“I Papi passano, la Curia rimane”. Leone XIV lo aveva detto con la calma disarmante di chi conosce la storia e non ha bisogno di esibirla. Quelle parole, pronunciate nel suo primo incontro con gli Officiali della Curia Romana, sono oggi la chiave per leggere il suo primo Motu Proprio, Coniuncta cura, pubblicato oggi 6 ottobre 2025 e firmato nella Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.

Un testo breve, ma potente e programmatico. Con esso, il Papa abroga il Rescriptum del 2022 e compie un gesto che è insieme giuridico e simbolico: restituisce fiducia alla Curia, agli organismi economici, a un sistema che aveva finito per muoversi sotto il peso del sospetto. Dopo anni di centralizzazione forzata, Leone XIV sceglie la via della corresponsabilità, della fiducia reciproca, della comunione reale. Una sorta di monito: «Abbiamo parlato tanto di sinodalità? Ecco, ora applichiamola»

La fiducia come atto di governo

Nel discorso rivolto lo scorso maggio agli Officiali della Curia Romana, ai dipendenti della Santa Sede, del Governatorato e del Vicariato di Roma, Leone XIV aveva sottolineato che «la memoria è un elemento essenziale in un organismo vivente: non è soltanto rivolta al passato, ma nutre il presente e orienta al futuro». Con Coniuncta cura, il Papa mostra che quella memoria non è per lui un concetto astratto, ma una forma di governo evangelico. Non governa chi accentra, ma chi si fida. Non riforma chi impone, ma chi mette in dialogo.

Per questo il nuovo Motu Proprio abbandona la logica del controllo assoluto e introduce un equilibrio nuovo: l’APSAtorna a essere protagonista, lo IOR conserva un ruolo importante ma non esclusivo, e il Comitato per gli Investimentidiventa la sede naturale della cooperazione e della trasparenza. È una visione sinodale dell’economia vaticana, dove l’autorità non schiaccia ma coordina, e dove la gestione delle risorse torna a essere strumento di comunione, non di potere.

La fine della stagione del sospetto

Le riforme del passato avevano tentato di rispondere agli scandali finanziari con una logica emergenziale: accorpare, accentrare, controllare. Tuttavia, la storia recente insegna che la centralizzazione non elimina gli errori, li concentra. Leone XIV lo ha compreso nel tempo, attraverso gli anni di missione e l’esperienza di governo dell’Ordine di Sant’Agostino, dove tutti lo ricordano come un uomo fermo nelle decisioni ma aperto al dialogo. Il Papa sa bene che un sistema fondato su più centri di controllo, capaci di correggersi e vigilarsi reciprocamente, è quello che meglio previene corruzione e manipolazione. È la traduzione concreta di quella “unità nella diversità” di cui il Papa ha parlato fin dal primo giorno. In questo senso, Coniuncta cura non è solo una norma economica: è una scelta ecclesiologica. Significa fidarsi delle strutture, restituire loro autonomia, e credere che l’unità della Chiesa non nasca dall’uniformità, ma dalla collaborazione.

Dal potere alla comunione

Leone XIV non è un Papa accentratore. È un promotore di unità. Il suo stile — sobrio, misurato, ma determinato — restituisce al governo della Chiesa la fisionomia di un servizio condiviso. E lo fa non con proclami, ma con gesti concreti. In un tempo in cui la Curia romana era vista come un apparato da riformare, Leone XIV la riconsegna a sé stessa: la considera “istituzione che custodisce e trasmette la memoria storica di una Chiesa, del ministero dei suoi Vescovi”, come aveva detto nell’aula Paolo VI. Non la teme, non la commissaria, ma la valorizza. È un atto di fiducia che, nel linguaggio ecclesiale, vale più di cento decreti.

Un nuovo inizio

Coniuncta cura segna l’inizio di una nuova stagione di governo. La fiducia, la memoria e la corresponsabilitàdiventano le coordinate di un modo diverso di essere “Vescovo di Roma”: non un monarca amministrativo, ma un custode dell’unità. Leone XIV dimostra che la pace che predica non è retorica, ma metodo di governo. E così, mentre le sue parole continuano a riecheggiare — talvolta deformate negli sketch televisivi, reinterpretate negli editoriali di chi vorrebbe tirarlo da una parte o dall’altra per farne un vessillo ideologico, o travisate nei blog di coloro che iniziano ad attaccarlo solo perché non dice ciò che desiderano sentirsi dire, perché non avvalla le loro ossessioni travestite da certezze —, la Curia riscopre un compito antico e sempre nuovo: servire nella comunione, ricordando che l’unità non si impone, si costruisce.

Marco Felipe Perfetti
Silere non possum