Third day in the Democratic Republic of Congo for Pope Francis. The Apostolic Journey to Africa continues.

Il terzo, ed ultimo giorno nella Repubblica Democratica del Congo per Papa Francesco, è iniziato con la Santa Messa celebrata all’interno della Nunziatura Apostolica in forma privata. Domani, il Pontefice proseguirà con la seconda tappa di questo 40° Viaggio Apostolico, recandosi in Sud Sudan accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia

Questa mattina, 02 febbraio 2023, Francesco si è recato allo Stadio dei Martiri di Kinshasa per l’incontro con i Giovani e i Catechisti.

Il Pontefice ha ascoltato le testimonianze di un giovane e di un catechista, poi, ha detto loro: “Ora vorrei chiedervi, per alcuni momenti, di non guardare me, ma proprio le vostre mani. Aprite i palmi delle mani, fissateli con gli occhi. Amici, Dio ha messo nelle vostre mani il dono della vita, l’avvenire della società e di questo grande Paese. Fratello, sorella, le tue mani ti sembrano piccole e deboli, vuote e inadatte per compiti così grandi? Vorrei farti notare una cosa: tutte le mani sono simili, ma nessuna è uguale all’altra; nessuno ha mani uguali alle tue, perciò tu sei una ricchezza unica, irripetibile e incomparabile”. Poi ha invitato: “Vorrei suggerirvi alcuni “ingredienti per il futuro”: cinque, che potete associare proprio alle dita di una mano”. 

Come ingredienti, il Papa ha suggerito: “la preghiera, che fa pulsare la vita”, la comunità, l’onestà, il perdono e il servizio. Essere cristiani – ha detto Francesco – è testimoniare Cristo.Ora, il primo modo per farlo è vivere rettamente, come Lui vuole. Ciò significa non lasciarsi imbrigliare nei lacci della corruzione”. 

Poi, si è chiesto: “come si sconfigge il cancro della corruzione, che sembra espandersi e non fermarsi mai?” Ci aiuta San Paolo, ha detto. “«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Non lasciarti vincere dal male: non lasciatevi manipolare da individui o gruppi che cercano di servirsi di voi per mantenere il vostro Paese nella spirale della violenza e dell’instabilità, così da continuare a controllarlo senza riguardi per nessuno. Ma vinci il male con il bene: siate voi i trasformatori della società, i convertitori del male in bene, dell’odio in amore, della guerra in pace”. Dopo il discorso, il Papa ha parlato a braccio.

Un minuto di silenzio, ha chiesto il Pontefice, per poter perdonare ognuno le offese ricevute. Poi, la recita del Padre Nostro, la benedizione finale e la consegna di un dono al Santo Padre da parte dei giovani.

L'incontro con il Primo Ministro

Sempre in mattinata, il Pontefice ha ricevuto, all'interno della Nunziatura Apostolica di Kinshasa, il Primo Ministro della Repubblica Democratica del Congo, S.E. il Sig. Jean-Michel Sama Lukonde Kyenge, con i familiari. Poi, Francesco ha incontrato 38 studenti delle Università Cattoliche congolesi accompagnati dal gesuita P. Toussaint Kafarhire Murhula.

I ragazzi, provenienti da varie parti del Paese, erano una rappresentanza di coloro che avevano potuto conversare con il Papa il 1° novembre scorso in occasione dell’incontro sinodale “Building Bridges across Africa” svoltosi online.

Ai chierici e ai consacrati

Nel pomeriggio, il Papa si è recato alla Cattedrale “Notre Dame du Congo”a Kinshasa per incontrare i presbiteri, i religiosi, i seminaristi e i consacrati.

Il Cardinale Fridolin Ambongo Besungu ha detto al Papa: "la sua visita nella RD Congo ci dà motivo di sperare e di proiettarci nel futuro con maggiore determinazione e dedizione. Santissimo Padre, vivere l'impegno sacerdotale e religioso nel Congo di oggi comporta sfide enormi. Tuttavia, resto convinto che l'attaccamento costante al Signore, la fedeltà ai valori evangelici e la gioia di servire e accompagnare il popolo di Dio nella ricerca di una maggiore dignità siano le garanzie di una vita sacerdotale e religiosa autentica e vera, gioiosa e realizzata. Per questo benedico il Signore per la fioritura delle vocazioni sacerdotali e religiose nel nostro Paese". 

I discorsi pronunciati da Francesco durante questi giorni in Repubblica Democratica del Congo sono stati molto belli, anche quello ai presbiteri è carico di spunti molto interessanti, ma non possiamo non sottolineare come Francesco sia ricaduto nel suo solito "astio" nei confronti del clero e dei consacrati. Non sono mancate, quindi, parole dure e anche sterili, che non si adattano affatto al luogo.

