Il Festival Le X Giornate si è aperto giovedì 19 settembre 2024 nel Cortile d'onore dell'Istituto Cesare Arici. Si tratta di un evento organizzato dalla Fondazione Soldano dal 2006 e disegna dieci giorni di grandi eventi all’insegna della contaminazione tra arti, saperi, linguaggi. Un percorso scandito da grandi concerti e riflessioni filosofiche, che vedono in campo artisti di fama internazionale e alcuni tra gli esponenti più noti e celebrati del mondo culturale italiano.

La prima serata è stata ospitata dall'Istituto vescovile della Diocesi di Brescia. Il Vescovo S.E.R. Mons. Giacinto Tredici decretò la costituzione della Fondazione “Alma Tovini Domus”, con la finalità di “coltivare e approfondire l’istruzione e l’educazione religiosa e cristiana della gioventù, specie degli studenti”, e le affidò il compito di guidare l’Istituto “Cesare Arici”. Accogliendo il Festival e i suoi ospiti, il presidente della Fondazione, Avv. Andrea Zaglio, ha ringraziato i sostenitori dell'iniziativa, fra cui la diocesi di Brescia che era rappresentata dal reverendo Monsignor Raffaele Maiolini, vicario episcopale per la cultura, e ha ricordato che questo evento serve a «rendere consapevoli i nostri ragazzi di tutti i talenti di cui sono ricchi e attraverso quei talenti si possono donare alle attività e diventare il patrimonio di cui tutti abbiamo bisogno per cercare di creare quella civiltà dell'amore a cui tutti ambiamo». La prima serata si è aperta con un ospite particolarmente caro ai giovani e che è di casa nelle aule scolastiche: Alessandro D'Avenia. 

«Questo è un momento importantissimo per noi, con un personaggio che il Festival aspettava da molto tempo, un uomo straordinario», ha detto il direttore artistico e presidente della Fondazione Soldano, dott. Daniele Alberti, che si occupa dell'organizzazione di questo evento prezioso per la città di Brescia. Il dirigente scolastico, prof.ssa Paola Amarelli ha ricordato che «La scuola è il luogo delle relazioni autentiche, in primis nella relazione feconda con la cultura» poi, citando il professor Dionigi ha sottolineato: «La scuola è il luogo dove i giovani e gli adulti insieme, con le conoscenze e le esperienze, affrontano e condividono la serietà, la severità, la bellezza tremenda e stupenda di quella cosa che chiamiamo vita». Fra gli alunni dell'Istituto Arici vi fu anche il santo pontefice Giovanni Battista Montini. Il 21 marzo 1968, Egli affidò un compito all’Istituto: essere scuola cattolica che «spalanca le finestre sulla Chiesa, sul mondo, e vi educa a pensare, ad agire in funzione dell’intera umanità. Non una Scuola chiusa, un «ghetto», come oggi si dice, è una Scuola cattolica, ma un’aula aperta al soffio universale dei grandi problemi, dei grandi ideali, delle grandi cause».

Pensando all'affresco situato all'interno della Cappella Sistina, custodita qui in Vaticano, il professor D'Avenia ha detto: «Il dito dell’insegnante, al contrario di quello di Dio, de-crea quando scorre sul registro in cerca di una “vittima”. Siate più tranquilli, ma non spavaldi. D’altra parte se queste generazioni vengono definite ansiose è per via della cultura della performance, della tensione, perché abbiamo creato le carriere. Sulla mia lapide non vorrei che fosse scritto “D’Avenia corse”, bensì “D’Avenia stette, si riposò e continua a farlo, poiché era libero dalla carriera”».

«Stasera partirei da questa parola, che proviene dal greco σχολή (scholé) - ha detto lo scrittore. La sua traduzione è “tempo libero”. Ma da cosa? Nella società greca era tempo libero dalla lotta per non morire. E, se consideriamo che l’uomo è l’unico essere vivente consapevole che prima o poi andrà incontro alla morte, questo fa tutta la differenza del mondo: la scuola è il posto dove i nuovi arrivati cominciano a essere vivi, e non solo esseri viventi». Compito del professore, ha ricordato D'Avenia, è quello di mettere lo studente, il nuovo arrivato, davanti al proprio dolore. 

