Città del Vaticano – Quando, lo scorso 9 aprile 2025, Silere non possum aveva reso noto il progetto di Mons. Michele Di Tolve di sistemare la madre nell’appartamento riservato al Vicegerente della diocesi di Roma, la vicenda aveva sollevato non poche perplessità dentro e fuori le mura leonine. A motivo del clamore della notizia, quella soluzione non si concretizzò con "buona pace" di Di Tolve. Ora, il vescovo ausiliare e rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore ha trovato un’alternativa: ha risistemato l’appartamento riservato al Cardinale Vicario all’interno del seminario stesso, per ricavarne l’alloggio destinato alla madre.

La signora Di Tolve ha dunque un luogo in cui vivere dentro il Seminario Romano Maggiore, nello stesso edificio che ospita i seminaristi in formazione, il loro padre spirituale, i formatori e il rettore. Un esempio quantomeno discutibile, se pensiamo che molti vescovi e formatori insistono – giustamente – sul fatto che il sacerdote non debba essere un “mammone”, incapace di tagliare il cordone ombelicale, e che la presenza ingombrante di figure familiari può compromettere la maturazione affettiva e spirituale dei candidati al sacerdozio.

Di Tolve, invece, ha scelto la via opposta: non solo porta con sé la madre, ma la colloca proprio nell’appartamento del cardinale vicario al piano nobile del Seminario, accanto alla cappella affrescata da Marko Ivan Rupnik e agli spazi destinati al rettore e al padre spirituale. Un appartamento di servizio, pensato per la missione ecclesiale, che diventa così una residenza utilizzata per scopi privati.

Un simbolo di incoerenza

Il gesto stride con l’immagine di rigore che Di Tolve ama trasmettere ai seminaristi. Basterebbe ricordare il suo passato a Milano, dove l’Arcivescovo Mario Delpini lo rimosse dall’incarico di rettore del Seminario di Venegono per le modalità oppressive e il clima da “sorveglianza continua” che aveva instaurato. Regole inflessibili per gli altri, elasticità per sé stesso: il copione sembra ripetersi a Roma.

Non mancano, tra i sacerdoti, voci critiche: «È surreale – commenta un sacerdote – ci viene ripetuto che i preti devono imparare a stare da soli, senza le mamme a fare da balia. Poi però vediamo un vescovo che, invece di dare l’esempio, trasforma l’appartamento del cardinale in una dépendance per la madre».

Una contraddizione rispetto agli intenti di Francesco

La vicenda apre una questione più ampia: davvero sono questi gli uomini scelti da Papa Francesco per combattere la corruzione e la malagestione? Un appartamento destinato al servizio ecclesiale viene trasformato in residenza privata familiare, proprio nel cuore del seminario diocesano. Se l’intento del Papa era “riformare il Vicariato” e restituirgli trasparenza, casi come quello di Di Tolve rischiano di andare nella direzione opposta, alimentando la percezione di una Chiesa dove i proclami sul rigore valgono solo per i piccoli, mentre i “protetti” possono permettersi eccezioni inimmaginabili. All’ordinazione episcopale, l’arcivescovo Mario Enrico Delpini gli aveva rivolto un augurio pungente: «Spero che non sarai disturbato dai preti ambrosiani a caccia di udienze papali, perché sarai già abbastanza impegnato nel tuo nuovo incarico». In realtà, però, Di Tolve non ha rinunciato affatto a quel palcoscenico: continua a farsi vedere alle udienze pontificie e arriva persino a condurvi intere classi di ex seminaristi di Venegono, senza nemmeno informare – né tanto meno coinvolgere – il loro arcivescovo.

Nella diocesi di Roma il malcontento del clero è ormai cronico e la fiducia in un reale cambiamento sembra svanita. «Se Leone XIV non avrà il coraggio di allontanare certi personaggi – a cominciare da Tarantelli e Di Tolve – la diocesi non potrà che scivolare sempre più nel degrado», mormorano alcuni preti nei corridoi del Vicariato.

d.A.E.
Silere non possum