlo nel silenzio. Spesso siamo abituati ad ascoltare omelie di sacerdoti e vescovi che pensano più a mettere in mostra le loro conoscenze che a spiegare - nella pratica - ciò che il Vangelo ci invita a fare. Nel panorama italiano odierno sono ben pochi i vescovi che parlano nell'omelia di Gesù Cristo e di come vivere il Vangelo nella vita quotidiana. Uno di questi è l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, il quale riesce sempre - con la sua peculiare forma letteraria - ad offrire spunti concreti per una vera e propria conversione. Si tratta di parlare anche dell'umanità di Cristo e quindi guardare a ciò che chiede a noi: sentimenti, amicizia, vita concreta, gratitudine per i preti, ecc...
Il problema, quindi, non è l'omelia non pronunciata ma il fatto che si pensi al tempo. Anche perché per l'omelia il Papa era stanco ma per parlare all'Angelus no. "Il Vangelo è lungo allora niente omelia sennò non finiamo più", sentiamo dire in alcune sacristie. Ma davvero la celebrazione eucaristica deve trasformarsi in una lotta contro il tempo? Ogni giorno nelle nostre parrocchie dobbiamo fare la lotta con le cuoche di famiglia perchè "l'acqua bolle in pentola". Non si possono più contare quei laici che arrivano alla Santa Messa dopo la proclamazione del Vangelo e vanno via appena hanno "preso la comunione" (anche questo un trofeo ormai). Ma davvero abbiamo trasformato ciò che di più importante abbiamo in un adempimento da sbrigare? Forse qualche domanda dobbiamo farcela anche noi ministri: cosa trasmettiamo alla gente? E proprio pensando a questo è terribile dover constatare che il Pontefice sono anni che non celebra più l'Eucarestia. Non lo fa in pubblico ma neppure in privato. L'unica eccezione l'ha fatta per la Commemorazione di Tutti i fedeli defunti dove ha concelebrato con il Maestro delle Cerimonie. Non presiedeva lui, sia chiaro, ha fatto da concelebrante ad un vescovo. Non stiamo parlando di un uomo che ha problemi di salute così gravi da non poter celebrare. Francesco non ha difficoltà ambulatorie così gravi da non permettergli di stare in piedi. Quando vuole sta in piedi e lo fa a Santa Marta come altrove. Non è neppure necessario richiamare gli esempi di San Giovanni Paolo II il quale non ha mai rinunciato a celebrare e ad inginocchiarsi davanti all'Eucarestia pur essendo in condizioni ben più gravi di quelle di Francesco.
Si tratta del pontificato più mediatico della storia. Nessuno ha detto al Papa: che messaggio diamo alla gente? Interviste, incontri, pranzi, angelus, ecc... vengono fatte e il Papa è spesso in piedi. La Santa Messa no. Che senso ha tutto questo? Per la vita di un presbitero la celebrazione eucaristica è l'appuntamento più importante della giornata. Non vi può essere giorno senza che il sacerdote celebri ed offra il sacrificio della Messa per sé e per il suo popolo. Il Papa che esempio da a tutti i preti? Se vi sono delle reali condizioni che gli impediscono di celebrare almeno le spieghi ai fedeli e si preoccupi di far comprendere loro questo aspetto che altrimenti rischia di diventare un vero e proprio scandalo. Noi speriamo di vedere il Papa tornare a celebrare l'Eucarestia, con la preghiera eucaristica più breve che ci sia ma almeno che celebri. Presiedere in questo modo non ha alcun senso.
Silere non possum