Archbishop Joseph Marino has resigned his position as president of the Pontifical Ecclesiastical Academy
Con un semplice comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, lunedì mattina è stato comunicato che S.E.R. Mons. Joseph Marino ha rinunciato al suo incarico di presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
La notizia ha colto di sorpresa anche gli studenti e i superiori dell’importante istituzione che ha il compito di formare i futuri presbiteri diplomatici. Il prelato americano, infatti, ha chiesto al Pontefice di poter anticipare la propria rinuncia, proprio come previsto dal Regolamento per le Rappresentanze Pontificie. L’articolo 20, appunto, prevede che i rappresentanti pontifici possano chiedere di anticipare il proprio collocamento a riposo al compimento del settantesimo anno di età.
Nella serata di lunedì 23 gennaio 2023, il Segretario di Stato S.E.R. il Sig. Cardinale Pietro Parolin, il quale ne è anche protettore, ha cenato con la comunità per salutare formalmente il presidente uscente.

Sedes vacans
Il Pontefice non ha provveduto a nominare contestualmente il successore dell’arcivescovo Marino, il quale farà ritorno nella sua diocesi di origine, Birmingham in Alabama, per mettersi al servizio del confratello Steven John Raica.
Marino era stato nominato nel 2019, per sostituire S.E.R. Mons. Giampiero Gloder, il quale venne inviato quale nunzio a Cuba. Nominato nunzio nel 2008, Joseph Marino è stato destinato prima alla nunziatura del Bangladesh, dove ha servito dal 2008 al 2013, e dal 2013 era stato nominato nunzio apostolico in Malesia e Timor Est e delegato apostolico in Brunei.
La comunità ora è in attesa del presidente, il quale ha il compito di scegliere, ogni anno, una dozzina di presbiteri da destinare alla missione diplomatica della Santa Sede, Inoltre, deve accogliere e formare i futuri diplomatici.

La Pontificia Accademia Ecclesiastica
La Pontificia Accademia Ecclesiastica è
oggi l’istituzione in cui si formano i sacerdoti che si preparano a far
parte del servizio diplomatico della Santa Sede, presso le Nunziature
Apostoliche o la Segreteria di Stato.
Fu fondata a Roma nel 1701 dall’abate Pietro Garagni,
con il consiglio del beato Sebastiano Valfrè, dell’Oratorio di S.
Filippo Neri di Torino. La sua prima denominazione fu “Accademia dei
Nobili Ecclesiastici”. Essa, nell’intenzione del fondatore, doveva
diffondersi anche in altre diocesi. La sua prima sede fu il Palazzo
Gabrielli a Monte Giordano, oggi Palazzo Taverna. Sin dall’inizio
l’Accademia ricevette l’approvazione di Papa Clemente XI e a soli 20
anni dalla sua fondazione contava più di 150 ex alunni.
Il
governo dell’Accademia era affidato ad un Superiore, scelto tra i
convittori, in età non inferiore ai 30 anni. Nella scelta si badava alla
“maggiore esperienza, attitudine e spirito ecclesiastico del
candidato”.
Nell’anno 1703, il Papa
Clemente XI decise di prendere l’Accademia sotto la sua immediata cura e
dispose che la stessa fosse trasferita al Palazzo Gottofredi, in Piazza
Venezia. Poi, il 2 giugno 1706, l’Accademia si trasferiva nell’antico
Palazzo Severoli, di Piazza della Minerva, sua sede ancora oggi.
Con
la morte di Clemente XI e del cardinale Imperiali, Protettore
dell’Accademia, essa si trovò in situazione economica assai difficile.
Inoltre, i Padri della Missione, ai quali era stata affidata la
direzione dell’Istituto, lasciarono l’incarico nel 1739.