Andare in Congo per dire ai missionari di fuggire la comodità mondana, sembra alquanto stucchevole. Altresì, in questo incontro il Papa ha ringraziato i religiosi e i presbiteri per il loro servizio. Un evento raro, che bisogna segnare sul calendario. Sorelle e fratelli - ha detto - vi ringrazio di cuore per ciò che siete e ciò che fate, vi ringrazio per la vostra testimonianza alla Chiesa e al mondo. Non scoraggiatevi, c’è bisogno di voi! Siete preziosi, importanti: ve lo dico a nome della Chiesa intera". 

Francesco ha anche ribadito alcuni punti importantissimi per la nostra vita spirituale: "Non dimentichiamo che il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani. E voi mi direte: sì, è vero, ma gli impegni, le urgenze pastorali, le fatiche apostoliche, la stanchezza e così via rischiano di non lasciare tempo ed energie sufficienti alla preghiera. Per questo vorrei condividere alcuni consigli: anzitutto, manteniamo fede a certi ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata, dalla Messa al breviario". E ancora: "La celebrazione eucaristica quotidiana è il cuore pulsante della vita sacerdotale e religiosa. La Liturgia delle Ore ci permette di pregare con la Chiesa e con regolarità: non trascuriamola mai! E non tralasciamo neanche la Confessione: abbiamo sempre bisogno di essere perdonati per poter donare misericordia. Un altro consiglio: come sappiamo, non possiamo limitarci alla recita rituale delle preghiere, ma occorre riservare ogni giorno un tempo intenso di preghiera, per stare cuore a cuore con il Signore: un momento prolungato di adorazione, di meditazione della Parola, il santo Rosario; un incontro intimo con Colui che amiamo sopra ogni cosa". 

Una questione molto importante, ha sottolineato il Papa: è la formazione sacerdotale. "Ci è stato messo un dono tra le mani e, da parte nostra, sarebbe presuntuoso pensare di poter vivere la missione a cui Dio ci ha chiamati senza lavorare ogni giorno su noi stessi e senza formarci in modo adeguato, nella vita spirituale come nella preparazione teologica". 

"Perciò, ha ribadito, la formazione del clero non è un optional. Lo dico ai seminaristi, ma vale per tutti: la formazione è un cammino da portare avanti sempre e per tutta la vita. Si chiama formazione permanente: formazione sempre, per tutta la vita".

Il Papa, poi, ha raggiunto gli 85 membri della Compagnia di Gesù con il quale si è intrattenuto per rispondere alle loro domande, come da tradizione nei suoi viaggi apostolici.

Seconda tappa: Sud Sudan

Terminerà domani, con il congedo dalle autorità, la prima tappa del Viaggio Apostolico di Papa Francesco. Poi, si partirà per il Sud Sudan, l'atterraggio a Giuba è previsto per le ore 15. 

Sale la preoccupazione, per la sicurezza del Papa e dei fedeli. In queste ore si è consumato un ulteriore massacro. Il Ministero della Comunicazione della Repubblica del Sud Sudan ha emesso un comunicato in cui informa che "Oggi, 2 febbraio 2023, la popolazione e il governo dello Stato dell'Equatoria Centrale si sono svegliati con la tristissima notizia della rinnovata emorragia della contea di Kajo-Keji, dopo il massacro di civili innocenti disarmati a Likamerok Boma, nel Lire Payam". 

L'Arcivescovo Welby, mentre era in viaggio per raggiungere Giuba, ha detto: "Sono inorridito dal fatto che almeno 19 persone siano state uccise a Kajo-Keji alla vigilia del nostro Pellegrinaggio della Pace. È una storia che si sente troppo spesso in tutto il Sudan meridionale. Faccio appello perché si trovi la via per una pace giusta". 

S.I.

Silere non possum

INCONTRO CON I GIOVANI E CON I CATECHISTI

Grazie per il vostro affetto, per la vostra danza e per le vostre parole! Sono felice di avervi guardato negli occhi, di avervi salutato e benedetto mentre le vostre mani levate al cielo facevano festa.

Ora vorrei chiedervi, per alcuni momenti, di non guardare me, ma proprio le vostre mani. Aprite i palmi delle mani, fissateli con gli occhi. Amici, Dio ha messo nelle vostre mani il dono della vita, l’avvenire della società e di questo grande Paese. Fratello, sorella, le tue mani ti sembrano piccole e deboli, vuote e inadatte per compiti così grandi? Vorrei farti notare una cosa: tutte le mani sono simili, ma nessuna è uguale all’altra; nessuno ha mani uguali alle tue, perciò tu sei una ricchezza unica, irripetibile e incomparabile. Nessuno nella storia può sostituirti. Chiediti allora: a che cosa servono queste mie mani? A costruire o a distruggere, a donare o ad accaparrare, ad amare o ad odiare? Vedi, puoi stringere la mano e chiuderla, diventa un pugno; oppure puoi aprirla e metterla a disposizione di Dio e degli altri. Sta qui la scelta fondamentale, fin dai tempi antichi, fin da Abele, che offrì con generosità i frutti del suo lavoro, mentre Caino «alzò la mano contro il fratello […] e lo uccise» (Gen 4,8). Giovane che sogni un futuro diverso, dalle tue mani nasce il domani, dalle tue mani può venire la pace che manca a questo Paese. Ma come fare concretamente? Vorrei suggerirvi alcuni “ingredienti per il futuro”: cinque, che potete associare proprio alle dita di una mano.

