Roma - Se si volesse spiegare a uno studente di ecclesiologia cosa produce un sistema episcopale costruito su equilibri fluidi, simpatie improvvise e assenza di criteri, basterebbe un nome: Gianpiero Palmieri. Le diocesi marchigiane oggi guidate da lui mostrano in modo lampante gli effetti di quel modello, nato nel pieno delle logiche di potere del pontificato precedente e incapace di reggere alla prova dei fatti.
Mons. Palmieri, oggi Arcivescovo-Vescovo di Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, appartiene a quella generazione di presuli nominati da papa Francesco secondo cerchie di potere durate dalla sera alla mattina. Palmieri venne elevato all’episcopato quando nelle grazie del Pontefice era entrato il suo più grande sponsor, Angelo De Donatis. Quando quest’ultimo è caduto in disgrazia, anche Palmieri è presto scomparso dalla scena.
Il dramma, osserva un cardinale di Curia, è che «questi vescovi nominati da Francesco, senza alcuna indagine e senza alcun criterio, dopo che gli sono state messe le mani in testa, circolano indisturbati perché: quando sei vescovo, sei vescovo per sempre». Ed è esattamente ciò che sta accadendo oggi nella diocesi - o sarebbe meglio dire nelle diocesi - marchigiana affidate a Palmieri.
Il precedente romano: lo scontro con Tarantelli
«Come è noto Palmieri è stato silurato dal Vicariato a seguito delle accese discussioni che ci furono con Renato Tarantelli», spiega il cardinale. E aggiunge un’analisi che non lascia spazio a interpretazioni: «Se Tarantelli ha sempre avuto quella sicumera tipica delle persone poco scolarizzate ma che pensano di sapere tutto, Palmieri è un uomo con criticità dal punto di vista relazionale non indifferenti. In Vicariato, infatti, due caratteri così erano inconciliabili».
L’esilio ad Ascoli Piceno
Nelle Marche Palmieri sta mostrando l’incapacità di confrontarsi con gli altri, soprattutto con chi non la pensa come lui. Fin dal suo arrivo «ha favorito solo coloro che entravano nelle sue grazie. Se diamo un’occhiata alle nomine rese pubbliche in queste ore, è chiaro che ha favorito tutti coloro che arrivano da Azione Cattolica».
Un cambio di registro netto e problematico. Siamo passati da un sistema nel quale si è fortemente favorito un ambiente di corruzione e familismo amorale alimentato dai focolarini, a un nuovo sistema di appartenenze, stavolta legato ad Azione Cattolica. «E pensare che queste terre hanno offerto alla Chiesa uomini di grande statura: Giuseppe Petrocchi, con la sua capacità di parlare un italiano corretto e fluente; Stefano Russo, noto per la sua abilità di governo e per il lavoro eccellente svolto anche in CEI. Uomini capaci, carismatici», racconta il porporato ridendo sotto i baffi che non ha.
Un governo emotivo, intermittente, contraddittorio
«Palmieri è un uomo emotivo, lo avevate scritto tempo fa», ricorda il cardinale, «ed è così». E la descrizione che segue è impietosa. L’Arcivescovo-Vescovo, riferisce il cardinale, «ha fatto un lavaggio del cervello ai preti in questi anni». Negli ultimi mesi ha raggiunto «livelli di isteria» inimmaginabili, rimproverandoli perché sui giornali uscivano le nomine, «come se le comunità non dovessero sapere ciò che accadeva». Parlano di sinodalità, nota il cardinale, «ma si guardano bene dal fare scelte condivise con il clero e il popolo di Dio». E ancora: Palmieri «ha spesso cambiato idea dalla sera alla mattina - chiedetevi come mai – e se usciva la notizia della cosa che aveva deciso prima, lui andava su tutte le furie dando la colpa a coloro aveva fatto uscire la nomina».
Un comportamento che conferma anche numerose testimonianze di laici: Palmieri ha rotto rapporti con collaboratori o laici impegnati ogni volta che qualcuno ha espresso idee differenti dalle sue.

Parroci degradati, spostamenti insensati, confusione canonica
Delle “gesta” di Gianpiero Palmieri arrivano lamentele fino all’Urbe, dove si racconta che numerosi sacerdoti siano stati declassati a semplici «assistenti di altri parroci», retrocessi senza alcuna spiegazione e coinvolti in spostamenti del tutto insensati, con parroci di una diocesi trasferiti nell’altra come fossero pedine su una scacchiera. Ma qui si apre un problema serio che va oltre la persona di Palmieri – il quale già fatica con la teologia, figuriamoci con il diritto canonico. Finché esisteranno “unioni nella persona del vescovo”, lo scambio dei sacerdoti da una diocesi all’altra non sarà affatto possibile: il prete è legato al territorio della diocesi, non al vescovo. E questo principio vale per tutto, dagli organismi come il consiglio presbiterale e la curia, fino agli incarichi dei sacerdoti incardinati.
