Città del Vaticano - In queste ore, alcuni "giornalai vaticanisti" hanno avviato una nuova campagna diffamatoria contro il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo emerito di Lima. È l’ennesimo episodio di una strategia mediatica ormai ben collaudata, in cui non si cerca la verità, ma si colpisce un uomo di Chiesa per ciò che rappresenta, e non per ciò che avrebbe eventualmente commesso. Dietro le quinte, si muovono dinamiche ideologiche e battaglie politiche mascherate da zelo giustizialista.
Nei mesi scorsi, alcuni giornali spagnoli – tra cui lo schifoso El País – avevano diffuso l’esistenza di un provvedimento che doveva rimanere riservato, del Dicastero per la Dottrina della Fede a carico del cardinale Cipriani. Nessuna trasparenza, nessun contraddittorio, nessuna prova concreta: solo un documento che imponeva sanzioni pesanti al porporato, tra cui il divieto di risiedere in Perù e l’utilizzo delle insegne episcopali. Si è trattato, in tutta evidenza, di una crociata personale contro un uomo colpevole – agli occhi di questi ambienti – unicamente di appartenere all’Opus Dei e di aver incarnato, nel suo episcopato, una visione fedele alla dottrina della Chiesa.
Va sottolineato con forza: si tratta di uno dei tanti provvedimenti che il Dicastero per la Dottrina della Fede ha emesso negli ultimi anni in palese violazione del diritto canonico, che dovrebbe essere la garanzia minima di giustizia in seno alla Chiesa. Non c’è stato alcun processo regolare. Nessuna possibilità di difesa. Solo la brutale imposizione di pene, come in un regime in cui il sospetto basta per condannare. Il cardinale Cipriani ha spiegato pubblicamente che non gli è mai stata presentata una sola prova concreta a sostegno delle accuse. E tuttavia, la macchina punitiva si è mossa lo stesso, alimentata più dall’odio ideologico che dalla ricerca della verità. Del resto, se il Papa si sente libero di inserire ed espellere membri del Sacro Collegio a suo piacimento, addirittura delineando quali diritti un prelato può avere e quali no, dov'è la giustizia?
Emblematico è il livello di ignoranza – o meglio, di malafede – con cui i giornalai trattano la questione. Si parla a sproposito del “divieto di indossare l’abito cardinalizio”, quando il provvedimento menziona unicamente le insegne, le quali sono quelle episcopali come mitria e il pastorale. Ma i soliti noti – tra cui spicca il nome dell'analfabeta Iacopo Scaramuzzi – continuano a rimestare nel torbido, in quelle ore in cui non sono davanti ai cancelli dell’Aula Paolo VI come avvoltoi, cercando lo scoop. Anche Domenico Agassi, incompetente come il suo predecessore, in queste ore ha pubblicato un articolo sul tema mettendo foto di porporati che nulla centrano con la questione. Si tratta degli amici di Andrea Tornielli, diffamatori professionisti come lui, non c'è da stupirsi.
La realtà è un’altra, ben più semplice: il cardinale Cipriani si trova a Roma su precisa convocazione del cardinale decano, come previsto dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis (38), la quale obbliga tutti i cardinali elettori – e persino quelli ultraottantenni – a recarsi a Roma per l’elezione del nuovo Pontefice, a meno che non sussistano impedimenti gravi. La lettera di convocazione, come aveva correttamente documentato Silere non possum, è stata inviata a tutti. Cipriani non ha fatto altro che obbedire.
È quindi ora di chiarire un punto essenziale: ogni volta che sui giornali si legge che il Sacro Collegio sarebbe “agitato” o “diviso” per questioni di questo tipo, si tratta di falsità. Il Collegio cardinalizio, composto da uomini di fede ed esperienza, è preoccupato per ben altro. Si interroga sul futuro della Chiesa, sulla necessità urgente di restaurare un senso di giustizia e legalità che oggi sembra smarrito. I cardinali non vogliono un nuovo pontefice che segua le orme di chi ha governato con arbitrio e disprezzo per il diritto. Vogliono un uomo giusto, capace di rispettare la dignità delle persone, di tutelare la presunzione d’innocenza e di ristabilire la centralità della legge nella vita della Chiesa oltre che rimettere Gesù Cristo al centro delle nostre vite.
Queste campagne mediatiche non fanno altro che rafforzare la determinazione di molti porporati: dopo anni di abusi istituzionali, è tempo di voltare pagina. I giornalai, quindi, continuino pure.
p.D.F.
Silere non possum