Al pollice, il dito più vicino al cuore, corrisponde la preghiera, che fa pulsare la vita. Può sembrare una realtà astratta, lontana dalla concretezza dei problemi. Invece la preghiera è il primo ingrediente, quello fondamentale, perché da soli non ce la facciamo. Non siamo onnipotenti e, quando qualcuno crede di esserlo, fallisce miseramente. È come un albero sradicato: anche se grande e robusto, non si regge in piedi da solo. Ecco perché bisogna radicarsi nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, che ci permette di crescere ogni giorno in profondità, di portare frutto e di trasformare l’inquinamento che respiriamo in ossigeno vitale. Per farlo, ogni albero ha bisogno di un elemento semplice ed essenziale: l’acqua. Ecco, la preghiera è “l’acqua dell’anima”: è umile, non si vede, ma dà vita. Chi prega matura dentro e sa alzare lo sguardo verso l’alto, ricordandosi di essere fatto per il cielo.

Fratello, sorella, c’è bisogno di preghiera, di una preghiera viva. Non rivolgerti a Gesù come a un essere distante e lontano di cui avere paura, ma come al più grande amico, che ha dato la vita per te. Egli ti conosce, crede in te e ti ama, sempre. Guardandolo appeso in croce per salvarti, capisci quanto vali per Lui. E puoi affidargli, gettandole sulla sua croce, le tue croci, i tuoi timori, i tuoi affanni. Li abbraccerà. Lo ha già fatto 2.000 anni fa e quella croce, che oggi sopporti, era già parte della sua. Non temere allora di prendere tra le mani il Crocifisso e di stringerlo al petto, di piangere le tue lacrime su Gesù. E non dimenticarti di guardare il suo volto, il volto di un Dio giovane, vivo, risorto! Sì, Gesù ha vinto il male, ha fatto della croce il ponte verso la risurrezione. Allora, alza ogni giorno le mani a Lui per lodarlo e benedirlo; gridagli le speranze del tuo cuore, confidagli i segreti più intimi della vita: la persona che ami, le ferite che porti dentro, i sogni che hai nel cuore. Raccontagli del tuo quartiere, dei vicini, degli insegnanti, dei compagni, degli amici e dei colleghi; del tuo Paese. Dio ama questa preghiera viva, concreta, fatta col cuore. Gli permette di intervenire, di entrare nelle pieghe della vita in un modo speciale. Di venire con la sua “forza di pace”. Che ha un nome. Sapete chi è? È lo Spirito Santo, Colui che consola e dà vita. Lui è il motore della pace, è la vera forza di pace. Ecco perché la preghiera è l’arma più potente che ci sia. Ti trasmette il conforto e la speranza di Dio. Ti apre sempre nuove possibilità e ti aiuta a vincere le paure. Sì, chi prega supera la paura e prende in mano il proprio futuro. Credete questo? Volete scegliere la preghiera come vostro segreto, come acqua dell’anima, come unica arma da portare con voi, come compagna di viaggio ogni giorno?

Ora guardiamo al secondo dito, l’indice. Con esso indichiamo qualcosa agli altri. Gli altri, la comunità, ecco il secondo ingrediente. Amici, non lasciate che la vostra gioventù sia rovinata dalla solitudine e dalla chiusura. Pensatevi sempre insieme e sarete felici, perché la comunità è la via per stare bene con sé stessi, per essere fedeli alla propria chiamata. Invece, le scelte individualiste all’inizio sembrano allettanti, ma poi lasciano solo un grande vuoto dentro. Pensate alla droga: ti nascondi dagli altri, dalla vita vera, per sentirti onnipotente; e alla fine ti ritrovi privo di tutto. Ma pensate anche alla dipendenza dall’occultismo e dalla stregoneria, che rinchiudono nei morsi della paura, della vendetta e della rabbia. Non lasciatevi affascinare da falsi paradisi egoisti, costruiti sull’apparenza, su guadagni facili o su religiosità distorte.

