Priest Mauro Galli was unjustly condemned by the Italian court. The ecclesiastical court acquitted him.

a Corte d’Appello di Milano (Correra-Galoppi-Rinaldi) ha emesso una sentenza di condanna di tre anni di reclusione ai danni del Rev.do don Mauro Galli, presbitero dell’Arcidiocesi di Milano. La condanna è stata inflitta a seguito di un annullamento da parte della Corte di Cassazione italiana della precedente sentenza.

Il reato per il quale il sacerdote viene condannato non è più il 609 bis del codice penale italiano, ovvero la violenza sessuale ma 609 quater, atti sessuali con minorenne. 

Recita l’articolo: “Fuori dei casi previsti dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni”. Inoltre, è stata riconosciuto l’attenuante “Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”. 

Il sacerdote sconterà la sua pena agli arresti domiciliari. Pur rispettando la sentenza dell’autorità giudiziaria italiana, riteniamo che tale decisione sia ingiusta e il Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo ne ha spiegato le motivazioni assolvendo il Galli già nel 2019. 

I fatti

Per spiegare come realmente sono andati i fatti, dobbiamo ripercorrere quanto accaduto in questi anni in cui don Mauro Galli, e con lui tutta l'Arcidiocesi di Milano, sono stati sottoposti ad una gogna mediatica senza precedenti.

La notte fra il 19 e il 20 dicembre 2011 un ragazzo di 15 anni e sette mesi (nato il 19 maggio 1996) ha dormito nel medesimo letto del sacerdote a Rozzano. Subito dopo ha iniziato a circolare la voce di un possibile "comportamento inappropriato del chierico". Pertanto, il Galli è stato allontanato dalla parrocchia e nel 2013 è stato inviato a Roma a studiare. Si badi bene che si parla di comportamento inappropriato e non di reato (per la giustizia italiana) o delitto (per la giustizia ecclesiastica).

Solo nel 2015 arrivano opportune informazioni all’Arcidiocesi di Milano che sceglie di aprire l’investigatio previa, la quale si apre con decreto del 21 gennaio 2015 per volontà dell'attuale arcivescovo di Milano, S.E.R. Mons. Mario Enrico Delpini, il quale ritenne opportuno approfondire quanto veniva denunciato.

È bene sottolineare questo aspetto perchè Delpini è stato accusato più volte di aver coperto don Galli. Queste accuse sono false. La madre del giovane ha addirittura registrato e divulgato un colloquio con S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada, accusandolo di aver coperto e giustificato il sacerdote.

L’arcivescovo Delpini, al tempo vicario, agì con prudenza e secondo il dettato del canone 1717 §1: "Ogniqualvolta l'Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull'imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua".

Anche S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada, attuale vescovo di Brescia, riferì alla famiglia che le disposizioni adottate erano misurate secondo quanto venne denunciato inizialmente: “Il giovane ha dormito con il sacerdote”. La versione del ragazzo e della famiglia, infatti, è cambiata dopo tre anni. Inizialmente parlarono di “dormire insieme”, solo dopo tre anni riferirono del “tentativo di violenza sessuale”.

Luci ed ombre

È doveroso riferire che il giovane era in cura da uno psichiatra ed uno psicoterapeuta all’epoca dei fatti(2011). Questo è bene sottolinearlo, non perché si vuole screditare lo stesso ma perché i professionisti, sentiti sia in sede civile che ecclesiastica, hanno riferito che il ragazzo non ha MAI fatto riferimento a “tentativi di violenza sessuale” avvenuti quella notte.

Hanno poi chiaramente negato che questa questione fosse emersa all’interno dei colloqui. Difatti, è bene ricordare che in quel caso questi professionisti avrebbero avuto l’obbligo deontologico di denunciare all' autorità giudiziaria. Questo non avvenne.

Solo nel 2015 il giovane si rivolgerà all'Autorità Giudiziaria riferendo una tentata violenza sessuale. La madre, sentita durante il procedimento ecclesiastico, ha riferito che è stata lei a pensare ad un abuso, non lo disse il giovane.

“Nella mattinata fui chiamata dalla scuola perché mi riferivano che stava male. Quando arrivai lo trovai rigido nei movimenti e guardava fisso nel vuoto. Gli chiesi se avesse mangiato qualcosa che lo aveva fatto star male o fosse successo qualcosa di particolare, se c’era qualche compito, qualche interrogazione che lo preoccupassero” ha detto in sede di testimonianza.

La madre, quindi, non si stupisce del comportamento del figlio perché questi episodi erano già avvenuti ed erano capricci che in aula hanno confermato altri testi. Visto che non riceveva risposta a queste domande, la donna chiese al giovane se fosse successo qualcosa con don Mauro la sera precedente e lui rispose: “Sì, quello che si può immaginare”. Senza aggiungere altro.

