Lunedì 27 gennaio 2025 il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i Presidenti delle Commissioni episcopali della comunicazione e i Direttori degli Uffici comunicazione delle Conferenze episcopali.
«Fermiamoci ancora a riflettere sul modo concreto in cui comunichiamo, animati dalle fede che, come è scritto nella Lettera agli Ebrei (cfr 11,1), è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» ha detto il Papa.
Ma gli operatori dell'informazione hanno fede? Trasmettono la fede? Abbiamo potuto constatare come il Giubileo per il mondo della Comunicazione abbia messo in risalto il dramma dei "professionisti" che lavorano in questo ambito. È sufficiente guardare la foto qui sotto per capire come le persone che sono anche accreditate e lavorano per testate che si autodefiniscono "cattoliche" in realtà non vivono alcuna vita di fede. Di fronte al Papa tutti con il cellulare in mano. Anche durante la Santa Messa in San Giovanni in Laterano e in San Pietro erano tutti con il cellulare in mano, nessuno si è reso conto che c'era una celebrazione alla quale dovevano prendere parte.
Anche noi spesso ci troviamo a celebrazioni eucaristiche per lavoro e non per parteciparvi. In quelle occasioni occupiamo il posto a noi assegnato e svolgiamo il lavoro di cronaca nel silenzio e senza importunare chi sta vivendo la celebrazione. Celebriamo la Santa Messa in un altro momento. I giornalisti, soprattutto quelli accreditati, hanno quella solita sicumera nei confronti di laici, preti e vescovi. Si sentono padroni. Questi "operatori dei media", inoltre, sono abituati a guardare il mondo attraverso uno schermo e sarebbero capaci di uccidere i genitori pur di avere visibilità. Lo abbiamo raccontato qui ma gli esempi sarebbero tantissimi e sono uno più triste dell'altro.
Questo è un grave dramma accentuato in tutte quelle nazioni che prevedono gli "ordini professionali". Rischiano di creare sette, piuttosto che unità o rete. Temi di cui ha parlato il Papa anche questa mattina. «Solo insieme possiamo comunicare la bellezza che abbiamo incontrato: non perché siamo abili, non perché abbiamo più risorse, ma perché ci amiamo gli uni gli altri» ha detto Francesco. Insieme, però, non significa "tutti con lo stesso pensiero".
Verità e professionalità
L'informazione, poi, deve avere due cardini: Verità e professionalità. Non si può fingere di essere "caritatevoli" nel momento in cui si omettono notizie. Questo è un modo abusante e falso di raccontare la storia nella Chiesa e viene utilizzato da queste persone solo per "gli amichetti". È necessaria la trasparenza anche quando si è consapevole che quella cosa colpisce "il nostro protettore". I giornalisti lo sanno bene. In queste ore in Italia c'è un dibattito sulla magistratura che abbiamo raccontato nella newsletter di oggi. Qualcuno ha correttamente fatto notare: "La vera riforma sarà poi quella di separare giornalisti e magistrati". Questo è il dramma dell'informazione giudiziaria che però possiamo assaporare anche nel pontificato attuale. Chi accede a Santa Marta non ha alcun freno se non quello del cerchio magico. Quando devono attaccare Chiesa e preti, lo fanno e anche con la benedizione. L'importante è non toccare il Re. Chi tocca il Re, muore.
Pensiamo ad un fatto accaduto qualche settimana fa. Nella Basilica di San Giovanni in Laterano i Canonici hanno chiesto di togliere i cartelli degli sponsor. Franca Giansoldati, ormai nota in Vaticano per essere la "piagnucolante amica di...", ha scritto un articolo (letto da 4 gatti). Giustamente qualcuno ha fatto notare: «Come mai non ha scritto nulla quando è successa la stessa ed identica cosa in San Pietro?» Facile, in Basilica a San Pietro c'è Mauro Gambetti che si è fatto trovare accogliente e promettente quando Franca ha bussato alla porta. In San Giovanni in Laterano e in Governatorato no. In questa vicenda, infatti, era coinvolta anche la Segretario del Governatorato Vaticano ed una cosa che qualcuno non ha il coraggio di dire è che non c'è peggior nemica di una donna al potere di una donna repressa che quel potere lo vorrebbe.