Divenuto
Pontefice, con il nome di Clemente XIII, il cardinale Rezzonico, che
era stato alunno dell’Accademia, tentò di risollevarla, ma, – come
riferisce il cronista dell’epoca – preferì poi sospendere l’attività
dell’Istituto per riprenderla in circostanze migliori, che si speravano
non molto lontane. Purtroppo, durante gli 11 anni in cui l’Accademia
rimase chiusa, un amministratore poco scrupoloso s’impossessò dei beni
che rimanevano. Lo stabile diventò una specie di pubblico alloggio e un
gruppo di dieci inquilini si appropriò di ciò che serviva al proprio
comodo e perfino diede in uso delle stanze a privati e mercanti.
L’Accademia fu ridotta “peggio non dico di una locanda, ma di una
stalla”, scrive il cronista.
Nel
conclave del 1775 fu posta la questione della riapertura dell’Accademia.
Appena avvenuta l’’elezione di Papa Pio VI, l’Accademia fu riaperta nel
mese di novembre dello stesso anno e ne fu nominato Presidente il
Reverendo Padre Paolo Antonio Paoli, Procuratore generale della
Congregazione della Madre di Dio in Campitelli. Nell’anno successivo, il
Pontefice Pio VI volle visitare personalmente l’Accademia. Inoltre,
durante il suo pontificato fu istaurata la consuetudine che un alunno
dell’Accademia pronunciasse un discorso alla presenza del Santo Padre
nella festa della Cattedra di San Pietro.
Pio
VI dedicò particolare attenzione al sostentamento economico
dell’Accademia. Infatti, in seguito all’estinzione dell’Ordine dei
Canonici Regolari di S. Antonio di Vienna, assorbito dall’Ordine di
Malta, i beni appartenenti a detti Canonici Regolari che si trovavano
entro i confini degli Stati Pontifici furono devoluti all’Accademia, con
Breve Pontificio del 17 dicembre 1777. E poiché S. Antonio Abate era il
Protettore dell’Ordine estinto, dallo stesso Papa Pio VI fu dichiarato
Patrono dell’Accademia “propter dictam unionem bonorum”. Con
queste donazioni, vi fu un periodo fortunato per l’Accademia, visitata
dal Papa per una seconda volta nel mese di marzo del 1778. Proprio in
questo periodo fu alunno dell’Accademia Annibale della Genga, il quale
nel 1823 fu eletto alla Cattedra di Pietro con il nome di Leone XII.
Con
la rivoluzione del 1798, anche l’Accademia fu travolta e costretta a
rimanere di nuovo chiusa per un periodo di cinque anni. Riaperta poi nel
1803, per decisione del Papa Pio VII, divenne un istituto ecclesiastico
con normali corsi di teologia e di diritto, e con il privilegio di
presentare ogni anno all’Università della Sapienza due alunni, per
conseguire la laurea rispettivamente in teologia e in diritto.
Purtroppo, soprattutto per un rilassamento nella disciplina, l’Accademia
cadde in progressiva disistima.
Preoccupato
per il cattivo andamento dell’Istituto, sin dagli inizi del suo
Pontificato, il beato Pio IX creò una speciale Commissione di Cardinali,
alla quale affidò l’incarico di prendere le necessarie misure per
rimettere l’Accademia sulla buona strada. I Porporati giunsero alla
decisione di chiuderla a tempo indeterminato. Tutti gli alunni furono,
infatti, licenziati al termine dell’anno scolastico 1847. Nei locali
dell’Accademia, in seguito alle agitazioni popolari del 1848 e 1849,
s’insediò il Ministero della Guerra e della Marina della Repubblica
Romana e alcuni suoi beni furono poi confiscati dalle truppe francesi.
Nel
1850 l’Accademia poté finalmente riprendere la propria attività,
acquistando una nuova fisionomia e una più specifica finalità. Secondo
il regolamento emanato da Pio IX, l’Istituzione ha assunto lo scopo ben
determinato di formare i giovani ecclesiastici o per il servizio
diplomatico della Santa Sede, o per il servizio amministrativo in Curia o
nello Stato Pontificio. Fu stabilito l’obbligo di ottenere la laurea in
teologia e in diritto e gli alunni dovevano seguire un corso triennale
di diplomazia e di lingue estere.