“In base a quello di cui si sente oggi parlare io pensai ad un abuso sessuale”, riferisce la donna. Pensai, dice. Il ragazzo, però, ha sempre detto che avevano dormito insieme e non che il sacerdote avesse tentato di abusare di lui.

In aula, inoltre, sono sfilati numerosi professionisti che hanno riferito anche che il ragazzo fingeva di avere possessioni diaboliche (per ben 6 mesi) per ottenere attenzioni. Questo ha posto diversi interrogativi sull’attendibilità del ragazzo. Fra i diversi sacerdoti che fecero esorcismi sul ragazzo c’era anche S.E.R. il Sig. cardinale Renato Corti, di venerata memoria. Dopo diversi incontri con alcuni esorcisti, un sacerdote gli disse che non era posseduto e lui, lo ha riferito il giovane stesso in sede di incidente probatorio il 19.10.16 davanti al tribunale penale, ha smesso di fingere.

Anche all’oratorio, riferiscono i testimoni, aveva iniziato ad avere “attacchi di ansia”. Questi, però, sono terminati quando “è stato prospettato il fatto che non avrebbero più potuto tenerlo se fosse andata avanti così”.

“Ritengo che sia abbastanza furbo. Sono un paio d’anni che non va più a scuola”, ha riferito un testimone in aula.

La sentenza ecclesiastica

Il procedimento ecclesiastico giunge a sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale di Milano il 24 giugno 2019.

“Su quel che accade in quella notte, le versioni fra don Galli e ***** sono state concordanti per circa tre anni e poi dal 2014 hanno cominciato a divergere ma con una particolarità: la versione dell’imputato è la stessa in tutte le occasioni in cui è stato richiesto di fornire spiegazioni, quella fornita da **** è cambiata sostanzialmente. Si noti che questo tribunale dispone di un maggior numero di deposizioni rispetto a quelle su cui è basata la sentenza della V sezione penale del tribunale ordinario di Milano, cioè di un maggior numero di occasioni in cui Don Mauro ha ribadito sempre la stessa versione e in cui ****** ********, invece, è risultato contraddittorio”, scrivono i giudici.

Sei anni e quattro mesi aveva sentenziato il tribunale di Milano ma le cose non andarono così ed anche la Corte di Cassazione della Repubblica Italiana decise di annullare la sentenza perché «non è adeguata giustificazione logica del silenzio la (residua) soggezione nei confronti di chi già tre anni prima, subito, aveva visto nel breve volgere di qualche ora la distruzione della sua immagine pubblica e della sua stessa autorità ecclesiale, irrimediabilmente azzerate tanto nei rapporti con i superiori ecclesiastici (dai quali, ben presto informati e giustamente adirati, era stato emarginato), quanto nel giudizio della famiglia della persona offesa (altrettanto doverosamente infuriata)».

La sentenza del Tribunale Ecclesiastico corrispondeva a verità e la versione di don Galli era chiara. Anche Desiderio Vajani, promotore di giustizia, ritenne la sentenza sufficientemente convincente e non fece appello.

Il Dicastero per la Dottrina della Fede e il giustizialismo moralistico

Sono false le affermazioni di Franca Giansoldati la quale sul Messaggero scrive: “Galli non ebbe una sentenza assolutoria piena”. Vista la tendenza a fare di tutta l’erba un fascio da parte di questi giornalisti ignoranti, è bene ricordare che dormire con un minore non significa necessariamente abusarne. Ciò che il tribunale ecclesiastico è chiamato a giudicare è se vi sia stata, oppure no, una violenza sessuale.

Questo atteggiamento moralistico-giustizialista, purtroppo, è entrato a gamba tesa anche nel Dicastero per la Dottrina della Fede, grazie al fatto che abbiamo portato dentro arcivescovi maltesi, mosnignori spagnoli con il pallino dell'omosessualità e gesuiti che pensano di essere i nuovi giudici dell'inquisizione.

Franca Giansoldati, inoltre, riferisce il falso anche in merito allo status quo del procedimento in questione, ma andiamo per gradi.

L’11 dicembre 2019 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ricevuto la notifica della sentenza del tribunale lombardo. Il 10 gennaio 2020 il Padre Robert Joseph Geisinger, S.I, promotore di giustizia, fa appello. Il gesuita scrive: “La sentenza inoltre afferma che sarebbe impossibile che fisicamente si sia eseguito un approccio tanto complicato atteso che l’abuso sessuale sarebbe durato perlomeno un paio d’ore ma non sarebbero mai state rinvenute tracce organiche nemmeno sulla biancheria del ragazzo. Quanto appena riferito non può, a parere dello scrivente, avere un significato decisivo nel senso dell’impossibilità dell’avvenuto abuso perché il mancato ritrovamento delle predette tracce organiche può essere dovuto a vari motivi, non ultimo alle opportune precauzioni che il reo potrebbe aver adottato nel caso.

