Nella diocesi di Roma, quella di cui il Papa ama definirsi "vescovo" per non dimenticarcelo, c'è chi sta facendo i fuochi d'artificio. "Renatino" Tarantelli in questi anni ha "intortato" il Pontefice come ha voluto. I risultati sono evidenti e se già il Papa non si era fatto amare dai suoi preti ad inizio pontificato, ora è bene che Francesco stia alla larga da San Giovanni in Laterano per evitare tirate d'orecchie. Il Consiglio Episcopale viene ripulito e questo volta il prescelto viene spedito a Jesi, a 270 km dall'Urbe. «Non gli è andata neanche così male», commentano all'interno del Dicastero per i vescovi dove ormai non vi è possibilità alcuna di intervento. «Le nomine arrivano da Santa Marta, si è invertito l'ordine delle cose. Una volta il percorso era al contrario ma è chiaro che quando vuoi tenere tutto sotto controllo ed agisci con fini diversi da quello che è il bene della Chiesa e con parametri diversi dal merito, alla fine non ti resta altro che questo» spiegano.
La tecnica adottata dal Vicegerente negli ultimi mesi, il quale ora agisce indisturbato compiendo atti ben peggiori di quelli dei mesi scorsi, è quella di girovagare per uffici e parrocchie dicendo: «Ah ma quello che è stato detto non è vero. Io sono una brava persona» e parla della sua conversione e di quanto è vittima di coloro che vogliono screditarlo. Poverino!
Tralasciando il fatto che le cose che sono state scritte e dette su di lui trovano tutte un riscontro nelle carte, ci si chiede come mai il buon principe del foro senta il bisogno di discolparsi quando nessuno gli chiede nulla? È inutile procedere in questo modo, perché i preti dell'Urbe non sono stupidi e questo conferma ancora una volta ciò che è sempre stato detto su Tarantelli. Ma poi, diciamocelo chiaro, come mai non ha mai denunciato questi grandissimi calunniatori che hanno detto cose così false? Comunicati, smentite, assemblee davanti alle macchinette del caffè con l'unità di crisi, affidamento di incarichi a detective e poi?
Tarantelli blatera ma contra factum non valet argumentum. E i fatti sono chiari: Tarantelli è un cancro per la Chiesa di Roma e i preti non vogliono neanche vederlo. Insieme a lui non vogliono vedere neppure Baldassarre Reina, il quale ha dimostrato in questi mesi di avere difficoltà con la lingua italiana e i congiuntivi.
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Un altro siluramento
Lo avevamo detto in occasione della nomina di Mons. Salera come vescovo ad Ivrea non più tardi di un mese fa, a dicembre,: «Toccherà poi a Benoni Ambarus e a Paolo Ricciardi, non si salverà nessuno». Ed è così che, dopo aver cacciato Libanori in un ufficio inesistente creato ad hoc ma che in realtà non svolge alcun compito, dopo aver cacciato Lamba a Udine, messo Gervasi in un ufficio a fare il firma carte ai laici, spedito Salera ad Ivrea, oggi tocca a Paolo Ricciardi. Non dimentichiamo che don Paolo fu nominato insieme al fumino Libanori. In questi anni è durato - a differenza del gesuita - perché non si è mai immischiato più di tanto nelle lotte che insorgevano. E visti i soggetti che ora comandano, il metodo è proprio quello tipico di una certa parte d'Italia, «meglio farsi i fatti propri senno...», scherza qualcuno. Da scherzare, però, c'è ben poco. Una intera diocesi è finita in mano a personaggi che hanno dei curriculum inquietanti. Il loro passato dice molto e governano la Chiesa oggi con quella vendetta tipica di chi ritiene di non essere stato apprezzato a sufficienza.
C'è chi guarda attonito al Vicariato di Roma e si domanda come mai siano partititi tutti i vescovi ausiliari in questo modo. La spiegazione è semplice: Francesco non ha idea di cosa sia il rispetto delle persone. Abbiamo avuto i Borgia, abbiamo avuto qualunque problema nella Chiesa, ma ben vengano i Borgia rispetto a gente che tratta in questo modo i suoi preti. A Buenos Aires probabilmente Jorge Mario Bergoglio era abituato a leggere romanzi di Dan Brown e ha pensato di governare la Chiesa in questo modo ma non si può pensare di usare la gente in questo modo e poi sbatterla via perché il represso di turno, che ha fallito la propria carriera da avvocato e si è rifugiato nella chiesa a quarant'anni, viene a piagnucolare da te e ti dice che "ce l'hanno tutti con me". Piuttosto che passare il tempo con i giornalisti a scrivere libri, sarebbe bene rivolgersi a dei professionisti della psiche ed impiegare così il proprio tempo.