E guardatevidalla tentazione di puntare il dito contro qualcuno, di escludere qualcuno l’altro perché è di un’origine diversa dalla vostra, dal regionalismo, dal tribalismo,che sembrano rafforzarvi nel vostro gruppo e invece rappresentano la negazione della comunità. Sapete come succede: prima si crede ai pregiudizi sugli altri, poi si giustifica l’odio, quindi la violenza, alla fine ci si trova nel mezzo della guerra. Ma – mi domando – tu hai mai parlato con le persone degli altri gruppi o sei sempre stato chiuso nel tuo? Hai mai ascoltato le storie degli altri, ti sei avvicinato alle loro sofferenze? Certo, è più facile condannare qualcuno che capirlo; ma la via che Dio indica per costruire un mondo migliore passa dall’altro, dall’insieme, dalla comunità. È fare Chiesa, allargare gli orizzonti, vedere in ognuno il proprio prossimo, prendersi cura dell’altro. Vedi qualcuno solo, sofferente, trascurato? Avvicinalo. Non per fargli vedere quanto sei bravo, ma per donargli il tuo sorriso e offrirgli la tua amicizia.

David, hai detto che voi giovani volete giustamente essere connessi agli altri, ma che i social spesso vi confondono. È vero, la virtualità non basta, non possiamo accontentarci di interfacciarci con persone lontane o persino finte. La vita non si tocca con un dito sullo schermo. È triste vedere giovani che stanno ore davanti a un telefono: dopo che si sono specchiati, li guardi in faccia e vedi che non sorridono, lo sguardo è diventato stanco e annoiato. Niente e nessuno può sostituire la forza dell’insieme, la luce degli occhi, la gioia della condivisione! Parlare, ascoltarsi è essenziale: mentre sullo schermo ciascuno cerca quello che gli interessa, scoprite ogni giorno la bellezza di lasciarvi stupire dagli altri, dai loro racconti e dalle loro esperienze.

Proviamo ora a toccare con mano che cosa significa fare comunità: per qualche istante, per favore, prendete per mano chi vi sta vicino. Sentitevi un’unica Chiesa, un unico Popolo. Senti che il tuo bene dipende da quello dell’altro, che viene moltiplicato dall’insieme. Sentiti custodito dal fratello e dalla sorella, da qualcuno che ti accetta così come sei e vuole prendersi cura di te. E sentiti responsabile per gli altri, parte viva di una grande rete di fraternità dove ci si sostiene a vicenda e tu sei indispensabile. Sì, sei indispensabile e responsabile per la tua Chiesa e per il tuo Paese; appartieni a una storia più grande, che ti chiama a essere protagonista: creatore di comunione, campione di fraternità, indomito sognatore di un mondo più unito.

In questa avventura non siete soli: la Chiesa intera, sparsa in tutto il mondo, tifa per voi. È una sfida difficile? Sì, ma è una sfida possibile. Avete anche degli amici che dagli spalti del cielo vi sospingono verso questi traguardi. Sapete chi sono? I santi. Penso ad esempio al Beato Isidoro Bakanja, alla Beata Marie-Clementine Anuarite, a San Kizito e ai suoi compagni: testimoni della fede, martiri che non hanno mai ceduto alla logica della violenza, ma hanno confessato con la vita la forza dell’amore e del perdono. I loro nomi, scritti nei cieli, rimarranno nella storia, mentre la chiusura e la violenza sempre tornano a svantaggio di chi le commette. So che avete più volte dimostrato di sapervi alzare in ​​piedi per difendere, anche a costo di grandi sacrifici, i diritti umani e la speranza di una vita migliore per tutti nel Paese. Vi ringrazio per questo e onoro la memoria di quanti – tanti – hanno perso la vita o la salute per queste nobili cause. E vi incoraggio, andate avanti insieme, senza paura, come comunità!

Preghiera, comunità; arriviamo al dito centrale, che si eleva al di sopra degli altri quasi a ricordarci qualcosa di imprescindibile. È l’ingrediente fondamentale per un futuro che sia all’altezza delle vostre aspettative. È l’onestà! Essere cristiani è testimoniare Cristo. Ora, il primo modo per farlo è vivere rettamente, come Lui vuole. Ciò significa non lasciarsi imbrigliare nei lacci della corruzione. Il cristiano non può che essere onesto, altrimenti tradisce la sua identità. Senza onestà non siamo discepoli e testimoni di Gesù; siamo pagani, idolatri che adorano il proprio io anziché Dio, che si servono degli altri anziché servire gli altri.

Ma – mi chiedo – come si sconfigge il cancro della corruzione, che sembra espandersi e non fermarsi mai? Ci aiuta San Paolo, con una frase semplice e geniale, che potete ripetere fino a ricordarla a memoria. Eccola: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Non lasciarti vincere dal male: non lasciatevi manipolare da individui o gruppi che cercano di servirsi di voi per mantenere il vostro Paese nella spirale della violenza e dell’instabilità, così da continuare a controllarlo senza riguardi per nessuno. Ma vinci il male con il bene: siate voi i trasformatori della società, i convertitori del male in bene, dell’odio in amore, della guerra in pace. Volete essere questo? Se volete, è possibile: sapete perché? Perché ciascuno di voi ha un tesoro che nessuno può rubarvi. Sono le vostre scelte. Sì, tu sei le scelte che compi e puoi sempre scegliere la cosa giusta da fare. Siamo liberi di scegliere: non permettete che la vostra vita sia trascinata dalla corrente inquinata, non lasciatevi portare come un tronco secco in un fiume sporco. Indignatevi, senza mai cedere alle lusinghe, suadenti ma avvelenate, della corruzione.

