Città del Vaticano – È stato un percorso irto di tensioni, incomprensioni e contrapposizioni quello che ha condotto la Chiesa italiana fino alla soglia della Terza Assemblea sinodale, prevista per il 25 ottobre 2025. Nei giorni scorsi i vescovi, al termine del Consiglio Permanente, hanno diffuso un comunicato che sintetizza il lavoro svolto in questi mesi: «L’impegno di educare alla fraternità, alla responsabilità sociale e alla partecipazione civica ha trovato nel Cammino sinodale un’occasione concreta per ripensare percorsi formativi e priorità pastorali. Il richiamo di Papa Leone XIV alla Chiesa a essere “lievito di unità, di comunione, di fraternità” ha guidato la riflessione del Consiglio Permanente sulla bozza del Documento di sintesi che verrà presentato, per la votazione, alla Terza Assemblea sinodale. Il testo è stato preparato, sulla base degli emendamenti emersi nella Seconda Assemblea sinodale (31 marzo – 3 aprile 2025), attraverso un intenso lavoro di sei mesi della Presidenza CEI, del Comitato del Cammino sinodale, dello stesso Consiglio Permanente e degli Organismi della CEI. I Vescovi hanno espresso unanime apprezzamento per il lavoro svolto e per i contenuti della bozza, presentando alcune proposte di integrazione che sono state votate e inserite nel testo. Il documento sarà consegnato nei prossimi giorni ai delegati delle Diocesi i quali, attraverso un confronto nelle Regioni ecclesiastiche, potranno a loro volta portare il loro contributo».

I presuli hanno quindi ratificato all’unanimità il percorso futuro, approvando che il Documento di sintesi venga votato durante la Terza Assemblea sinodale di ottobre. Hanno inoltre fissato le tappe successive: l’81ª Assemblea Generale(Assisi, 17-20 novembre 2025) sancirà la chiusura del Cammino sinodale con la ricezione del Documento di sintesi; successivamente un gruppo di vescovi, supportati da esperti, elaborerà le prospettive pastorali che accompagneranno le Chiese in Italia fino all’82ª Assemblea Generale (Roma, 25-28 maggio 2026).

Oggi Silere non possum pubblica in esclusiva il nuovo documento Lievito di pace e di speranza, insieme al video destinato ai referenti sinodali, affinché riflessioni e priorità non rimangano patrimonio di una ristretta élite, ma possano essere condivise e valutate da tutta la comunità dei fedeli e dai loro pastori






La crisi di aprile

Com’è noto, il Sinodo è divenuto il tema privilegiato di una parte della Chiesa che sembra incapace di vivere senza riunioni, conferenze e dibattiti su questioni più politiche che evangeliche. Il contrasto con quanto afferma Leone XIV è evidente: per il Papa si tratta di valorizzare un metodo, quello sinodale appunto, che dovrebbe coinvolgere anzitutto i primi collaboratori dei vescovi, cioè i sacerdoti, mentre in queste assemblee si finisce per mettere in discussione tutto – persino la centralità di Gesù Cristo – sostituendo sempre più spesso il Vangelo con agende civili e temi sociali. Da qui nascono le divisioni. L’assemblea di primavera avrebbe dovuto rappresentare un punto di arrivo, raccogliendo in un testo condiviso i frutti di quattro anni di lavori. Ma il 29 marzo, quando i delegati ricevettero via e-mail i due documenti (Proposizioni e Metodologia gruppi), la sintesi in 50 punti predisposta da mons. Claudio Giuliodori si rivelò esplosiva.

La drastica riduzione del materiale – passata da 74.000 a 46.000 battute, eliminando citazioni e dettagli – fu percepita come un tradimento del percorso. «Il lavoro di quattro anni si è ridotto a nulla», protestarono vescovi e laici, soprattutto dell’area progressista. Nei gruppi non si limitarono a proporre emendamenti, come richiesto, ma arrivarono a chiedere la riscrittura completa del documento. Il clima degenerò. Mons. Giuliodori, infastidito, arrivò a non presentarsi in aula. L’assemblea fu sospesa e tutto rinviato al 24-26 ottobre 2025, in concomitanza con il Giubileo delle équipe sinodali.