Senza tener conto poi del fatto che l’imputato facendo uso delle proprie capacità di autocontrollo potrebbe aver voluto non raggiungere l’orgasmo al fine e magari di prolungare quanto più possibile l’evento”.

Queste affermazioni di Geisinger dovrebbero essere analizzate e Sosa dovrebbe pensare ad inviare questo gesuita da un buon psichiatra. Molte volte nell’analizzare questioni altrui queste persone rivelano molto di loro stesse. Certe cose non si capisce neppure come si facciano a pensare. L’abusatore che si premunisce di contraccettivo e addirittura ha talmente tanto “autocontrollo” da voler “prolungare l’evento”. Cosa abbia fatto Galli non lo sappiamo ma di certo possiamo immaginare cosa farebbero altri alla luce di ciò che scrivono.

Pertanto, la sentenza del tribunale ecclesiastico regionale viene appellata dal promotore di giustizia gesuita perché chiaramente bisogna portare a condanna il sacerdote. Già il tribunale milanese si lascia andare ad una considerazione che va oltre le proprie competenze e dice che il “comportamento non è idoneo e gravemente inopportuno nei confronti del minore”. Stando però al procedimento, il quale dà ragione al Galli che riferisce di aver solo dormito nello stesso letto con il ragazzo, non si capisce questo giudizio “morale” e ben poco “giuridico” da dove venga fuori.

Sant'Uffizio quando pare a noi

Tralasciando questa chiosa, però, la decisione è assolutamente ordinata e logica. La Congregazione (oggi Dicastero), però, da diversi anni ha scelto di fare la guerra contro i sacerdoti. Se un caso giunge a Roma è la fine. Questo accade perché si è scelto di seguire l’onda del momento e i giornali dettano le impressioni, le sensazioni, le paure. Eppure, lo abbiamo visto chiaramente, Franca Giansoldati è una di quelle giornaliste che non riesce a partorire un articolo che non abbia almeno 10 errori. Anche in questo caso la sua ignoranza non le permette di parlare con cognizione di causa. Gli atti di questo procedimento, infatti, non sono qui in Vaticano ma si trovano presso un altro tribunale a cui è stato affidato il compito di emettere un altro giudizio.

Perchè? Perchè il primo non soddisfaceva le assurde idee del gesuita Geisinger. Le cose oggi sono cambiate rispetto agli anni in cui, effettivamente, diversi errori sono stati commessi. Con l'impostazione Ratzinger, però, si andavano a colpire quelle realtà che non agivano, tergiversavano o occultavano. Allo stesso tempo non si trasformava il Dicastero in un megafono dei giornali giustizialisti. Nel silenzio, nel lavoro certosino, si agiva e si puniva chi commetteva i delitti. Rispettando sempre la buona fama delle persone.

Quindi la narrazione non può continuare ad essere quella di vent’anni fa: “La Chiesa nasconde, la Chiesa non si muove, la Chiesa copre”. Semplicemente i procedimenti necessitano di tempo e vengono portati avanti con grande competenza. Sarebbe meglio che non si agisse in modo ideologico, come fa Geisinger, ma comunque si tenta di giungere a sentenze giuste.

In generale, riflettiamo

Il caso don Galli deve però portarci a fare alcune riflessioni generali. In primo luogo, l’importanza della buona fama. Il sacerdote viene dipinto immediatamente come colpevole dal primo momento in cui l'accusa arriva sui giornali. Nessuno, leggendo questi articoli, si chiede come mai questi giornalisti si accaniscono sui semplici preti di parrocchie disperse per il mondo ma perdono tutta la loro protervia quando si trovano davanti al Papa e gli potrebbero chiedere come mai ha coperto Marko Ivan Rupnik.

In secondo luogo, l’incapacità dello stesso Dicastero per la Dottrina della Fede di analizzare un evento senza gli occhiali del Torquemada del momento. L’incapacità di guardare con verità ai fatti. Sono numerosi i casi che giungono ai tribunali ecclesiastici o in Dicastero e sono vicende di vendette, ripicche, dispetti, giochi di potere, ecc… Oggi bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e scindere anche quella che è la sfera morale da quella giuridica. Avere un rapporto con una persona adulta e consenziente, non è un delitto. Se questa un domani riferirà che il consenso non vi era, bisognerà che lo dimostri. Le regole del processo non cambiano a seconda di chi è l’accusato.

Poi bisogna sempre chiedersi se non vi siano motivazioni terze: richieste di soldi, lotte di potere, vendette, ecc...Questo avviene spesso anche all'interno di questo piccolo Stato.

Anche perché questi episodi non possono non farci pensare a casi, come quello di Marko Ivan Rupnik o di Don Mauro Inzoli, dove le cose erano andate in modo ben diverso, la colpevolezza era evidente, ma qualcuno ha scelto di non utilizzare il criterio “comune per tutti”.

d.T.M.

Silere non possum