Domenica 15 dicembre 2024 Papa Francesco è in Corsica dove sta compiendo il suo 47° Viaggio Apostolico Internazionale. Dopo aver incontrato il clero, nel pomeriggio il Pontefice ha presieduto la celebrazione eucaristica nella III Domenica d’Avvento.

Nell'omelia ha detto: «Le Scritture che abbiamo ascoltato ci consegnano due modi di aspettare il Messia: l’attesa sospettosa e l’attesa gioiosa. Si può aspettare la salvezza con questi due atteggiamenti: l’attesa sospettosa e l’attesa gioiosa. Riflettiamo su questi atteggiamenti spirituali».

«Il primo modo di aspettare, quello sospettoso, è pieno di sfiducia e di ansietà. Chi ha la mente occupata in pensieri egocentrici smarrisce la letizia dell’animo: anziché vegliare con speranza, dubita del futuro. Tutto preso da progetti mondani, non attende l’opera della Provvidenza»
ha spiegato. Ed ha osservato:  «Io vedevo in questi giorni a Roma, per le strade, tanta gente che va a fare le spese, le spese, con l’ansia del consumismo, che poi svanisce e lascia niente. Una società così che vive di consumismo, invecchia insoddisfatta, perché non sa donare: chi vive per sé stesso non sarà mai felice. Chi vive così [mano chiusa] e non fa così [mano aperta] non è felice. Chi ha le mani così [mano chiusa ndr], per me, e non ha le mani per dare, per aiutare, per condividere, mai sarà felice. E questo è un male che tutti noi possiamo avere, tutti i cristiani, anche noi, i preti, i vescovi, i cardinali, tutti, anche il Papa». A questo atteggiamento si contrappone il secondo, il quale nasce dalla fede, sottolinea il Santo Padre: «Il secondo atteggiamento è l’attesa gioiosa. E non è facile avere gioia. La gioia cristiana non è affatto spensierata, superficiale, una gioia da carnevale. No. Non è così. È invece una gioia del cuore, basata su un fondamento saldissimo, che il profeta Sofonia, rivolgendosi al popolo, esprime così: gioisci, perché «il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente» (Sof  3,17). Fiducia nel Signore che è in mezzo a noi, è in mezzo a noi».

Omelia del Santo Padre

La gente chiede a Giovanni il Battista: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). Che cosa dobbiamo fare? È una domanda da ascoltare con attenzione, perché esprime il desiderio di rinnovare la vita, di cambiarla in meglio. Giovanni sta annunciando l’arrivo del Messia tanto atteso: chi ascolta la predicazione del Battista vuole prepararsi a questo incontro, all’incontro con il Messia, all’incontro con Gesù.

Il Vangelo secondo Luca testimonia che sono proprio i più lontani ad esprimere questa volontà di conversione: non quelli che socialmente sembravano essere più vicini, non i farisei e i dottori della legge, ma i lontani, i pubblicani, che erano considerati peccatori, e i soldati domandano: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,12). Questa è una bella domanda, che forse oggi, prima di andare a letto, ognuno di noi può dire come preghiera: “Signore, cosa devo fare per preparare il cuore al Natale?”. Chi si ritiene giusto non si rinnova. Coloro invece che venivano considerati pubblici peccatori vogliono passare da una condotta disonesta e violenta a una vita nuova. E i lontani diventano vicini quando il Cristo si fa vicino a noi. Giovanni, infatti, risponde così ai pubblicani e ai soldati: praticate la giustizia; siate retti e onesti (cfr Lc 3,13-14). Coinvolgendo specialmente gli ultimi e gli esclusi, l’annuncio del Signore ridesta le coscienze, perché Egli viene a salvare, non a condannare chi è perduto (cfr Lc 15,4-32). E il meglio che noi possiamo fare per essere salvati e cercati da Gesù, è dire la verità su noi stessi: “Signore, sono peccatore”. Tutti noi lo siamo, qui, tutti. “Signore, sono peccatore”. E così ci avviciniamo a Gesù con la verità, non con il maquillage di una giustizia non vera. Perché viene a salvare proprio i peccatori.

