Città del Vaticano - Nel linguaggio diplomatico ci sono espressioni che passano inosservate. Poi c’è la carne viva. E in quel lembo di terra ormai ridotto a un cumulo di macerie, la carne è quella dei bambini mutilati, dei padri che scavano nella sabbia per trovare i corpi dei propri figli, delle madri che stringono figli che non hanno più casa. Il Cardinale Pierbattista Pizzaballa ha visitato Gaza. Di nuovo. Ma stavolta il paesaggio è cambiato. Ci sono molte tende, “lunghe distese di tende” affacciate sul mare, dove più di un milione di persone vive in condizioni igieniche estreme. E c’è l’ospedale, o ciò che ne resta: luogo di mutilazioni, di cecità inflitte dalle bombe, di un’umanità ferita che continua, incredibilmente, a sopravvivere.

Celebrare Messa sotto le bombe

“Il primo giorno fa un po’ impressione, poi ci si abitua”, dice il Patriarca di Gerusalemme. Ma dietro questa frase, che può sembrare rassegnata, si nasconde qualcosa di più profondo: la capacità dell’essere umano di adattarsi all’inferno. Nessuno, racconta Pizzaballa, sembra più farci caso. Il rumore dei bombardamenti diventa colonna sonora quotidiana, come l’odore acre degli esplosivi che si attacca ai vestiti, alla pelle, all’anima.

Una vita che resiste sotto le macerie

Nell’omelia pronunciata durante la Santa Messa celebrata nella parrocchia cattolica di Gaza, il cardinale ha parlato di una “vita” che ancora si intravede. Nei volti stanchi ma non arresi, nei bambini che nonostante tutto giocano, desiderano, sperano. “Finché c’è desiderio – dice – c’è ancora vita”. È questa la frase che dovrebbe attraversare le cancellerie, rimbombare nelle stanze dei bottoni, risuonare nelle coscienze anestetizzate di chi osserva da lontano.

“Niente trasferimenti di popoli”

Alla domanda su cosa ne sarà di quella popolazione che Israele chiede di evacuare, la risposta è netta: resteranno lì. “Non vogliono andarsene, hanno le radici lì, anche se le case non esistono più”. Il Patriarca si dice certo che non si arriverà a una deportazione collettiva. Una certezza che ha il sapore di una speranza lucida, e di un appello disperato. Il Papa, del resto, è stato chiaro: nessuna punizione collettiva. Parole forti, “molto attese”, sottolinea Pizzaballa. Eppure il mondo resta sordo. Perché?

Una critica senza odio

“Non abbiamo nulla contro il mondo ebraico”, precisa il Patriarca. Ma il dovere morale di dire la verità resta. E la verità è che c’è una popolazione affamata, bombardata anche mentre cerca cibo. “Tutto questo non è giustificabile”. Non lo è secondo il diritto internazionale, non lo è secondo il Vangelo, non lo è secondo la semplice ragione umana. Nel caos di Gaza, la Chiesa non si è mai limitata a difendere i “suoi”. Gli aiuti, gli ospedali, la Caritas – tutto è stato ed è per tutti, “prevalentemente per i musulmani”, dice il Cardinale. In un tempo di identità chiuse e difese corporative, è una lezione evangelica che vale la pena ricordare.


Cardinale Pizzaballa, come ha vissuto la visita a Gaza?
Le immagini che mi restano, rispetto alle volte precedenti, sono quelle delle enormi distese di tende che prima non c'erano. Quando sono andato, erano tutti al sud, c'era il corridoio Netzarim che chiudeva. Sono tornati su, adesso c'è più di un milione di persone che non ha dove vivere. Soprattutto lungo il mare, ci sono lunghe distese di tende, dove la gente vive in condizioni di estrema precarietà sia dal punto di vista igienico che sotto qualsiasi altro profilo. E poi, l'altra immagine è l'ospedale: i bambini mutilati, accecati per le conseguenze dei bombardamenti.

Nell'omelia della Messa celebrata ieri nella parrocchia di Gaza ha parlato della vita che ha visto nei volti di queste persone…
Sì. Resto sempre stupito, devo dire. Queste poche centinaia di persone, è vero, sono molto protette, però non sono esenti dagli stessi problemi di tutti gli altri: mancanza di cibo, da mesi non vedono verdura, non vedono carne, come tutti gli altri, insomma. Però vedo, anche nei bambini, sicuramente la stanchezza, ma anche la vitalità, il desiderio. Finché c'è una persona che ha un desiderio di fare qualcosa, di cambiare, vuol dire che c'è ancora vita in loro, e questo l'ho notato.

Come è stato celebrare con il rumore dei bombardamenti?
Il primo giorno fa un po' impressione, poi ci si abitua. Ho visto che nessuno ci fa più caso. È successo anche noi… insomma, vedo che l'uomo poi è capace di abituarsi a tutto. Qualche volta i colpi più vicini, in seguito ai quali tutto l'edificio trema, fanno un po' impressione, però poi ci si abitua anche a questo. Fa impressione anche, cosa che le immagini non possono rendere, l'odore, il fumo, l'odore delle esplosioni, l'odore che lasciano.

Israele sta ordinando di evacuare Gaza. Che ne sarà della popolazione superstite, stremata?
Resterà lì. C'è chi partirà, senz'altro, ma la maggioranza resterà lì. Non sa dove andare, prima di tutto, ma non vuole neanche partire, perché ha le radici lì, ha la casa lì, o meglio, avevano la casa lì, e vogliono ricostruirla lì. Il Papa su questo è stato molto chiaro: niente trasferimenti di popoli, non ci saranno riviere a Gaza.

Lei è fiducioso su questo?
Ne sono certo.

Il Papa ieri ha detto che bisogna rispettare, tra le altre cose, il divieto di “una punizione collettiva”. Come sono risuonate queste parole?
Molto chiare, molto forti e molto attese.

Eminenza, c’è una popolazione affamata e colpita dai bombardamenti mentre si procura quel poco cibo che riesce a filtrare. Perché?
Ce lo chiediamo tutti. Non riusciamo a capire le ragioni di tutto questo e, come il Papa giustamente ha detto - e anche noi lo ripetiamo continuamente - tutto questo non è giustificabile. Vorrei chiarire una cosa: non abbiamo nulla contro il mondo ebraico e non vogliamo assolutamente apparire come coloro che vanno contro la società israeliana e contro l'ebraismo, ma abbiamo il dovere morale di esprimere con assoluta chiarezza e franchezza la nostra critica alla politica che questo governo sta adottando a Gaza.

La vostra preoccupazione non è solo per i cristiani…
Assolutamente no. L'altra cosa molto importante da dire è che non ci siamo mai dedicati solo ai cristiani. Era nostro dovere, come pastori, visitare la nostra comunità, ma fin dal principio siamo sempre stati molto chiari su tutto quello che sta accadendo a tutta Gaza e tutte le nostre attività, siano gli ospedali, la Caritas, gli aiuti, sono prevalentemente per tutta la comunità, a cominciare dai nostri vicini, sono per tutti. Il Patriarcato latino, la nostra diocesi, arriva - quando le frontiere ancora lo permettevano, ma riprenderemo presto - a oltre 40 mila persone, sono quasi tutti praticamente musulmani.

Oggi si insedierà il nuovo Custode di Terra Santa, una parola da parte sua?
Gli facciamo tanti auguri. È una sfida non semplice, siamo pronti a collaborare, siamo certi che potremo insieme fare tante belle cose.