Vescovi ausiliari che quando vennero nominati erano entusiasti ed elogiavano questo pontificato. Vescovi che con il tempo si sono resi conto della situazione assurda in cui il Vicariato si è andato a trovare. Nel pontificato attuale è così, se non "lisci" la corazza del Padrone, vieni spedito. Il risultato di quanto ha fatto Renato Tarantelli in questi anni si è visto durante la sua ordinazione episcopale in San Giovanni in Laterano dove ha passato il suo tempo a fare sorrisini finti al Papa. A quell'ordinazione non ha preso parte nessuno. I posti in basilica erano volutamente stati ridotti, ovvero poche sedie, e quelle che c'erano non erano neppure tutte occupate. Dei vescovi ausiliari, passati e presenti, non c'era nessuno tranne Ricciardi, Gervasi e Di Tolve che lo consacrava. L'assenza di Mons. Ambarus è stata emblematica, perché fu lui ad opporsi a molti degli idioti che Renatino voleva portare a compimento facendo passare i vescovi per idioti. Francesco parla tanto di povertà ma poi fa ciò che vuole.
Tutti si sono macchiati della grande colpa di non aver "lisciato" la corazza del Padrone. Ed è così che coloro che Renato Tarantelli ha individuato come nemici sono partiti, con capo chino, alla volta delle più sperdute realtà della penisola. Toccherà poi a Benoni Ambarus e a Paolo Ricciardi, non si salverà nessuno.
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Chi è Mons. Ricciardi?
S.E.R. Mons. Paolo Ricciardi ha cinquantasei anni ed è vescovo ausiliare per il settore est e responsabile dell’ambito della Chiesa ospitale e “in uscita”. Presidente della Commissione regionale per il servizio della Salute della Conferenza Episcopale Laziale e membro della Conferenza Episcopale Laziale C.E.L.
Ricciardi è nato a Roma il 14 marzo 1968. Entrato nel Pontificio Seminario Romano Maggiore, è stato ordinato presbitero il 2 maggio 1993 per la diocesi di Roma. Ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha svolto i seguenti ministeri: Assistente del Pontificio Seminario Romano maggiore dal 1993 al 1998; Viceparroco della parrocchia Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario dal 1998 al 2003; Addetto dell'Ufficio Catechistico e del Servizio per il Catecumenato del Vicariato di Roma dal 2001 al 2003; Rappresentante del Settore Ovest nel Consiglio Presbiterale Diocesano dal 2001 al 2007; Parroco della parrocchia Santa Silvia dal 2003 al 2015; Segretario del Consiglio Presbiterale dal 2011 al 2015. Dal 2012 è Membro del Collegio dei Consultori e dal 2015 è Parroco della Parrocchia San Carlo da Sezze. Nominato Ausiliare della Diocesi di Roma da Papa Francesco il 23 novembre 2017 è stato ordinato Vescovo il 13 gennaio 2018.
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Diocesi Jesi
Il Santo Padre Francesco questa mattina accoglie la rinuncia al governo pastorale di S.E.R. Mons. Gerardo Rocconi che ha compiuto 75 anni il 14 novembre scorso.
Si tratta di una diocesi con poco più di settantamila abitanti e una cinquantina di sacerdoti. La tradizione attribuisce la fondazione della Chiesa di Jesi a san Settimio, che sarebbe stato consacrato vescovo da papa Marcello I e sarebbe stato inviato a predicare il Vangelo in questa città, dove avrebbe subito il martirio il 5 settembre 307. Il primo vescovo storicamente accertato è Onesto, presente al sinodo romano indetto da papa Agatone il 27 marzo 680; tuttavia la presenza cristiana nel territorio è precedente a quest'epoca ed attestata da reperti archeologici risalenti al VI e VII secolo. L'attuale cattedrale venne eretta nel periodo svevo, epoca di particolare fioritura per l'economia jesina, e venne consacrata nel 1208 dai vescovi di Ancona, Osimo, Numana e Fano alla presenza del vescovo esino Dago. L'edificio venne completato ad opera di Giorgio da Como nel 1238.
La diocesi di Jesi rimase immediatamente soggetta alla Santa Sede fino al 15 agosto 1972, quando la sede arcivescovile di Ancona venne elevata a metropoli e quella di Jesi resa sua suffraganea.