E per questo anche oggi facciamo nostra la domanda che le folle rivolgevano a Giovanni il Battista. Durante questo tempo di Avvento troviamo il coraggio di chiedere, senza paura: “che cosa devo fare?”, “che cosa dobbiamo fare?”. Domandiamolo con sincerità, per preparare un cuore umile, un cuore fiducioso al Signore che viene.

Le Scritture che abbiamo ascoltato ci consegnano due modi di aspettare il Messia: l’attesa sospettosa e l’attesa gioiosa. Si può aspettare la salvezza con questi due atteggiamenti: l’attesa sospettosa e l’attesa gioiosa. Riflettiamo su questi atteggiamenti spirituali.

Il primo modo di aspettare, quello sospettoso, è pieno di sfiducia e di ansietà. Chi ha la mente occupata in pensieri egocentrici smarrisce la letizia dell’animo: anziché vegliare con speranza, dubita del futuro. Tutto preso da progetti mondani, non attende l’opera della Provvidenza. Non sa aspettare con la speranza che ci dà lo Spirito Santo. E allora giunge salutare la parola di San Paolo, che riscuote da questo torpore: «Non angustiatevi per nulla» (Fil 4,6). Quando l’angoscia ci prende, ci rovina sempre. Una cosa è il dolore, il dolore fisico, il dolore morale per qualche calamità in famiglia…; un’altra cosa è l’angoscia. I cristiani non devono vivere con l’angoscia.  Non siate angosciati, delusi, tristi. Quanto sono diffusi questi mali spirituali, oggi, specialmente dove dilaga il consumismo! Io vedevo in questi giorni a Roma, per le strade, tanta gente che va a fare le spese, le spese, con l’ansia del consumismo, che poi svanisce e lascia niente. Una società così che vive di consumismo, invecchia insoddisfatta, perché non sa donare: chi vive per sé stesso non sarà mai felice. Chi vive così [mano chiusa] e non fa così [mano aperta] non è felice. Chi ha le mani così [mano chiusa], per me, e non ha le mani per dare, per aiutare, per condividere, mai sarà felice. E questo è un male che tutti noi possiamo avere, tutti i cristiani, anche noi, i preti, i vescovi, i cardinali, tutti, anche il Papa.

L’Apostolo però ci offre una medicina efficace quando scrive: «In ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti» (Fil 4,6). La fede in Dio dà speranza! Proprio in questi giorni, nel Congresso che ha avuto luogo qui ad Ajaccio, è stato messo in luce quanto sia importante coltivare la fede, apprezzando il ruolo della pietà popolare. Pensiamo alla preghiera del Rosario: se riscoperta e praticata bene, essa insegna a tenere il cuore centrato su Gesù Cristo, con lo sguardo contemplativo di Maria. E pensiamo alle confraternite, che possono educare al servizio gratuito per il prossimo, sia spirituale sia corporale. Queste associazioni di fedeli, così ricche di storia, partecipano attivamente alla liturgia e alla preghiera della Chiesa, che abbelliscono con i canti e le devozioni del popolo. E ai membri delle confraternite raccomando di farsi sempre vicino con disponibilità, soprattutto ai più fragili, rendendo operosa la fede nella carità. E quella confraternita che ha una devozione speciale si faccia vicina a tutti, vicina ai prossimi per aiutarli.

