Città del Vaticano – Domani, 19 ottobre 2025, in Piazza San Pietro, Papa Leone XIV presiederà la celebrazione eucaristica con il rito di canonizzazione di sette beati provenienti da continenti, epoche e vocazioni diverse, ma accomunati da una stessa fedeltà al Vangelo, vissuta fino all’estremo. Dalla Turchia alla Papua Nuova Guinea, da Verona a Caracas, fino a Pompei, le loro vite raccontano che la santità non è un modello unico, ma un linguaggio plurale che la Chiesa continua a tradurre nel tempo.

Cos’è la canonizzazione?

La canonizzazione, che culmina domani con la proclamazione di sette nuovi santi da parte di Papa Leone XIV, è l’ultima tappa di un percorso lungo, rigoroso e profondamente ecclesiale. La Chiesa non “crea” i santi - li riconosce. Li indica come segni visibili di una vita trasformata dalla grazia.

Tutto comincia con la fama di santità, cioè con quella voce diffusa tra i fedeli che riconoscono in una persona la traccia di Dio: una vita integra, una fede viva, una carità operosa. Da questa fama nasce la fase diocesanadella Causa: il candidato diventa Servo di Dio, e si apre un’indagine accurata, fatta di testimonianze, documenti, e dell’esame dei suoi scritti, per verificare la coerenza evangelica e l’eroicità delle virtù vissute.

Quando il materiale raccolto viene trasmesso a Roma, si entra nella fase romana, seguita dal Dicastero delle Cause dei Santi. Qui il postulatore prepara la Positio, un dossier che sintetizza la vita, le virtù o il martirio del Servo di Dio. Se il giudizio dei teologi, dei cardinali e infine del Papa è favorevole, si proclama il Decreto sull’eroicità delle virtù: il fedele diventa Venerabile.

La beatificazione segna il riconoscimento pubblico del culto: per i martiri è sufficiente la prova del sacrificio della vita “in odio alla fede”; per gli altri è richiesto il riconoscimento di un miracolo, segno dell’intercessione del Venerabile presso Dio. Da quel momento il Beato può essere venerato nella sua diocesi o famiglia religiosa.

Infine, la canonizzazione - come avverrà domani - proclama che il Beato è Santo e può essere venerato da tutta la Chiesa universale. Di norma, anche questo passo richiede il riconoscimento di un secondo miracolo, avvenuto dopo la beatificazione. Da secoli, la Chiesa affida a un giudizio canonico severo ciò che un tempo nasceva per acclamazione popolare, affinché la santità resti un fatto di verità e non di emozione.

Così, dietro ogni nome che domani risuonerà in Piazza San Pietro, vi è un lungo cammino di discernimento, di preghiera, di memoria. È la conferma che la santità non è un privilegio raro, ma una possibilità reale, custodita, verificata e donata alla Chiesa come luce che continua a brillare nelle tenebre del mondo.

Ignazio Maloyan (1869-1915): l’arcivescovo che consacrò la sua vita sull’altare del martirio

Nato a Mardin, nell’attuale Turchia, Ignazio Maloyan fu arcivescovo armeno cattolico in anni segnati dal genocidio del suo popolo. Ordinato sacerdote nel 1896, si distinse per zelo pastorale e cura dei sacerdoti. Nel giugno 1915, nel pieno delle deportazioni armene, venne arrestato e torturato con l’accusa di nascondere armi. Gli fu offerta la libertà in cambio della conversione all’islam: egli rifiutò, affermando di considerare “il sangue versato per la fede il desiderio più dolce del mio cuore”. Poco prima di morire consacrò un pezzo di pane, distribuendolo ai suoi fedeli come viatico. Il suo martirio avvenne nella festa del Sacro Cuore: il cuore trafitto di Cristo divenne così il sigillo della sua testimonianza.

Peter To Rot (1912-1945): il catechista che difese il matrimonio cristiano

Figlio di una famiglia cattolica della Papua Nuova Guinea, Peter To Rot fu catechista laico, uomo di profonda fede e di limpida coerenza. Quando l’isola fu occupata dai giapponesi e i missionari europei internati, continuò clandestinamente a radunare i fedeli per la preghiera e i sacramenti. Si oppose alla legalizzazione della poligamia, difendendo con coraggio l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Arrestato e condannato a due mesi di prigione, fu ucciso con un’iniezione letale nel luglio 1945. «Sono qui per una buona causa: per la mia fede», confidò alla sorella. Morì laico, padre e martire, testimone di un Vangelo che non teme le logiche del potere.