Mi viene in mente la testimonianza di un giovane come voi, Floribert Bwana Chui: quindici anni fa, a soli ventisei anni, venne ucciso a Goma per aver bloccato il passaggio di generi alimentari deteriorati, che avrebbero danneggiato la salute della gente. Poteva lasciare andare, non lo avrebbero scoperto e ci avrebbe pure guadagnato. Ma, in quanto cristiano, pregò, pensò agli altri e scelse di essere onesto, dicendo no alla sporcizia della corruzione. Questo è mantenere le mani pulite, mentre le mani che trafficano soldi si sporcano di sangue. Se qualcuno ti allungherà una busta, ti prometterà favori e ricchezze, non cadere nella trappola, non farti ingannare, non lasciarti inghiottire dalla palude del male. Non lasciarti vincere dal male, non credere alle trame oscure del denaro, che fanno sprofondare nella notte. Essere onesti è brillare di giorno, è diffondere la luce di Dio, è vivere la beatitudine della giustizia: vinci il male con il bene!

Siamo al quarto dito, l’anulare. Lì si mettono le fedi nuziali. Ma, se ci pensate, l’anulare è anche il dito più debole, quello che fa più fatica ad alzarsi. Ci ricorda che i grandi traguardi della vita, l’amore anzitutto, passano attraverso fragilità, fatiche e difficoltà. Vanno abitate, affrontate con pazienza e fiducia, senza caricarsi di problemi inutili, come ad esempio trasformare il valore simbolico della dote in un valore quasi di mercato. Ma, nelle nostre fragilità, nelle crisi qual è la forza che ci fa andare avanti? Il perdono. Perché perdonare vuol dire saper ricominciare. Perdonare non significa dimenticare il passato, ma non rassegnarsi al fatto che si ripeta. È cambiare il corso della storia. È rialzare chi è caduto. È accettare l’idea che nessuno è perfetto e che non solo io, ma tutti quanti, hanno il diritto di poter ripartire.

Amici, per creare un futuro nuovo abbiamo bisogno di dare e ricevere perdono. Questo fa il cristiano: non ama solo quelli che lo amano, ma sa arrestare con il perdono la spirale delle vendette personali e tribali. Penso al beato Isidoro Bakanja, un vostro fratello che fu torturato a lungo perché non aveva rinunciato a testimoniare la sua pietà e aveva proposto il cristianesimo ad altri giovani. Non cedette mai a sentimenti di odio e nel dare la vita perdonò il suo carnefice. Chi perdona porta Gesù anche dove non viene accolto, immette amore dove l’amore è rifiutato. Chi perdona costruisce il futuro. Ma come diventare capaci di perdono? Lasciandoci perdonare da Dio. Ogni volta che ci confessiamo riceviamo in noi per primi quella forza che cambia la storia. Da Dio veniamo sempre perdonati, sempre e gratuitamente! E anche a noi viene detto, come nel Vangelo: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vai avanti senza più rancore, senza veleno, senza odio. Vai avanti facendo tuo lo stile di Dio, l’unico che rinnova la storia. Vai avanti e credi che con Dio si può sempre ricominciare, si può sempre ripartire, si può sempre perdonare!

Preghiera, comunità, onestà, perdono. Siamo all’ultimo dito, il più piccolo. Tu potresti dire: sono poca cosa e il bene che posso fare è una goccia nel mare. Ma è proprio la piccolezza, il farsi piccoli che attira Dio. C’è una parola chiave in questo senso: servizio. Chi serve si fa piccolo. Come un minuscolo seme, sembra sparire nella terra e invece porta frutto. Secondo Gesù il servizio è il potere che trasforma il mondo. Allora la piccola domanda che puoi legarti al dito ogni giorno è: Io, cosa posso fare per gli altri? Come posso, cioè, servire la Chiesa, la mia comunità, il mio Paese? Olivier, ci hai detto che in alcune regioni isolate siete voi catechisti a servire quotidianamente le comunità di fede e che questo nella Chiesa dev’essere “affare di tutti”. È vero, ed è bello servire gli altri, prendersene cura, fare qualcosa di gratuito, come fa Dio con noi. Io vorrei ringraziarvi, cari catechisti: voi per tante comunità siete vitali come l’acqua; fatele sempre crescere con la limpidezza della vostra preghiera e del vostro servizio. Servire non è restare con le mani in mano, è mobilitarsi. Tanti si mobilitano perché calamitati dai propri interessi; voi non abbiate paura a mobilitarvi nel bene, a investire nel bene, nell’annuncio del Vangelo, preparandovi in modo appassionato e adeguato, dando vita a progetti organizzati, di lungo respiro. E non abbiate paura di far sentire la vostra voce, perché non solo il futuro, ma anche l’oggi è nelle vostre mani: siate al centro del presente!