E da qui veniamo al secondo atteggiamento: l’attesa gioiosa. Il primo atteggiamento era l’attesa sospettosa, quell’attesa che è “per me” con le mani che chiudono. Il secondo atteggiamento è l’attesa gioiosa. E non è facile avere gioia. La gioia cristiana non è affatto spensierata, superficiale, una gioia da carnevale. No. Non è così. È invece una gioia del cuore, basata su un fondamento saldissimo, che il profeta Sofonia, rivolgendosi al popolo, esprime così: gioisci, perché «il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente» (Sof  3,17). Fiducia nel Signore che è in mezzo a noi, è in mezzo a noi. Tante volte non ricordiamo questo: è in mezzo a noi, quando facciamo un’opera buona, quando educhiamo i figli, quando ci prendiamo cura degli anziani. Invece non è in mezzo a noi quando facciamo il chiacchiericcio, sparlando sempre degli altri. Lì non c’è il Signore, ci siamo solo noi. La venuta del Signore ci porta la salvezza: perciò è motivo di gioia. Dio è “potente”, dice la Scrittura: Egli può redimere la nostra vita perché è capace di realizzare quello che dice! La nostra gioia non è dunque una consolazione illusoria, per farci dimenticare le tristezze della vita. No, non è una consolazione illusoria. La nostra gioia è frutto dello Spirito Santo per la fede in Cristo Salvatore, che bussa al nostro cuore, liberandolo dalla mestizia e dalla noia. Pertanto l’avvento del Signore diventa una festa piena di futuro per tutti i popoli: in compagnia di Gesù scopriamo la vera gioia di vivere e di donare i segni di speranza che il mondo attende.

E il primo di questi segni di speranza è la pace. Colui che viene è l’Emmanuele, il Dio con noi, che dona la pace agli uomini amati dal Signore (cfr Lc 2,14). E mentre ci prepariamo ad accoglierlo, in questo tempo di Avvento, le nostre comunità crescano nella capacità di accompagnare tutti, specialmente i giovani in cammino verso il Battesimo e i Sacramenti; e in un modo speciale anche i vecchietti, gli anziani. Gli anziani sono la saggezza di un popolo. Non lo dimentichiamo! E ognuno di noi può pensare: come io mi comporto davanti agli anziani? Vado a cercarli? Perdo il tempo con loro? Li ascolto? “Oh no, sono noiosi, con le loro storie!”. Li abbandono? Quanti figli abbandonano i genitori nelle case di riposo. Io ricordo una volta, nell’altra diocesi, sono andato in una casa di riposo a visitare la gente. E c’era una signora che aveva tre, quattro figli. Io domandai: “E i suoi figli come stanno?” – “Stanno benissimo! Ho tanti nipoti” – “E vengono a trovarla?” – “Sì, vengono sempre”. Quando sono uscito l’infermiera mi dice: “Vengono una volta l’anno”. Ma la mamma copriva i difetti dei figli. Tanti lasciano i vecchietti da soli. Fanno gli auguri per Natale o Pasqua al telefono! Prendete cura dei vecchi, che sono la saggezza di un popolo!

E pensiamo ai giovani in cammino verso il Battesimo e i Sacramenti. In Corsica, grazie a Dio, ce ne sono tanti! E complimenti! Mai ho visto tanti bambini come qui! È una grazia di Dio! E ho visto solo due cagnolini. Cari fratelli, fate figli, fate figli, che saranno la vostra gioia, la vostra consolazione nel futuro. Questa è la verità: mai ho visto tanti bambini. Soltanto a Timor-Leste erano tanti così, ma nelle altre città non tanti così. Questa è la vostra gioia e la vostra gloria. Fratelli e sorelle, purtroppo sappiamo bene che non mancano tra le nazioni grandi motivi di dolore: miseria, guerre, corruzione, violenze. Vi dico una cosa: a volte vengono nelle udienze bambini ucraini, che per la guerra sono stati portati qui. Sapete una cosa? Questi bambini non sorridono! Hanno dimenticato il sorriso. Per favore, pensiamo a questi bambini nelle terre di guerre, al dolore di tanti bambini.

La Parola di Dio, però, ci incoraggia sempre. E davanti alle devastazioni che opprimono i popoli, la Chiesa annuncia una speranza certa, che non delude, perché il Signore viene ad abitare in mezzo a noi. E allora il nostro impegno per la pace e la giustizia trova nella sua venuta una forza inesauribile.

Sorelle e fratelli, in ogni tempo e in qualsiasi tribolazione, Cristo è presente, Cristo è la fonte della nostra gioia. È con noi nella tribolazione per portarci avanti e darci la gioia. Teniamo sempre nel cuore questa gioia, questa sicurezza che Cristo è con noi, cammina con noi. Non dimentichiamolo! E così con questa gioia, con questa sicurezza che Gesù è con noi, saremo felici e faremo felici gli altri. Questa dev’essere la nostra testimonianza.