Questo è il giornalismo attuale, gente che scrive per elogiare gli amici e per colpire i nemici. Pensiamo a quelle avvocate che amano difendere i casi più mediatici per ottenere soldi e visibilità. Non passano mica il loro tempo sui libri a studiare, ma sono sempre al telefono con tutti i giornalisti. Pensiamo a quelle donne pregiudicate che hanno combinato danni in Vaticano e ovunque siano state. Qualcuno si chiede come mai siano ancora in televisione a starnazzare? Perché hanno gli amici giornalisti che le ospitano e le donno visibilità. È un sistema cancerogeno.
Il Papa questa mattina ha detto: «Vi confesso una cosa: a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale, quell’intelligenza che noi dobbiamo sviluppare». Il grande dramma è che la maggior parte di questa gente oggi scrive i propri articoli con chatgpt, altroché. Di intelligenza umana se ne vede poca.
L'imbarazzante scena di Paolo Ruffini e il Papa nell'Aula Paolo VI
Il nuovo spaventa
È chiaro che se uno non vive una vita di fede non può neppure raccontarla. Pensate ad Andrea Gagliarducci, pupillo dell'amante dei "pulcini", non è capace a prendere parte ad una celebrazione eucaristica in silenzio [lo avevamo raccontato qui, uno dei tanti episodi]. Perché queste persone vedono la Chiesa come un luogo dove poter emergere, far carriera. Questo poi, proprio come il suo sponsor, è uno di quelli che insegue ambasciatori, si fa invitare alle cene, approccia cardinali sotto i loro appartamenti e gli lascia il biglietto da visita, ecc...
Poi scrivono articoli dove spiegano come dovrebbe essere il giornalismo cattolico. Sì, dovrebbe essere proprio come non fanno loro. Questo dramma è presente anche nelle diocesi dove i responsabili della comunicazione ricevono tremila euro al mese per non fare assolutamente nulla. Gli articoli e i reportage di sabato e domenica non li fanno perché è festivo e guai a toccarli. Se li chiami li devi pagare il triplo, come se già prendessero poco. Il vescovo fa un intervento? Non sono capaci neppure di trascriverlo e pubblicarlo. C'è un evento? È di grazia se ti mandano qualcuno a far una foto. Succede qualcosa? Rilasciano comunicati che sono distruttivi per la reputazione della stessa diocesi e mettono in difficoltà vescovo e presbiteri.
Questo è il grande mondo della comunicazione odierna. Non conoscono un solo titolo corretto, un nome di un vescovo o di un cardinale. Niente. Però il quindici del mese il bonifico arriva.
È chiaro che, come tutte le sette, quando c'è qualcosa di nuovo e che mette in risalto la loro incompetenza loro non sono capaci di sopportare la cosa e vedono tutto come competizione. È così che spesso partono le critiche ai "blog", che in realtà sono veri e propri portali con il triplo dei loro lettori. Perché se c'è una cosa di cui bisogna star tranquilli è che il lettore capisce dove c'è sostanza. Certamente ci sono modalità che possono piacere o non piacere ma la notizia, il commento, la riflessione, sono quelle cose che poi interessano a tutti indistintamente. E il lettore sa dove trovarle, per questo continuano a parlare di "crisi dell'editoria". In realtà, in crisi sono loro che scrivono articoli con l'intelligenza artificiale o testi pieni di errori. Si tratta di gente che non conosce neppure l'italiano (su Vatican News abbiamo visto più volte Salvatore Cernuzio scrivere in una lingua strana, dialetto calabrese probabilmente).
Oggi è chiaro che per avere una informazione valida, accurata e seria bisogna anche pagare, perché non tutti hanno il Vaticano o la diocesi che ti assume e ti paga per non fare nulla. Quei professionisti che seriamente dedicano la loro vita ad un progetto di informazione di questo devono anche campare e possono essere attenti, aggiornati e "sul pezzo" solo se si possono dedicare interamente a questo.
Il fatto che in questi anni continuino a nascere sempre più blog, portali e giornali nuovi e che prendono le distanze dalle storiche testate deve farci interrogare. Questo avviene in campo religioso come politico. In modo particolare nei Paesi in guerra, vediamo sempre più spesso i "giornaloni" obbligati ad abbeverarsi a blog indipendenti. Perchè? Perché la libertà è una cosa che si paga amaramente e i giornali che scelgono di avere editori che pagano per motivi politici non possono permettersi libertà.