Amici, vi ho lasciato cinque consigli per individuare delle priorità tra le tante voci suadenti che circolano. Nella vita, come nella circolazione stradale, è spesso il disordine a creare ingorghi e blocchi inutili, che fanno sprecare tempo ed energie, e alimentano la rabbia. Ci fa bene, invece, anche nella confusione, dare al cuore e alla vita punti fermi, direzioni stabili, per avviare un futuro diverso, senza inseguire i venti dell’opportunismo. Cari amici, giovani e catechisti, vi ringrazio per quello che fate e per quello che siete: per il vostro entusiasmo, la vostra luce e la vostra speranza. Vorrei dirvi un’ultima cosa: non scoraggiatevi mai! Gesù crede in voi e non vi lascia mai soli. La gioia che avete oggi custoditela e non lasciate che si spenga. Come diceva Floribert ai suoi amici quando erano giù di morale: «Prendi il Vangelo e leggilo. Ti consolerà, ti darà gioia». Uscite insieme dal pessimismo che paralizza. La Repubblica Democratica del Congo attende dalle vostre mani un futuro diverso, perché il futuro è nelle vostre mani. Il vostro Paese torni a essere, grazie a voi, un giardino fraterno, il cuore di pace e di libertà dell’Africa! Grazie!

 INCONTRO DI PREGHIERA CON I CHIERICI E I CONSACRATI

Cari fratelli sacerdoti, diaconi e seminaristi,
care consacrate e consacrati, buonasera e buona festa!
Sono felice di trovarmi con voi proprio oggi, Presentazione del Signore, giorno nel quale preghiamo in modo speciale per la vita consacrata. Tutti, come Simeone, attendiamo la luce del Signore perché illumini le oscurità della nostra vita e, ancor più, tutti desideriamo vivere la stessa esperienza che ha fatto lui nel Tempio di Gerusalemme: tenere tra le braccia Gesù. Tenerlo tra le braccia, in modo da averlo davanti agli occhi e sul cuore. Così, mettendo Gesù al centro, cambia lo sguardo sulla vita e, pur dentro i travagli e le fatiche, ci sentiamo avvolti dalla sua luce, consolati dal suo Spirito, incoraggiati dalla sua Parola, sostenuti dal suo amore.
Dico questo pensando alle parole di benvenuto pronunciate dal Cardinale Ambongo, che ringrazio; ha parlato di «enormi sfide» da affrontare per vivere l’impegno sacerdotale e religioso in questa terra segnata da «condizioni difficili e spesso pericolose», da tanta sofferenza. Eppure, come ricordava, c’è anche tanta gioia per il servizio al Vangelo e sono numerose le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Ecco l’abbondanza della grazia di Dio, che opera proprio nella debolezza (cfr 2 Cor 12,9) e che vi rende capaci, insieme ai fedeli laici, di generare speranza nelle situazioni spesso dolorose del vostro popolo.
La certezza che ci accompagna anche nelle difficoltà è data dalla fedeltà di Dio. Egli, mediante il profeta Isaia, dice: «Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (43,19). Ho pensato di proporvi alcune riflessioni proprio a partire da queste parole di Isaia: Dio apre strade nei nostri deserti e noi, ministri ordinati e persone consacrate, siamo chiamati ad essere segno di questa promessa e a realizzarla nella storia del Popolo santo di Dio. Ma, concretamente, a che cosa siamo chiamati? A servire il popolo come testimoni dell’amore di Dio. Isaia ci aiuta a capire come.
Per bocca del profeta, il Signore raggiunge il suo popolo in un momento drammatico, mentre gli Israeliti sono stati deportati a Babilonia e ridotti in schiavitù. Mosso a compassione, Dio vuole consolarli. Questa parte del libro di Isaia, infatti, è conosciuta come “Libro della consolazione”, perché il Signore rivolge al suo popolo parole di speranza e promesse di salvezza. E per prima cosa ricorda il legame d’amore che lo lega al suo popolo: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno;se dovrai passare in mezzo al fuoco, non tiscotterai, la fiamma non ti potrà bruciare» (43,1-2). Così il Signore si rivela come Dio della compassione e assicura di non lasciarci mai soli, di essere sempre al nostro fianco, rifugio e forza nelle difficoltà.
Cari sacerdoti e diaconi, consacrate e consacrati, seminaristi: attraverso di voi il Signore anche oggi vuole ungere il suo popolo con l’olio della consolazione e della speranza. E voi siete chiamati a farvi eco di questa promessa di Dio, a ricordare che Egli ci ha plasmati e apparteniamo a Lui, a incoraggiare il cammino della comunità e accompagnarla nella fede incontro a Colui che già cammina accanto a noi. Dio non permette alle acque di sommergerci, né al fuoco di bruciarci. Sentiamoci portatori di questo annuncio in mezzo alle sofferenze della gente. Ecco che cosa significa essere servitori del popolo: preti, suore, missionari che hanno sperimentato la gioia dell’incontro liberante con Gesù e la offrono agli altri. Ricordiamocelo: il sacerdozio e la vita consacrata diventano aridi se li viviamo per “servirci” del popolo invece che per “servirlo”. Non si tratta di un mestiere per guadagnare o avere una posizione sociale, e nemmeno per sistemare la famiglia di origine, ma è la missione di essere segni della presenza di Cristo, del suo amore incondizionato, del perdono con cui vuole riconciliarci, della compassione con cui vuole prendersi cura dei poveri. Noi siamo stati chiamati a offrire la vita per i fratelli e le sorelle, portando loro Gesù, l’unico che risana le ferite del cuore.
