Città del Vaticano - Nella Basilica di San Pietro non c’è più traccia di Gesù Cristo. Quando il segno della croce diventa un logo, la preghiera un sottofondo acustico e il pellegrino un ostacolo all’esperimento sociale, allora forse è il caso di alzare lo sguardo – e non verso la cupola, ma verso chi l’ha ridotta così. Il declino è iniziato nel 2021, con l’arrivo alla guida della Basilica di San Pietro di Mauro Gambetti, promosso a suon di “francescanesimo 4.0” e con in tasca una carriera ecclesiastica più rapida di un algoritmo. Da allora, quello che dovrebbe essere il cuore pulsante della cristianità è diventato un ibrido inquietante tra un centro congressi di periferia e uno showroom di Microsoft. Il tutto travestito da “innovazione pastorale”. Tradotto: schermi, sensori, badge, aperitivi, ingressi separati e – ovviamente – biglietti a pagamento.
La Basilica oggi è il teatro di un esperimento sociale condotto sulla pelle dei fedeli. Mentre i pellegrini vengono trattati come flussi da ottimizzare e i turisti come portafogli semoventi, Gambetti costruisce la sua narrazione ecotech spirituale, dimenticando solo un dettaglio: Cristo. Non compare più nei discorsi, nelle priorità, negli spazi. È stato sostituito da esposizioni “green”, percorsi interattivi, progetti con aziende partner. Non ci stupiremmo se, tra qualche mese, presentassero anche un San Pietro in realtà aumentata. Così i fedeli potranno piangere davanti a una simulazione 3D del Crocifisso, mentre quello vero è nascosto dietro a qualche tenda in cappelle che cadono a pezzi.
Il declino, però, non è solo spirituale. È anche gestionale. Gambetti ha portato con sé un piccolo esercito di amici e conoscenti da Assisi, a cui ha creato posizioni, stipendi e incarichi a tempo. Oltre ai discussi coniugi, c’è Alberto Capitanucci, già esponente del Partito Democratico e assessore ad Assisi, noto non tanto per le sue opere pubbliche quanto per le sue tempestive dimissioni strategiche. Nel 2023, come per magia, appena abbandona la politica locale sull’onda di scandali e polemiche, viene assunto nella Fabbrica di San Pietro. Cosa lo rende esperto nella gestione del cuore della cristianità? Mistero della fede.
In queste ore Capitanucci ha lasciato – di nuovo – il suo incarico da Capo dell’Area Tecnica, dopo aver bucato muri antichi per installare sensori e tecnologia sponsorizzata da multinazionali amiche. Ma niente paura: Gambetti lo ha già ricollocato. Perché a San Pietro, se sei del giro giusto, nessuno resta mai davvero disoccupato. Peccato che a pagare queste manovre non sia lo Spirito Santo, ma i fedeli e i turisti, che si trovano a dover visitare una chiesa che somiglia sempre meno a una chiesa.
Dietro ogni conferenza stampa, ogni annuncio roboante sull’innovazione, si nasconde una gestione discutibile fatta di familismo, incuria architettonica e spreco di risorse. I costi lievitano, gli appalti finiscono sempre nelle stesse mani, i fedeli vengono marginalizzati. Chi prova a raccontarlo viene accusato di “essere contro il cambiamento” o, peggio, di “non capire la visione”. Eppure basterebbe chiedere a chi entra oggi a San Pietro con fede nel cuore e ne esce confuso, turbato, ferito. Il tutto durante il Giubileo della Speranza.
Il problema, però, non è solo Gambetti. Il problema è chi lo ha voluto lì, chi lo ha sostenuto a tutti i costi, chi ha fatto finta di non vedere per anni. E allora la domanda finale è inevitabile: quanto tempo ci vorrà perché qualcuno si accorga che a San Pietro si sta giocando col sacro? Quanto tempo prima che si riconosca che la Basilica non è un incubatore di start-up amiche ma un luogo santo? Finché la risposta sarà “siamo diventati più moderni”, continueremo a perdere l’unico ospite che conti davvero: Dio. Nel frattempo, tra un badge e un biglietto salta-fila, San Francesco osserva in silenzio. E probabilmente si rivolta nella tomba.
d.C.T.
Silere non possum