Uno sguardo al futuro
Il compito che la Chiesa ha oggi è quello di investire sulla comunicazione su due fronti: quello istituzionale e quello dell'annuncio del Vangelo. Da un lato è necessario trovare modi, al passo con i tempi, per poter annunciare il Vangelo di Cristo, trasmettere il magistero, la dottrina, ecc.. Ciò significa che bisogna investire per mettere online quanto avviene in diocesi: celebrazioni del vescovo, incontri, iniziative, ecc...
Dall'altro lato è necessario saper comunicare l'istituzione. Ad esempio, questo significa che, come tutte le realtà, quando c'è qualcosa da comunicare all'esterno bisogna farlo bene, in modo chiaro e inattaccabile. La comunicazione, poi, non deve piegarsi alle richieste piagnucolanti dei giornalisti che negli articoli scrivono contro. A noi deve importare la Verità, non le lacrime dei giornali.
In questi anni abbiamo rovinato la vita di migliaia di presbiteri solo per: assecondare e-mail di isteriche sessantenni tradizionalistE che invocavano punizioni divine contro il loro parroco che non aveva messo la pianeta, scongiurare la gogna mediatica contro il vescovo che non agiva contro un prete che era FORSE coinvolto in un episodio di abusi, ecc... Le nostre giornate in curia sono dettate dal: "Cosa dicono i giornali?"
Per non parlare di quei vescovi che non mettono la pianeta bella perché sennò se fanno le foto e le vede il Papa? Se poi i giornali dicono che siamo ricchi? Una situazione imbarazzante.
Per questo motivo è nato Silere non possum. Non solo perché nel panorama non c'era più nessuno che tirasse fuori con verità ciò che accadeva qui in Vaticano perché terrorizzati dal Monarca, ma anche perché in modo più ampio il clero è stato relegato a tacere e guai a dire le cose come stanno. Pensiamo agli anni del pontificato di Benedetto XVI in cui la stampa tuonava contro Papa e clero - i medesimi giornalisti con i tic che ora sono addirittura alla guida editoriale di testate in cui scrivono i loro amici della nduja - e tutti dovevano tacere. Pensiamo agli anni 2000 in America in cui sono stati dati per assodati episodi di abusi mai accertati ma visto che riguardavano il clero, tutti zitti. E se il dibattito sui laici (di cui fa parte anche la donna, anche se qualcuno se lo dimentica e ne parla come se fosse una specie protetta a sé) è pieno di ideologia, guai a dire qualcosa altrimenti vieni etichettato come "clericalista", "indietrista", ecc... E se da un lato abbiamo quelli che potremmo definire "i sinistri", dall'altro abbiamo i tradizionalisti che sono sempre pronti a fare la morale ai preti, a spiegargli come devono celebrare, cosa devono fare. Salvo cambiare veste la sera e condurre ben altre vite che di giorno condannano dalle loro pagine Facebook o blog di psicorepressi nei quali, addirittura, invitano a non dare l'otto per mille alla Chiesa Cattolica perché i preti non "dicono la vera Messa". Sic! Questo è il laicato che siamo riusciti ad "allevare" nelle nostre sagrestie in questi anni? Alla faccia!
E seppur questa vera e propria setta, quella dei giornalisti, continui a fare spallucce, i numeri parlano chiaro ed è sempre più evidente quanto i lettori apprezzino articoli seri, veritieri piuttosto che le veline copiate e incollate anche ore prima dell'evento stesso perché il capo setta dalla sala stampa recapita sulla e-mail e sul canale Telegram il discorso preparato dal Papa. Pensate che i primi tempi, quando il Papa lasciava il discorso e parlava a braccio in Sala Stampa c'era chi pubblicava il discorso con l'articolo che recitava: "Il Papa stamane ha detto". Tremila euro al mese per copiare, incollare e cliccare "Pubblica". Neanche si scomodavano a guardare se davvero stava dicendo quelle cose.