Per vivere così la nostra vocazione abbiamo sempre delle sfide da affrontare, delle tentazioni da vincere. Vorrei brevemente soffermarmi su queste tre: la mediocrità spirituale, la comodità mondana, la superficialità.
Anzitutto vincere la mediocrità spirituale. Come? La Presentazione del Signore, che nell’Oriente cristiano è detta “festa dell’incontro”, ci ricorda la priorità della nostra vita: l’incontro con il Signore, specialmente nella preghiera personale, perché la relazione con Lui è il fondamento del nostro operare. Non dimentichiamo che il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani. E voi mi direte: sì, è vero, ma gli impegni, le urgenze pastorali, le fatiche apostoliche, la stanchezza rischiano di non lasciare tempo ed energie sufficienti alla preghiera. Per questo vorrei condividere alcuni consigli: anzitutto, manteniamo fede a certi ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata, dalla Messa al breviario. La celebrazione eucaristica quotidiana è il cuore pulsante della vita sacerdotale e religiosa. La Liturgia delle Ore ci permette di pregare con la Chiesa e con regolarità: non trascuriamola mai! E non tralasciamo neanche la Confessione: abbiamo sempre bisogno di essere perdonati per poter donare misericordia. Un altro consiglio: come sappiamo, non possiamo limitarci alla recita rituale delle preghiere, ma occorre riservare ogni giorno un tempo intenso di preghiera, per stare cuore a cuore con il nostro Signore: un momento prolungato di adorazione, di meditazione della Parola, il santo Rosario; un incontro intimo con Colui che amiamo sopra ogni cosa. Inoltre, quando siamo in piena attività, possiamo anche ricorrere alla preghiera del cuore, a brevi “giaculatorie”, parole di lode, di ringraziamento e d’invocazione da ripetere al Signore ovunque ci troviamo. La preghiera ci decentra, ci apre a Dio, ci rimette in piedi perché ci pone nelle sue mani. Essa crea in noi lo spazio persperimentare la vicinanza di Dio, perché la sua Parola diventi familiare a noi e, attraverso di noi, a quanti incontriamo. Senza preghiera non si va lontano. Infine, per superare la mediocrità spirituale, non stanchiamoci mai di invocare la Madonna, la nostra Madre, e di imparare da lei a contemplare e seguire Gesù.
La seconda sfida è vincere la tentazione della comodità mondana, di una vita comoda in cui sistemare più o meno tutte le cose e andare avanti per inerzia, ricercando il nostro confort e trascinandoci senza entusiasmo. Ma in questo modo si perde il cuore della missione, che è uscire dai territori dell’io per andare verso i fratelli e le sorelle esercitando, in nome di Dio, l’arte della vicinanza. C’è un grande rischio legato alla mondanità, specialmente in un contesto di povertà e sofferenze: quello di approfittare del ruolo che abbiamo per soddisfare i nostri bisogni e le nostre comodità. È triste quando ci si ripiega su sé stessi diventando freddi burocrati dello spirito. Allora, anziché di servire il Vangelo, ci preoccupiamo di gestire le finanze e di portare avanti qualche affare vantaggioso per noi. È scandaloso quando ciò avviene nella vita di un prete o di un religioso, che invece dovrebbero essere modelli disobrietà e di libertà interiore. Che bello invece mantenersi limpidi nelle intenzioni e affrancati da compromessi col denaro, abbracciando con gioia la povertà evangelica e lavorando accanto ai poveri! E che bello essere luminosi nel vivere il celibato come segno di disponibilità completa al Regno di Dio! Non accada invece che in noi si trovino, ben piantati, quei vizi che vorremmo sradicare negli altri e nella società. Per favore, vigiliamo sulla comodità mondana.
Infine, la terza sfida è vincere la tentazione della superficialità. Se il Popolo di Dio attende di essere raggiunto e consolato dalla Parola del Signore, c’è bisogno di preti e religiosi preparati, formati, appassionati al Vangelo. Ci è stato messo un dono tra le mani e, da parte nostra, sarebbe presuntuoso pensare di poter vivere la missione a cui Dio ci ha chiamati senza lavorare ogni giorno su noi stessi e senza formarci in modo adeguato, nella vita spirituale come nella preparazione teologica. La gente non ha bisogno di funzionari del sacro o di laureati distaccati dal popolo. Siamo tenuti a entrare nel cuore del mistero cristiano, ad approfondirne la dottrina, a studiare e meditare la Parola di Dio; e al tempo stesso a restare aperti alle inquietudini del nostro tempo, alle domande sempre più complesse della nostra epoca, per poter comprendere la vita e le esigenze delle persone, per capire come prenderle per mano e accompagnarle. Perciò, la formazione del clero non è un optional. Lo dico ai seminaristi, ma vale per tutti: la formazione è un cammino da portare avanti sempre, per tutta la vita.
Queste sfide di cui vi ho parlato sono da affrontare se vogliamo servire il popolo come testimoni dell’amore di Dio, perché il servizio è efficace solo se passa attraverso la testimonianza.
Infatti, dopo aver pronunciato parole di consolazione, il Signore dice per mezzo di Isaia: «Chi può annunciare questo tra loro per farci udire le cose passate? Voi siete i miei testimoni» (43,9.10). Testimoni. Per essere buoni sacerdoti, diaconi e consacrati non bastano le parole e le intenzioni: a parlare, prima di tutto, è la vita stessa.