Il rischio denunciato da Benedetto XVI

La vicenda ha reso evidenti i rischi già denunciati da Benedetto XVI in Fede, verità, tolleranza: l’ambiguità di termini come “dialogo”, “apertura” o “aggiornamento”, quando non ancorati alla dottrina, può aprire la porta a ideologie secolari. È quanto emerso anche in aula: invece di restare centrato sull’annuncio di Cristo, il Sinodo ha dato spazio a logiche di rivendicazione e ad ambizioni personali, trasformandosi in un’arena politica più che ecclesiale.

Il nuovo testo: “Lievito di pace e di speranza”

Il documento approvato a settembre si presenta con un respiro diverso: non una semplice raccolta di proposizioni, ma un testo che si sviluppa in maniera organica e narrativa, richiamandosi al Concilio Vaticano II, al magistero di Papa Francesco e, qua e là, alle prime indicazioni di Leone XIV.  L’incipit sceglie l’immagine evangelica del lievito, segno della missione della Chiesa come fermento di unità, pace e fraternità, e l’intero impianto si muove lungo tre direttrici già utilizzate ad aprile: la conversione missionaria, che pone l’annuncio del Vangelo come criterio di discernimento; la corresponsabilità, che riconosce e valorizza i carismi di laici e pastori; l’apertura ai segni dei tempi, che si traduce in un’attenzione a giustizia sociale, tutela del creato, linguaggi digitali e coinvolgimento dei giovani. È chiaro che emergono non poche criticità. Gran parte del testo, infatti, concentra l’attenzione su temi di natura politico-sociale – pace, nonviolenza, ambiente, economia solidale, inclusione, lotta alle mafie – certamente rilevanti, ma che rischiano di oscurare la centralità dell’annuncio del Vangelo e della salvezza delle anime, cuore della missione ecclesiale.  Il tema della liturgia, in particolare, non manca di sollevare perplessità. L’invito a ripensarne gesti, linguaggi e stili per renderla “più accessibile” sembra configurarsi come un ulteriore passo verso la banalizzazione del rito, con il rischio di smarrire il senso del sacro e della trascendenza. Ma siamo davvero certi che le chiese si svuotino perché la gente desidera battere le mani o “capire meglio”? O non sarà, piuttosto, che molti si allontanano proprio perché percepiscono che abbiamo smarrito la dimensione del mistero, sostituita dall’illusione di dover spiegare tutto, quando in realtà la liturgia ci invita prima di tutto ad affidarci a ciò che supera la nostra comprensione?

Un altro nodo rilevante riguarda l’enfasi eccessiva sulla corresponsabilità e sul ruolo decisionale degli organismi di partecipazione, che finisce per alimentare l’ennesima deriva assembleare, riducendo il carattere sacrale e gerarchico del clero e lasciando intravedere una sorta di “protestantizzazione” del governo ecclesiale. Ancora una volta, si evita di affrontare con serietà la questione decisiva della potestà di governo, che i laici non possiedono né possono possedere. L’assenza di una riflessione autentica e approfondita su questo punto appare tanto più grave quanto più si insiste a promuovere modelli che rischiano di confondere i ruoli e snaturare la struttura stessa della Chiesa. A ciò si aggiunge un altro elemento critico: la mancanza di riferimenti solidi alla Tradizione. Il documento, infatti, privilegia citazioni del Concilio Vaticano II, di Papa Francesco e di un linguaggio di taglio prevalentemente sociale, ma trascura quasi del tutto l’immenso patrimonio del Magistero precedente, così come le voci dei Padri della Chiesa, ridotte a richiami marginali.

Dalla protesta alla proposta

Il nuovo documento sembra rifiutarsi di guardare in faccia la realtà e arriva ad affermare: «Lo Spirito agisce anche attraverso tensioni e imprevisti». Eppure, ciò che accade nel Cammino Sinodale italiano assomiglia più al dibattito di un qualunque parlamento, dove si discutono norme, linguaggi e orientamenti politici, piuttosto che al discernimento ecclesiale. Ma questo non dovrebbe mai essere lo stile della Chiesa. Restano allora domande inevitabili: perché vengono ascoltate soltanto alcune voci, quelle che spingono verso le mode del momento? Perché non trovano spazio posizioni più equilibrate, che desiderano sinceramente una Chiesa capace di annunciare Cristo, e non di trasformarsi nel surrogato di un partito di sinistra che in Italia peraltro manca? Alla fine, la questione resta aperta: l’esperienza sinodale italiana saprà davvero evitare il rischio di scivolare in una sorta di democrazia ecclesiale, dove ogni opinione pesa allo stesso modo, anche a costo di smarrire la voce del Vangelo?


R.A.
Silere non possum