Diocesi di Novara

Martedì 8 luglio 2025, a Cannobio, S.E.R. Mons. Franco Giulio Brambilla ha presieduto le Esequie del Reverendo Sacerdote Matteo Balzano, presbitero della diocesi di Novara che ha tragicamente messo fine alla sua vita il 5 luglio scorso. Sulla triste vicenda Silere non possum ha offerto alcuni spunti per la riflessione e altri ne offrirà nei prossimi giorni perché questo evento non si ripeta più e il grido di molti sacerdoti non resti inascoltato. 

«Cosa dice a tutti noi la morte di don Matteo?»
È la prima domanda che il Vescovo si rivolge e rivolge alla comunità ecclesiale, a partire da sé stesso, dai presbiteri, da coloro che vivono accanto ai sacerdoti, nella quotidianità spesso silenziosa e faticosa delle parrocchie. La risposta, provvisoria, la cerca nella liturgia della Parola proposta dal rito ambrosiano, dove Gesù invita i discepoli a seguire “un uomo con una brocca” per trovare la stanza dell’Ultima Cena.

Quel gesto anonimo — seguire chi porta una brocca d’acqua — diventa chiave per comprendere il senso del ministero sacerdotale come passaggio pasquale: “Pasqua”, ha ricordato Brambilla, significa passaggio, e il prete è chiamato ad attraversare il dolore, la stanchezza, la solitudine, tenendosi accanto al Signore. Ma per farlo, occorre non nascondersi. Occorre imparare ad ascoltare — sé stessi e gli altri — e creare relazioni vere, fraterne, capaci di accogliere fragilità, fatiche, domande. «Dobbiamo imparare — ha detto — a trovare nei nostri rapporti fraterni linguaggi e parole di accoglienza e comunione».

«Cosa dice ai giovani questa morte?»
È la seconda domanda. Domenica scorsa il Vescovo ha incontrato il gruppo dei ragazzi dell’oratorio di Cannobio. Li ha trovati provati, stravolti, colpiti in modo profondo. Le loro parole, ha detto, «riecheggiavano in qualche modo quelle di Gesù in croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”». In quell’incontro, ha chiesto loro di scrivere, di dare voce a ciò che stavano vivendo. Durante la celebrazione, una giovane — Alessia — ha letto un testo condiviso da tutto il gruppo. Parole semplici, ma dense:
«Caro don Matteo, sei stato più del nostro “don”, più del nostro confessore e più della nostra guida. Sei stato un nostro amico sincero. […] Il nostro rapporto con te non è finito. Si è solo trasformato. Perché sappiamo che tu sarai sempre con noi».


«Cosa dice questa morte alle nostre famiglie, alla nostra città?»
Terza e ultima domanda. Il Vescovo la rivolge a tutta la comunità civile ed ecclesiale, colpita da un lutto che non è rimasto circoscritto ai “praticanti”. Il volto di don Matteo, il suo stile, la sua presenza, hanno lasciato un segno che ha toccato anche chi vive ai margini della vita ecclesiale. «Ci dice dell’importanza e dell’urgenza di rimettere al centro la cura dell’anima. […] Siamo troppo spesso distratti da priorità superficiali, e ci dimentichiamo di ciò che conta davvero».

Il dolore condiviso, l’affetto manifestato in questi giorni — ha sottolineato Mons. Brambilla — potrebbero diventare un punto di ripartenza. Ma solo se sapremo custodire questo trauma non come parentesi emotiva, bensì come provocazione duratura.

Al termine dell’omelia, il Vescovo ha voluto leggere le uniche parole che — ha detto — è riuscito a scrivere in questi giorni. Lo ha fatto dopo l’incontro con i giovani dell’oratorio. Tre versi, essenziali, che condensano una ferita ancora aperta:

«Dolce fratello
giovani orfani affranti
pianto infinito».

«Non so quando il mio cuore potrà smettere di piangere»
— ha concluso. — «Di certo anch’io, come questi giovani, non dimenticherò don Matteo».

d.S.B.
Silere non possum


Omelia di S.E.R. Mons. Franco Giulio Brambilla

Oggi vorrei proporre a tutti noi tre domande a cui provare, se non a dire, quanto meno a balbettare una risposta a proposito della tragedia che stiamo vivendo. Cosa dice a tutti noi, la morte di don Matteo?

Anzitutto, cosa dice a me vescovo, a noi sacerdoti e alle persone che vivono al nostro fianco nella comunità?
Cerchiamo una risposta nelle Letture che il rito ambrosiano propone, facendo rivivere la Passione del Signore. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù dice ai discepoli di seguire un “uomo con la brocca”, per trovare la stanza dove consumeranno l’ultima cena. Il luogo dove vivranno la Pasqua.

Ecco, vivere la Pasqua del Signore è il senso profondo del ministero del prete. Pasqua significa “passaggio”. Nei momenti più bui e difficili che sperimentiamo, ricordiamoci che questo “passaggio” lo viviamo sempre accanto al Signore. Per farlo dobbiamo imparare a non nasconderci di fronte alle nostre paure e fatiche. Dobbiamo imparare ad ascoltarci. E a trovare, nei nostri rapporti fraterni, linguaggi e parole di accoglienza e comunione.

La seconda domanda è cosa dice ai giovani questa morte? 
Domenica scorsa ho incontrato il gruppo di ragazze e ragazzi dell’oratorio di Cannobio, affranti dal dolore. Anche le parole che mi hanno rivolto echeggiavano in qualche modo le parole di Gesù in croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Li incontrerò ancora per parlare con loro. Ma intanto ho chiesto di scrivere quello che stanno vivendo, di raccontare il loro rapporto con don Matteo. E ho posto a loro la domanda “cosa dice a voi questo dramma?”. Vorrei che ascoltaste la loro risposta».

Ha preso la parola Alessia, una giovane ragazza di Cannobio, per leggere un testo condiviso con tutti i giovani dell’oratorio.

«Caro don Matteo, sei stato più del nostro “don”, più del nostro confessore e più della nostra guida. Sei stato un nostro amico sincero. Non dimenticheremo mai il tempo speso insieme, durante i gruppi in oratorio. Affrontando temi seri e importanti per le nostre vite. Ma anche quelli più leggeri. Il nostro rapporto con te non è finito. Si è solo trasformato. Perché sappiamo che tu sarai sempre con noi».


Il vescovo Franco Giulio ha poi ripreso la parola. 

«La terza domanda è per tutte le nostre famiglie e per questa città. Cosa ci dice questa morte che ha colpito così nel profondo i nostri cuori? 

Dice dell’importanza e dell’urgenza di rimettere al centro la cura dell’anima. Perché nelle nostre vite siamo troppo spesso distratti da altre priorità, da cose superficiali che ci distraggono da quelle importanti. L’affetto e il dolore per don Matteo, che così in tanti hanno manifestato in questi giorni e che oggi ci unisce, potrà forse indicarci la strada per rispondere a queste domande».

Nell’omelia pronunciata a braccio, il vescovo ha voluto poi leggere «l’unica cosa che mi sono sentito di scrivere in questi giorni. Proprio dopo aver incontrato i ragazzi di Cannobio. 

«Dolce fratello
giovani orfani affranti
pianto infinito».


Non so quando il mio cuore potrà smettere di piangere. Di certo anch’io, come questi giovani, non dimenticherò don Matteo».