Non è possibile immaginare di prendere i preti di San Benedetto del Tronto e portarli ad Ascoli: non seguono il vescovo, ma devono restare nel territorio della diocesi in cui sono incardinati. Fa sorridere - amaramente - che simili operazioni, portate avanti con una buona dose di ideologia, vengano compiute proprio da quei vescovi che si riempiono la bocca di “popolo di Dio”, “basta con il super potere e i titoli dei vescovi”, e altre formule del genere. La realtà è che questi vescovi di nuova nomina, molti dei quali non hanno neppure sessant’anni, si stanno rivelando più dispotici dei vescovi di cento anni fa.
La cosa da non dimenticare, peraltro, è che l’Arcivescovo-Vescovonon procede alle nomine seguendo criteri di capacità, talenti o necessità pastorale delle comunità, ma secondo amicizie, affinità o interessi. Ed è qui che emerge il vero problema: questo tipo di vescovi non è in grado di valorizzare i talenti dei propri preti. La loro tecnica non è quella di far crescere, ma di soffocare. E se un sacerdote rischia anche solo lontanamente di metterli in ombra, fanno di tutto per spingerlo ai margini.
«Manca l’umanità, manca la paternità»
«Al di là di questo - spiega il cardinale - c’è proprio un problema nel governo che accomuna diversi di questi vescovi giovani che stanno spaccando il clero: manca l’umanità, la volontà di conoscere il territorio, e la paternità». E si fa scuro in viso: «Questi sono tutti uomini che hanno sulle spalle ferite. Pensate a ciò che ha fatto Tarantelli a Palmieri. Ma queste ferite non possono ricadere su preti e fedeli. Non possono governare e vivere nei luoghi dove sono stati esiliati con quella rabbia e quel risentimento con cui ora agiscono». Palmieri, raccontano, negli incontri con il clero si è mostrato duro, non dedito all’ascolto. Nei colloqui privati i toni sono stati in molte occasioni del tutto autoritari: «devi andare là, a me non interessano i problemi che avete, dovete fare così». A qualche prete ha anche consigliato il terapeuta che riteneva giusto frequentasse lui. Ai laici che esprimevano idee divergenti avrebbe urlato in faccia che quelle idee «non andavano bene» e che dovevano «rimettersi in carreggiata altrimenti non potevano ritenersi in comunione».
«Poi, come se niente fosse, agiscono con “amorevole misericordia” con preti che hanno coperto Marko Ivan Rupnik per anni e invitano a parlare a tutti, laici e preti, una donna che ha coperto Rupnik per decenni. Deboli con i forti e forti con i deboli, è sempre la stessa storia», spiega il presule.
Una diocesi che si sta lacerando
«Quando governi in questo modo il problema diventa serio perché i fedeli ti girano alla larga e i preti iniziano a mal sopportarti», osserva il cardinale. «E come avviene ogni volta che ci sono persone di questo tipo, fortemente emotive e che reagiscono con autoritarismo solo perché molto fragili e intimorite, la diocesi si spacca». Dopo l’episcopato di Giovanni D’Ercole, per il quale fu necessario persino un Visitatore Apostolico da Roma, nessuno immaginava di trovarsi di nuovo davanti a un quadro simile. E invece eccoci qua.
Nomine tenute segretissime e un sistema che cambia volto, non sostanza
Alcune tare mentali, peraltro, emergono già da dettagli apparentemente minimi. Palmieri ha fatto di tutto per mantenere segretissime le nomine dei parroci: dalla curia sono circolati documenti nei giorni precedenti, ma accompagnati dall’ordine tassativo “Guai a scrivere qualcosa prima che esca ufficialmente, sennò quello chi lo sente”, si sono lasciati scappare. Perché Palmieri teme così tanto la stampa? Anche ai parroci ha detto più volte: “Eh, se poi escono sulla stampa….” Per quale motivo va su tutte le furie ogni volta che viene raccontato qualcosa di vero su di lui, delegando al grande frequentatore di sagre di Monticelli il compito di diffamare e delegittimare chi non ha certo paura delle sue esplosioni isteriche? Forse perché teme che le persone inizino a vedere con chiarezza ciò che non sta funzionando. E che a guidare uno smembramento del clero di questa portata sia il vicepresidente della CEI la dice lunga.
Per queste nomine ha imposto a tutti il silenzio assoluto fino al momento da lui stabilito, come se si trattasse di segreti di Stato. Il risultato è stato che anche molti laici, appena venuti a conoscenza dei contenuti, hanno immediatamente storto il naso. I fedeli oggi mostrano forti perplessità: troppe nomine appaiono legate unicamente ad ambienti vicini all’Azione Cattolica, realtà alla quale Palmieri è legato dai primi anni del suo ministero, quando ne fu assistente. È un sistema che cambia volto, ma non cambia logiche.
d.C.B.
Silere non possum