Poi, figuriamoci, nella Chiesa abbiamo un sistema consolidato: se non posso essere come loro, devo insultare al fine che possano scendere al di sotto della mia mediocrità. Praticamente una reinterpretazione del «chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato». Loro sono convinti che questo non lo dovrà fare il Signore, ma debbano farlo loro e per ben altri fini.
Ed essendo diversi di noi salesiani, ci affidiamo a San Giovanni Bosco del quale ci prepariamo a celebrare la solennità, dopo aver celebrato la solenne festa di San Francesco di Sales al quale egli si ispirò, auspicando di poter svolgere al meglio il compito che Egli ci affidò.
d.A.C.
Silere non possum

Il discorso del Papa
Cari fratelli care sorelle, buongiorno!
Do il benvenuto a voi che nelle Chiese locali svolgete un servizio di responsabilità nel campo della comunicazione. È bello vedervi qui vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laiche e laici, chiamati a comunicare la vita della Chiesa e uno sguardo cristiano sul mondo. Comunicare questo sguardo cristiano è bello.
Ci incontriamo oggi, dopo aver celebrato il Giubileo del Mondo della Comunicazione, per fare insieme una verifica e anche un esame di coscienza. Fermiamoci ancora a riflettere sul modo concreto in cui comunichiamo, animati dalle fede che, come è scritto nella Lettera agli Ebrei (cfr 11,1), è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.
Domandiamoci allora: in che modo seminiamo speranza in mezzo a tanta disperazione che ci tocca e ci interpella? Come curiamo il virus della divisione, che minaccia anche le nostre comunità? La nostra comunicazione è accompagnata dalla preghiera? O finiamo con il comunicare la Chiesa adottando soltanto le regole del marketing aziendale? Tutte queste domande dobbiamo farcele.
Sappiamo testimoniare che la storia umana non è finita in un vicolo cieco? E come indichiamo una diversa prospettiva verso un futuro che non è già scritto? A me piace questa espressione scrivere il futuro. Tocca a noi scrivere il futuro. Sappiamo comunicare che questa speranza non è un’illusione? La speranza non delude mai; ma sappiamo comunicare questo? Sappiamo comunicare che la vita degli altri può essere più bella, anche attraverso di noi? Io posso, da parte mia, dare bellezza alla vita degli altri? E sappiamo comunicare e convincere che è possibile perdonare? È tanto difficile questo!
Comunicazione cristiana è mostrare che il Regno di Dio è vicino: qui, ora, ed è come un miracolo che può essere vissuto da ogni persona, da ogni popolo. Un miracolo che va raccontato offrendo le chiavi di lettura per guardare oltre il banale, oltre il male, oltre i pregiudizi, oltre gli stereotipi, oltre sé stessi. Il Regno di Dio è oltre noi. Il Regno di Dio viene anche attraverso la nostra imperfezione, è bello questo. Il Regno di Dio viene nell’attenzione che riserviamo agli altri, nella cura attenta che mettiamo nel leggere la realtà. Viene nella capacità di vedere e seminare una speranza di bene. E di sconfiggere così il fanatismo disperato.
Questo, che per voi è un servizio istituzionale, è anche vocazione di ogni cristiano, di ogni battezzato. Ogni cristiano è chiamato a vedere e raccontare le storie di bene che un cattivo giornalismo pretende di cancellare dando spazio solo al male. Il male esiste, non va nascosto, ma deve smuovere, generare interrogativi e risposte. Per questo, il vostro compito è grande e chiede di uscire da sé stessi, di fare un lavoro “sinfonico”, coinvolgendo tutti, valorizzando anziani e giovani, donne e uomini; con ogni linguaggio, con la parola, l’arte, la musica, la pittura, le immagini. Tutti siamo chiamati a verificare come e che cosa comunichiamo. Comunicare, comunicare sempre.
Sorelle, fratelli, la sfida è grande. Vi incoraggio pertanto a rafforzare la sinergia fra di voi, a livello continentale e a livello universale. A costruire un modello diverso di comunicazione, diverso per lo spirito, per la creatività, per la forza poetica che viene dal Vangelo e che è inesauribile. Comunicare, sempre è originale. Quando noi comunichiamo, noi siamo creatori di linguaggi, di ponti. Siamo noi i creatori. Una comunicazione che trasmette armonia e che è alternativa concreta alle nuove torri di Babele. Pensate un po’ su questo. Le nuove torri di Babele: tutti parlano e non si capiscono. Pensate a questa simbologia.