Cari fratelli e sorelle, guardando voi rendo grazie a Dio, perché siete segni della presenza di Gesù che passa lungo le strade di questo Paese e tocca la vita della gente, le ferite della loro carne. Ma c’è ancora bisogno di giovani che dicano “sì” a Lui, di altri sacerdoti e religiosi che con la loro vita lascino trasparire la sua bellezza.
Nelle vostre testimonianze mi avete ricordato com’è difficile vivere la missione in una terra ricca di tante bellezze naturali e risorse, ma ferita dallo sfruttamento, dalla corruzione, dalla violenza e dall’ingiustizia. Però avete anche parlato della parabola del buon samaritano: è Gesù che passa lungo le nostre strade e, specialmente attraverso la sua Chiesa, si ferma e si prende cura delle ferite degli oppressi. Carissimi, il ministero a cui siete chiamati è proprio questo: offrire vicinanza e consolazione, come una luce sempre accesa in mezzo a tanta oscurità. E per essere fratelli e sorelle di tutti, siatelo anzitutto tra di voi: testimoni di fraternità, mai in guerra; testimoni di pace, imparando a superare anche gli aspetti particolari delle culture e delle provenienze etniche, perché, come affermò Benedetto XVI rivolgendosi ai sacerdoti africani, «la vostra testimonianza di vita pacifica, al di là delle frontiere tribali e razziali, può toccare i cuori» (Esort. ap. Africae munus, 108).
Un proverbio dice: «Il vento non spezza ciò che sa piegarsi». La storia di molti popoli di questo Continente è stata purtroppo piegata e piagata da ferite e violenze, e perciò, se c’è un desiderio che sale dal cuore, è quello di non doverlo fare più, di non doversi più sottomettere alla prepotenza del più forte, di non dover più abbassare il capo sotto il giogo dell’ingiustizia. Ma possiamo accogliere le parole del proverbio principalmente in senso positivo: c’è un piegarsi che non è sinonimo di debolezza ma di fortezza; allora significa essere flessibili, superando le rigidità; significa coltivare un’umanità docile, che non si chiude nell’astio e nel rancore; significa essere disponibili a lasciarsi cambiare, senza arroccarsi sulle proprie idee e posizioni. Se ci pieghiamo davanti a Dio, con umiltà, Egli ci fa diventare come Lui, operatori di misericordia. Quando restiamo docili nelle mani di Dio, Egli ci plasma e fa di noi delle persone riconciliate, che sanno aprirsi e dialogare, accogliere e perdonare, immettere fiumi di pace nelle aride steppe della violenza. E, così, quando soffiano impetuosi i venti dei conflitti e delle divisioni, queste persone non possono essere spezzate, perché sono ricolme dell’amore di Dio. Siate anche voi così: docili al Dio della misericordia, mai spezzati dai venti delle divisioni.
Vi ringrazio di cuore, fratelli e sorelle, per ciò che siete e ciò che fate, per la vostra testimonianza alla Chiesa e al mondo. Non scoraggiatevi, c’è bisogno di voi! Siete preziosi, importanti: ve lo dico a nome della Chiesa intera. Vi auguro di essere sempre canali della consolazione del Signore e testimoni gioiosi del Vangelo, profezia di pace nelle spirali della violenza, discepoli dell’Amore pronti a curare le ferite dei poveri e dei sofferenti. Grazie ancora per il vostro servizio e per il vostro zelo pastorale.

Vi benedico e vi porto nel cuore. E voi, per favore, pregate sempre per me!