Città del Vaticano - I tempi sono cambiati e nella piccola Città Stato governata dal Successore di Pietro l’aria è tutt’altro che la stessa. Se gli anni del pontificato di Jorge Mario Bergoglio sono stati dominati da una Gendarmeria Vaticana impegnata in un continuo gioco da “guardia e ladri”, oggi lo scenario è profondamente diverso. Per la prima volta, dopo decenni — l’ultimo fu Paolo VI — un Papa ha partecipato alla cerimonia di giuramento della Guardia Svizzera Pontificia. Un evento di grande rilievo per coloro che, dal 1506, vegliano sulla sicurezza del Pontefice.
Si tratta di giovani svizzeri che scelgono di vivere questa esperienza nella Città Eterna spinti dalla fede e dalla passione. Per loro, la presenza del Papa rappresenta un riconoscimento profondo, perché questa cerimonia segna un momento centrale del loro cammino e riunisce a Roma anche le famiglie, giunte per condividere la loro gioia. La loro quotidianità è fatta di disciplina, impegno e relazioni autentiche: tra orari rigorosi, attività intense, ma anche amicizie e passioni che nascono dentro le mura vaticane. Ogni giorno offrono un sorriso ai numerosi chierici e dipendenti della Santa Sede e dello Stato Vaticano, e con la stessa gentilezza accolgono pellegrini e turisti, pronti ad aiutare chiunque chieda informazioni o sostegno.

Gendarmeria e lotte di potere
Gli anni di Francesco hanno segnato invece un drastico ridimensionamento del ruolo della Guardia Svizzera, che per secoli è stata l’unica a poter accedere al Palazzo Apostolico e a garantire la protezione personale del Papa. Il Pontefice argentino ha scelto di favorire la Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, un corpo composto anche da personaggi esclusi dalle forze di polizia italiane, spesso ammessi grazie a raccomandazioni di prelati o figure influenti. Una realtà, dunque, ben lontana dalla serietà e dalla disciplina che da sempre contraddistinguono la Guardia Svizzera Pontificia. Del resto, per entrare nella Gendarmeria Vaticana non è previsto alcun concorso pubblico, e la selezione avviene secondo logiche interne opache e personalistiche, più legate ai favori che al merito.
Nel corso del suo pontificato, Bergoglio ha persino nominato un gendarme come autista personale e un ex gendarme come maggiordomo. Ha inoltre commissionato dossieraggi e intercettazioni illegali, disposto controlli sui conti dello IOR (e non solo) e ricompensato coloro che si prestavano a queste attività con denaro contante, proveniente direttamente dalla cassaforte di Santa Marta con cui inviava anche il maggiordomo a pagare i libri nella Libreria Vaticana. A riferirlo a Silere non possum è un cardinale di Curia, le cui parole trovano riscontro anche in altri testimoni che collaboravano quotidianamente con il Pontefice: “Questi personaggi non tornavano mai a mani vuote da Santa Marta”.
Dietro la facciata di legalità, la Gendarmeria Vaticana ha intessuto rapporti oscuri e poco trasparenti con ambienti italiani, ben lontani dallo stile integro e fedele della Guardia Svizzera. Un modus agendi e una deriva iniziata con Domenico Giani, l’uomo che ha importato nella Città del Vaticano un sistema fatto di telecamere, vicinanza e amicizia con la Guardia di Finanza, dossieraggi, controlli e chiacchiericcio a danno di chierici. Quando Bergoglio, dopo che Giani aveva utilizzato fondi del Corpo per ristrutturarsi casa, decise di allontanarlo, si premurò però di garantirgli un posto sicuro come ambasciatore dell’Ordine di Malta. Un cardinale commenta amaramente: “Ricordati che questa gente non la possono certo lasciare a casa così, con tutto quello che hanno accumulato. Sanno troppo.”
Il risultato è evidente: nella Città del Vaticano ormai nessuno vuole più vivere, molti hanno trasferito i propri soldi fuori dallo IOR e numerosi ecclesiastici preferiscono esercitare il ministero altrove.
Cambio della Guardia
Con Leone XIV, però, qualcosa per fortuna si è rotto. Il nuovo Pontefice ha iniziato a smantellare le logiche di potere e connivenza che avevano dominato l’era precedente. Stefano De Santis, che fu sempre accanto a Bergoglio durante gli spostamenti, è scomparso dalla scena: oggi è coinvolto in una vicenda che molti già chiamano il “caso Garlasco vaticano”. Un magistrato accusato di rapporti ambigui con una millantatrice e un Commissario della Gendarmeria, De Santis appunto, che passava informazioni riservate.
La differenza, però, è che — a differenza del caso Garlasco — qui nessun procuratore sembra voler procedere con perquisizioni o indagini reali. Chi è accusato di azioni gravissime rimane tranquillamente al suo posto, senza la minima intenzione di dimettersi. Ma Leone XIV ha voluto dare un segnale forte, indicando chiaramente dove vuole riportare la struttura: ognuno al suo posto.
Alla cerimonia di giuramento della Guardia Svizzera Pontificia, ha voluto presenziare personalmente, e al termine, rientrando in auto al Palazzo del Sant’Uffizio, ha confidato ai suoi collaboratori di essere rimasto profondamente colpito e affascinato da quanto visto.
Nel suo discorso conclusivo, il Papa ha detto: «Vi ringrazio a nome mio e di tutta la Santa Sede per il vostro servizio». Momenti semplici ma anche solenni. «Un Papa che torna a guardare con rispetto a chi serve in silenzio, lontano da logiche di potere e da sistemi di controllo» ha commentato un arcivescovo lasciando il Cortile del Belvedere.
d.D.R.
Silere non possum