Vi lascio due parole: insieme e rete.
Insieme. Solo insieme possiamo comunicare la bellezza che abbiamo incontrato: non perché siamo abili, non perché abbiamo più risorse, ma perché ci amiamo gli uni gli altri. Da questo ci viene la forza di amare anche i nostri nemici, di coinvolgere anche chi ha sbagliato, di unire ciò che è diviso, di non disperare. E di seminare speranza. Questo non dimenticate: seminare speranza. Che non è lo stesso di seminare ottimismo, no, per niente. Seminare speranza. Comunicare, per noi, non è una tattica, non è una tecnica. Non è ripetere frasi fatte o slogan e neanche limitarsi a scrivere comunicati stampa. Comunicare è un atto di amore. Solo un atto di amore gratuito tesse reti di bene. Ma le reti vanno curate, riparate, ogni giorno. Con pazienza e con fede.
Rete è la seconda parola su cui vi invito a riflettere. Perché, in realtà, ne abbiamo smarrito la memoria, come se fosse una parola legata alla civiltà digitale. E invece è una parola antica. Ci ricorda, prima di quelle sociali, le reti dei pescatori e l’invito di Gesù a Pietro a diventare pescatore di uomini. Fare rete dunque è mettere in rete capacità, conoscenze, contributi, per poter informare in maniera adeguata e così essere tutti salvati dal mare della disperazione e della disinformazione. Questo è già un messaggio, è già di per sé una prima testimonianza.
Pensiamo, allora, a quanto potremmo fare insieme, grazie ai nuovi strumenti dell’era digitale, grazie anche all’intelligenza artificiale, se anziché trasformare la tecnologia in un idolo, ci impegnassimo di più a fare rete. Vi confesso una cosa: a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale, quell’intelligenza che noi dobbiamo sviluppare.
Quando ci sembra di essere caduti in un abisso, guardiamo oltre, oltre noi stessi. Nulla è perduto; sempre si può ricominciare, nell’affidarsi gli uni agli altri e tutti insieme a Dio, è il segreto della nostra forza comunicativa. Fare rete! Essere una rete! Invece di affidarci alle sirene sterili dell’auto-promozione, alla celebrazione delle nostre iniziative, pensiamo a come costruire insieme i racconti della nostra speranza.
Ecco il vostro compito. La sua radice è antica. Il miracolo più grande fatto da Gesù per Simone e gli altri pescatori delusi e stanchi non è tanto quella rete piena di pesci, quanto l’averli aiutati a non essere preda della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle sconfitte. Per favore, non cadere in quella tristezza interiore. Non perdere il senso dell’umorismo che è saggezza, saggezza di tutti i giorni.
Sorelle, fratelli, la nostra rete è per tutti. Per tutti! La comunicazione cattolica non è qualcosa di separato, non è solo per i cattolici. Non è un recinto dove rinchiudersi, una setta per parlare fra noi, no! La comunicazione cattolica è lo spazio aperto di una testimonianza che sa ascoltare e intercettare i segni del Regno. È il luogo accogliente di relazioni vere. Chiediamoci: sono così i nostri uffici, le relazioni fra noi? La nostra rete è la voce di una Chiesa che solo uscendo da sé stessa ritrova sé stessa e le ragioni della propria speranza. La Chiesa deve uscire da sé stessa. A me piace pensare a quel passo dell’Apocalisse, quando Signore dice: «Io sto alla porta e busso» (3,20). Questo lo dice per entrare. Ma adesso, tante volte il Signore bussa da dentro perché noi, i cristiani, lo facciamo uscire! E noi tante volte prendiamo il Signore soltanto per noi. Dobbiamo fare uscire il Signore – bussa alla porta per uscire – e non averlo un po’ “schiavizzato” per i nostri servizi. I nostri uffici, le relazioni fra noi, la nostra rete, sono proprio di una Chiesa in uscita?
Grazie, grazie per il vostro lavoro! Andate avanti con coraggio, con la gioia di evangelizzare. Vi benedico tutti di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!