Cardinal Camillo Ruini gave an interview to the diocese weekly Roma Sette.

Il 16 maggio 2023, S.E.R. il Sig. Cardinale Camillo Ruini, Presidente emerito della Commissione internazionale di inchiesta su Međugorje, celebrerà i suoi quarant'anni di ministero episcopale.

Veritas liberabit nos, recita il suo motto episcopale. Il porporato reggiano è stato alla guida della Conferenza Episcopale dal 1991 al 2007. Si tratta dell'ultimo presidente della CEI che ha saputo prendere posizioni chiare, senza usare mezzi termini, in merito a materie politico-morali o questioni sociali. Nonostante qualcuno abbia tentato goffamente di imitarlo, Ruini è stato fedele al suo motto episcopale e non è mai sceso a compromessi. Con Joseph Ratzinger, infatti, ha sempre condiviso un amore per la Verità senza scendere a compromessi.

Dal 1991 al 2008 è stato anche Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma. Fra le molte, ricordiamo la chiara presa di posizione del Vicariato in merito al noto caso di Piergiorgio Welby. Il Vicario Ruini diede disposizione in merito ai funerali e fu pubblicata una nota che diceva: "In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l'eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti". 

Una chiarezza che oggi, certo, manca. Nell'edizione domenicale di RomaSette, settimanale della diocesi di Roma, il giornalista Angelo Zema ha intervistato il Cardinale Ruini alla vigilia del suo quarantesimo di ordinazione episcopale.

Il porporato affida al settimanale una confidenza che, purtroppo, non viene ulteriormente approfondita ma che è destinata a far discutere. Ruini dice: "Papa Francesco, su mia richiesta, è intervenuto due volte per fermare chi, in Vaticano, voleva impedire alla nostra Commissione [di inchiesta su Medjugorje] di portare a termine il suo lavoro". Cosa significa? Chi aveva interesse a intralciare i lavori della Commissione?

Dall'intervista emerge, inoltre, una profonda umiltà di questo principe della Chiesa il quale, al tramonto della propria vita, lascia a Dio solo il giudizio sul suo operato. Certo, noi non possiamo non sottolineare come questo vescovo sia stato amato ed è amato dai suoi preti. Con i suoi limiti, con il suo carattere, certo, ma è un vero pastore con un amore sincero per la Chiesa di Cristo.

Di seguito l'intervista integrale.

d. C. P.

Silere non possum

Eminenza, il 16 maggio 1983 Giovanni Paolo II la nominò vescovo ausiliare per le diocesi di Reggio Emilia e Guastalla. Qual è il ricordo di quella nomina?

Ricordo soprattutto il pomeriggio in cui il mio vescovo, monsignor Gilberto Baroni, mi disse che il Papa mi aveva nominato vescovo ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla e mi chiese di accettare la nomina. Fu per me una sorpresa totale, che mi scosse profondamente.

Chiesi al vescovo un giorno per riflettere, nel quale andai a pregare al Seminario di Marola, poi accettai, consapevole che la mia vita cambiava e che dovevo appartenere al Signore molto più di prima.

Lei si era formato a Roma, all’Almo Collegio Capranica, e aveva studiato alla Pontificia Università Gregoriana.

Quale impronta hanno lasciato questi anni “romani”?

Un’impronta profonda: hanno allargato i miei orizzonti di ragazzo di provincia e mi hanno dato un senso forte dell’universalità della Chiesa e al contempo della sua romanità. Ho ricevuto inoltre una solida formazione teologica e filosofica che mi è stata preziosa non solo per gli anni in cui ho insegnato ma anche per il ministero di vescovo.

Lei fu poi ordinato sacerdote l’8 dicembre 1954 dall’allora vicegerente di Roma, Luigi Traglia, che poi divenne cardinale vicario. Un altro segno di “romanità”. 

Veramente quando sono stato ordinato sacerdote pensavo di ritornare a Reggio Emilia appena terminati gli studi, essendo incardinato a Reggio, e così ho fatto. Mi sono trasferito a Roma solo nel 1986, quando Giovanni Paolo II mi ha nominato segretario della Cei.

Poi arrivarono gli anni del Concilio Vaticano II. Con quale spirito visse quel periodo e quello che ne seguì?

Gli anni del Concilio li ho vissuti da sacerdote a Reggio, con grande fiducia ed entusiasmo. Poi, dopo il Concilio, presi le distanze dalla contestazione che era iniziata ben presto.

Il periodo più significativo del suo ministero episcopale è rappresentato senz’altro dal lungo servizio come vicario di Roma e come presidente della Conferenza episcopale italiana. Quale bilancio trae di queste due esperienze? Cosa pensa di aver lasciato alla diocesi e alla Chiesa italiana?

Non spetta a me fare questo bilancio. Personalmente mi sono impegnato al massimo sia in un ruolo che nell’altro, cercando di aiutare la diocesi di Roma a diventare sempre più missionaria, come voleva Giovanni Paolo II e come è avvenuto con la “Missione cittadina”.

Quanto alla Cei e ai vescovi italiani, ho lavorato per far crescere la consapevolezza che alcuni importanti problemi pastorali vanno affrontati a livello nazionale e non soltanto locale.

Durante il suo servizio come presidente della Cei puntò particolarmente sul rilancio della dimensione culturale della fede. Un’urgenza presente anche oggi. Quali vie percorrere? E quale compito spetta al laicato cattolico?

Oggi la cultura diffusa è sempre più lontana dalla sua matrice cristiana e distoglie la gente dalla fede. Perciò nel 1994 ho proposto un Progetto culturale che aveva invece, in maniera nuova, un’impronta cristiana. Per realizzarlo occorre anzitutto che la Chiesa stessa, e in particolare i laici che hanno responsabilità sociali e culturali, siano convinti di questa necessità.

Lei ha potuto collaborare a lungo come vicario di Roma con Giovanni Paolo II, e per un periodo più breve con Benedetto XVI. Quali ricordi conserva della sua collaborazione con i due Pontefici?

Un ricordo meraviglioso e grato, specialmente riguardo a Giovanni Paolo II che mi ha dato tanta fiducia, oserei dire troppa, e mi ha insegnato a pensare in grande e a confidare nella forza del Vangelo. Il suo coraggio, la sua umiltà, la sua dedizione non hanno uguali

Ha potuto collaborare anche con papa Francesco?

Quando Francesco è diventato Papa ero già emerito da cinque anni: non ho avuto quindi l’occasione di collaborare con lui. Tuttavia ero ancora presidente della Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje e papa Francesco, su mia richiesta, è intervenuto due volte per fermare chi, in Vaticano, voleva impedire alla nostra Commissione di portare a termine il suo lavoro.

Quarant’anni di episcopato sono un traguardo importante. E anche il segno che gli anni passano… Uno dei suoi libri si intitola “C’è un dopo? – La morte e la speranza”. Qual è il ” dopo” che immagina?

Propriamente parlando il “dopo” non possiamo immaginarlo, non ne abbiamo infatti alcuna esperienza. La sostanza però è chiara: saremo per sempre con Dio Padre e con Gesù Cristo e anche con i nostri fratelli che, come noi, speriamo siano salvi per la misericordia di Dio.


Intervista di Angelo Zema a S.E.R. il Sig. Cardinale Camillo Ruini pubblicata il 14 maggio 2023 su RomaSette.