Città del Vaticano – «Sono molti a non comprendere ancora che da ogni caduta ci si deve poter rialzare, che nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto e che la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione». È il passaggio chiave dell’omelia con cui, questa mattina, Dominica Gaudete, Papa Leone XIV si è rivolto ai fedeli riuniti nella Basilica di San Pietro presiedendo la Santa Messa per il Giubileo dei Detenuti. Al centro della sua riflessione, la speranza come forza concreta capace di attraversare la realtà penitenziaria e di tradursi in giustizia, carità, misericordia, oltre che in percorsi reali di conversione e reinserimento.

Giubileo della speranza

Leone XIV, nell’omelia, ha spiegato il significato della scelta liturgica: il Giubileo dedicato al mondo carcerario cade nella domenica della gioia, a ricordare “la dimensione luminosa dell’attesa” e la fiducia che “qualcosa di bello, di gioioso accadrà”. Il Papa ha voluto includere esplicitamente non solo i detenuti, ma anche “tutti coloro che si prendono cura della realtà penitenziaria”, riconoscendo la complessità e la fatica quotidiana di chi opera nelle carceri.

L’“àncora” della speranza e le “porte del cuore” spalancate

Nel cuore dell’omelia, Leone XIV ha richiamato l’invito lanciato dal predecessore lo scorso 26 dicembre nella casa circondariale di Rebibbia: «la corda in mano, con l’àncora della speranza» e «spalancate le porte del cuore». Riprendendo quell’immagine, il Pontefice ha insistito su due direzioni inseparabili: la fiducia in un futuro migliore e, insieme, l’urgenza di essere “operatori di giustizia e di carità” negli ambienti in cui si vive.

Giustizia come riparazione e riconciliazione

Guardando alle sfide ancora aperte, il Papa ha riconosciuto che “c’è ancora tanto da fare” anche dove l’impegno è generoso. Qui ha fatto risuonare la parola del profeta Isaia – «ritorneranno i riscattati dal Signore» – come promessa e come mandato: Dio “riscatta” e “libera”, e questa liberazione interpella tutti. Il carcere resta “un ambiente difficile”, ma proprio per questo Leone XIV ha chiesto “tenacia, coraggio e spirito di collaborazione”, ribadendo un punto decisivo: “da ogni caduta ci si deve poter rialzare”, “nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto” e la giustizia non è vendetta, ma “processo di riparazione e di riconciliazione”.

Misericordia e perdono: fiori anche “tra le mura delle prigioni”

Il Pontefice ha indicato come segno di fecondità umana e spirituale la custodia, anche in condizioni dure, della “bellezza dei sentimenti”, del rispetto, dell’attenzione ai bisogni altrui, della capacità di misericordia e di perdono. In quel terreno “duro” possono “sbocciare fiori meravigliosi” e maturare “gesti, progetti e incontri unici”. Ma non è un lavoro richiesto solo a chi è privato della libertà: Leone XIV ha richiamato anche “chi ha il grande onere” di rappresentare la giustizia, chiamato a un serio lavoro interiore su “sentimenti e pensieri”. In questa prospettiva, il Giubileo diventa esplicitamente una chiamata alla conversione e, proprio per questo, “motivo di speranza e di gioia”.

Gesù, la responsabilità delle comunità e la “civiltà dell’amore”

Per sostenere questo cammino, Leone XIV ha invitato a guardare a Gesù e al suo Regno, dove “ai poveri è annunciato il Vangelo”. E ha aggiunto un passaggio operativo: se talvolta i miracoli avvengono in modo straordinario, “più spesso” essi sono affidati a noi, alla compassione, all’attenzione, alla saggezza e alla responsabilità delle comunità e delle istituzioni. Da qui il collegamento con una “civiltà fondata su nuovi criteri” e, in ultima analisi, sulla carità. Il Papa ha citato san Paolo VI e la sua espressione sulla “civiltà dell’amore”, indicando un orizzonte pubblico e sociale che non si esaurisce nelle buone intenzioni, ma chiede scelte coerenti.

Amnistia, condono, reinserimento: l’auspicio di misure concrete

In questo quadro, Leone XIV ha ricordato l’auspicio di Papa Francesco perché nell’Anno Santo si potessero prevedere “forme di amnistia o di condono della pena” che aiutino a recuperare fiducia in sé e nella società, offrendo “reali opportunità di reinserimento”. Il Pontefice ha confidato che “in molti Paesi” si dia seguito a tale desiderio, richiamando l’origine biblica del Giubileo come “anno di grazia” in cui, in molti modi, si rende possibile “ricominciare”.

Giovanni Battista, Agostino e il cuore riconciliato

Rileggendo il Vangelo, Leone XIV ha presentato Giovanni il Battista come figura eloquente di profeta: “retto, austero, franco”, fino alla prigione, ma anche capace di misericordia e comprensione verso chi, con fatica, cerca di cambiare. A sostegno, ha citato Sant’Agostino sul brano dell’adultera: rimangono “la misera e la misericordia”, e il comando del Signore: “va’ e non peccare più”. Un modo per dire che la verità sul male non cancella la possibilità del perdono, né il bisogno di un cammino reale.

Le criticità del carcere e il refrain conclusivo: “tutti siano salvati”

Nel finale, il Papa non ha nascosto i nodi più concreti: sovraffollamento, insufficienza di programmi educativi stabili, opportunità di lavoro, e sul piano personale “ferite” e “peso del passato”, la tentazione di arrendersi o “di non perdonare più”. Ma la conclusione è stata affidata a una frase ripetuta come criterio e promessa: «Che nessuno vada perduto» e «che tutti “siano salvati”». Avvicinandosi il Natale, Leone XIV ha invitato a restare “costanti” e fiduciosi, perché “il Signore è vicino” e, con Lui, “sempre qualcosa di bello e gioioso accadrà”.

d.M.S.
Silere non possum