Vincenza Maria Poloni (1802-1855): la misericordia come forma di vita

Nel fervore religioso dell’Ottocento veronese, Vincenza Maria Poloni – al secolo Luigia – comprese che la carità non è un sentimento, ma una forma stabile di vita. Dopo anni di servizio volontario presso il Pio Ricovero di Verona, nel 1840 fondò con tre compagne le Sorelle della Misericordia, dedite all’assistenza dei poveri e dei malati. La sua spiritualità, nutrita dal contatto quotidiano con la sofferenza, era semplice e radicale: “Dobbiamo essere sante nel servizio dei poveri, che sono i nostri padroni”. Morì l’11 novembre 1855, lasciando una comunità viva, capace di unire contemplazione e azione, fede e dedizione concreta.

María Carmen Rendiles Martínez (1903-1977): la forza della debolezza

Nata a Caracas priva del braccio sinistro, María Carmen Rendiles trovò nella sua fragilità la via per l’unione con Cristo. Entrò nella congregazione francese delle Serve di Gesù del Santissimo Sacramento, e quando la comunità si trasformò in istituto secolare, fondò in Venezuela le Serve di Gesù, desiderose di rimanere religiose nel cuore del mondo. Viveva un amore ardente per l’Eucaristia e per i sacerdoti, dedicandosi all’educazione e alla cura dei poveri. Dopo un grave incidente d’auto, diceva: “È una piccola scheggia della Croce di Cristo, la porto con entusiasmo”. La sua santità è quella dell’umiltà operosa, che trasfigura la mancanza in dono.

Maria Troncatti (1883-1969): una “madrecita” nella selva

Salesiana di Corteno Golgi (Brescia), Maria Troncatti fu missionaria tra gli Shuar dell’Amazzonia ecuadoriana. Infermiera, catechista, consigliera, mediatrice di pace: la chiamavano “madrecita”. Nei villaggi segnati da epidemie e tensioni tra coloni e indigeni, costruì ospedali, scuole e percorsi di formazione. In ogni dolore riconosceva un’occasione per dire “sì” a Dio: “Uno sguardo al Crocifisso mi dà vita e coraggio per lavorare”. Morì in un incidente aereo nel 1969, mentre partiva per gli esercizi spirituali: un’ultima partenza, nel segno della totale offerta.

José Gregorio Hernández Cisneros (1864-1919): il medico dei poveri

Figura amatissima in Venezuela, José Gregorio Hernández fu scienziato, docente universitario e apostolo della carità. Dopo gli studi a Parigi, introdusse in patria la moderna medicina sperimentale, ma il suo cuore restò sempre rivolto ai poveri. Visitava gratuitamente i malati, portando loro medicine e conforto spirituale. Durante l’epidemia di influenza spagnola del 1918, offrì la propria vita “per la pace del mondo”. Morì investito da un’auto mentre si recava da un bambino ammalato, pronunciando il nome della Vergine. In lui la scienza e la fede non furono mai contrapposte, ma fuse in un’unica vocazione di servizio.

Bartolo Longo (1841-1926): il convertito del Rosario

Avvocato pugliese, uomo di cultura e di tormenti, Bartolo Longo attraversò la stagione buia dello spiritismo e della lontananza dalla fede. La grazia della conversione lo riportò al Vangelo e lo rese strumento di una grande opera mariana: il Santuario della Madonna del Rosario di Pompei. “Se è vero che chi propaga il Rosario si salva – pregò – io mi salverò, perché non lascerò questa terra senza avervi propagato il tuo Rosario.” Da quella preghiera nacque un’intera città della carità: scuole, orfanotrofi, case per i figli e le figlie dei carcerati. Con la moglie, la contessa Mariana De Fusco, visse nel matrimonio verginale e nella totale dedizione ai poveri.

Un’unica luce, sette riflessi

Nel rito solenne di domani, Papa Leone XIV pronuncerà le parole che iscrivono per sempre questi nomi nell’albo dei santi: “Ad onore della Santissima Trinità… dichiariamo e definiamo santi i beati…”

Saranno sette nuovi volti della Chiesa universale, sette itinerari spirituali che mostrano come la santità non sia un privilegio per pochi, ma un invito rivolto a ciascuno: testimoniare l’amore di Dio nella concretezza della storia, là dove l’uomo vive, soffre, lavora e spera .

p.J.W.
Silere non possum