«E perché piangi, dimmi, perché ti lamenti accorato
quando il destin degli Argivi tu ascolti, dei Danaï, d’Ilio?» (
Canto VIII, 570).

«Quando accettiamo la mortalità, con le lacrime - spiega D'Avenia - cominciamo a stare davanti alla vita». E ancora: «Il primo capitolo dell'Odissea è una piccola scuola in miniatura, in cui si dice ad uno che ancora si lamenta della vita, di cominciare a vivere. Partendo da ciò che non va, da ciò che lo fa sentire nessuno, che suo padre non c'è e deve andarlo a cercare». 

D'Avenia ha offerto un interessante rovesciamento della realtà: «Giustifichiamo la presenza, non l'assenza». In questo modo - ha spiegato - emergerà un destino, una vocazione. Solo in questo modo la scuola non sarà più una competizione, D'Avenia sottolinea anche come la disposizione in aula sia più simile ad una trincea che ad un luogo di apprendimento, ma piuttosto un luogo dove ognuno mette in condivisione il proprio talento. «Proprio come fa Telemaco, la classe diventa un luogo dove si mette in circolazione, un insieme di compagni, compagni di navigazione. "Compagno" significa cum-panis, quindi colui con cui si spezza insieme il pane». 

Lo scrittore spiega: «Ulisse ha tutto ciò che si può desiderare e per sempre, ma piange perché non gli basta essere vivente, vuole essere vivo. E per questo vuole tornare a Itaca. Calipso - il cui nome significa «colei che nasconde/copre», il contrario della parola greca che indica la verità (aletheia), cioè ciò che deve venire alla luce, non deve essere dimenticato e quindi essere «scoperto» - cerca di convincerlo: «Vuoi tornare a casa? Se tu sapessi quante pene dovrai sopportare prima di giungere in patria, qui rimarresti e con me vivresti immortale in questa casa, tu che desideri tanto rivedere la sposa, e ogni giorno, sempre, la brami. Non credo di essere a lei inferiore nel corpo, nella figura: non possono, le donne mortali, competere con le dee per bellezza». Non solo lei è e sarà sempre più bella di Penelope, ma la loro unione procura immortalità anche a lui. Ulisse risponde eroicamente: «So bene che Penelope è a te inferiore nell’aspetto: lei è mortale, tu immortale e giovane sempre. E tuttavia io desidero e voglio tornare a casa». Ulisse ha risposto a Calipso, la ragione delle sue lacrime. C’è lei, Penelope. Colei per la quale Ulisse ha scelto di tornare, l’ Odissea è un viaggio con biglietto di solo ritorno, e se definiamo la vita, unico titolo d’opera che ha il privilegio dell’antonomasia, un’odissea, allora la vita è un viaggio di solo ritorno, a sé stessi e a qualcuno. All’essenziale, all’originale, che continuiamo a tradire con illusioni di destino spacciate, da noi stessi o dal mondo, per immortalità. 

«Non c'è eroismo senza erotismoSe non sei capace di dire e scegliere qualcuno per cui perdere la vita» ha spiegato l'autore di Resisti cuore. Ha aggiunto: «Sono vivo per far venire agli uomini nostalgia della bellezza. Oggi pensiamo che è felice chi ha successo. Non funziona così. Nei curriculum scriviamo molte cose ma dovremmo piuttosto concentrarci su altro. Raccontami le tue ferite, dove ti sei perso» ed ha ricordato la splendida poesia di Wisława Szymborska.

In conclusione D'Avenia afferma e si domanda: «Per avere la vita bisogna darla. È un paradosso. Per chi sei disposto a dare la vita?» Le parole dello scrittore ricordano quelle di Gesù nel Vangelo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). «Solo nella relazione si genera mondo. Ulisse e Penelope sono l'uno terrà ferma dell'altra. Via auguro di tornare a Itaca» ha detto l'autore. 

Il Festival Le X Giornate prosegue con un interessante programma ricco di conferenze e spettacoli fino al 28 settembre 2024. 

Felipe Perfetti

Silere non possum