Nel
1878 fu eletto Papa un altro ex alunno dell’Accademia, il cardinale
Gioacchino Pecci, il quale assunse il nome di Leone XIII. Il Pontefice
volle subito dare ancora maggiore serietà alla preparazione
intellettuale degli accademici, imponendo ai medesimi periodiche
dissertazioni pubbliche.
Nei primi
decenni del secolo XX e particolarmente sotto la Presidenza di mons.
Rafael Merry del Val, futuro Segretario di Stato del Papa S. Pio X,
l’Accademia ospitò numerosi inglesi, convertiti al cattolicesimo, i
quali andavano preparandosi al sacerdozio.
Nel
conclave del 1914 fu eletto Papa, con il nome di Benedetto XV, il
cardinale Giacomo Della Chiesa, che dell’Accademia prima fu alunno e poi
professore di stile diplomatico.
Nuovo
impulso e, per così dire, una filosofia più corrispondente ai nostri
tempi ricevette l’Accademia dai Papi Pio XI e Pio XII. Il primo, stabilì che il Protettore di essa fosse il Segretario di Stato pro tempore e diede all’Istituto l’’attuale nome di “Pontificia Accademia Ecclesiastica”. Il
secondo, professore per cinque anni di diplomazia ecclesiastica presso
l’Accademia, dispose che fosse redatto un nuovo regolamento, emanato nel
1945, che è tuttora in vigore.
L’interno
dello stabile dell’Accademia fu completamente ristrutturato per opera
di San Giovanni XXIII. Anche San Paolo VI ne fu alunno.
Benedetto XVI, ricevendo la Pontificia Accademia Ecclesiastica, disse: “Nella concezione tradizionale, già propria del mondo antico, l’inviato,
l’ambasciatore, è essenzialmente colui che è stato investito
dell’incarico di portare in maniera autorevole la parola del Sovrano e,
per questo, può rappresentarlo e trattare in suo nome. La
solennità del cerimoniale, gli onori tradizionalmente resi alla persona
dell’inviato, che assumevano anche tratti religiosi, sono, in realtà, un
tributo reso a colui che rappresenta e al messaggio di cui si fa
interprete. Il rispetto verso l’inviato costituisce una delle forme più
alte di riconoscimento, da parte di un’autorità sovrana, del diritto ad
esistere, su di un piano di pari dignità, di soggetti altri da sé.
Accogliere, quindi, un inviato come interlocutore, riceverne la parola,
significa porre le basi della possibilità di una coesistenza pacifica.
Si tratta di un ruolo delicato, che richiede, da parte dell’inviato, la
capacità di porgere tale parola in maniera al tempo stesso fedele, il
più possibile rispettosa della sensibilità e dell’opinione altrui, ed
efficace. Sta qui la vera abilità del diplomatico e
non, come talora erroneamente si crede, nell’astuzia o in quegli
atteggiamenti che rappresentano piuttosto delle degenerazioni della
pratica diplomatica. Lealtà, coerenza, e profonda umanità sono
le virtù fondamentali di qualsiasi inviato, il quale è chiamato a porre
non solo il proprio lavoro e le proprie qualità, ma, in qualche modo,
l’intera persona al servizio di una parola che non è sua.
Le
rapide trasformazioni della nostra epoca hanno riconfigurato in maniera
profonda la figura e il ruolo dei rappresentanti diplomatici; la loro
missione rimane tuttavia essenzialmente la stessa: quella di essere il
tramite di una corretta comunicazione tra coloro che esercitano la
funzione del governo e, di conseguenza, strumento di costruzione della
comunione possibile tra i popoli e del consolidarsi tra di essi di
rapporti pacifici e solidali”.
S.I.
Silere non possum