Castel Gandolfo - Leone XIV sta delineando la propria “routine pontificia”, un tempo ancora di rodaggio, ma che già rivela tratti precisi. Il martedì, in agenda, non compaiono udienze private: una scelta voluta, che consente al Papa di ritagliarsi uno spazio di riposizionamento interiore. È un tempo che non coincide con il vuoto o l’inattività, ma con il recupero delle energie e la possibilità di sostare davanti a Dio.

Il Pontefice sa bene che in Vaticano la libertà è ridotta. Non c’è possibilità di passeggiare nei giardini senza mobilitare tutto l’apparato di sicurezza, né di vivere senza occhi indiscreti, in mezzo a un flusso continuo di persone, richieste, incombenze. Troppo caos, troppa esposizione. Castel Gandolfo diventa allora non un rifugio elitario, ma uno spazio di libertà spirituale e fisica. Certo, se non ci fossero stati i ripensamenti sull’uso delle ville legati al Borgo Laudato si’, il raggiungimento sarebbe oggi più semplice e immediato. Ma nonostante le complicazioni logistiche, Leone XIV ha iniziato a percorrere questa strada: dedicarsi un tempo regolare di silenzio, riposo e preghiera.

E qui si coglie un tratto del suo stile: non educare attraverso invettive, ma attraverso comportamenti. Il predecessore era spesso incline a rimproveri diretti e parole taglienti, soprattutto verso i sacerdoti. Leone XIV, invece, sceglie la via del gesto. Che cosa vuole dire al clero con queste scelte? Il messaggio è semplice e radicale: “Riposatevi. Pregate e riposatevi.” Se lo fa il Papa, tanto più devono farlo i sacerdoti e i vescovi.

Riposo come dimensione spirituale

Nella tradizione biblica il riposo non è mai inteso come mera sospensione di attività, ma come tempo consacrato. Lo Shabbat, nella sua radice, non è un giorno di inattività, bensì un tempo per tornare all’essenziale, per riconoscere che l’uomo non è schiavo della produttività, ma figlio amato di Dio. Leone XIV, riservandosi questo spazio, ricorda al clero che anche il ministero non può divorare la persona. Un sacerdote che non riposa, che non sa staccare, rischia di vivere il ministero come pura funzione, perdendo la freschezza del rapporto con Dio e con gli altri.

Prevenire il burnout

In diverse diocesi abbiamo dovuto affrontare quello che viene definito il burnout pastorale: una sindrome di logoramento che tocca non pochi sacerdoti e religiosi. Ansia, depressione, senso di inadeguatezza: segnali che non vanno sottovalutati. Quando la vita del prete è schiacciata solo dal fare – riunioni, attività, documenti, omelie, amministrazione – senza tempi veri di sosta e rigenerazione, la fiamma si spegne. Leone XIV sembra voler dire che il riposo non è un lusso, ma una necessità. È parte della fedeltà al ministero, non una sua deviazione. Il prete che si concede tempo per la preghiera silenziosa, per le amicizie sincere, per una passeggiata senza orologio, non sta trascurando il gregge: sta coltivando sé stesso perché il servizio non diventi sterile.

Formazione e vita sacerdotale

Questa prospettiva interroga anche la formazione dei futuri sacerdoti. Troppo spesso i seminari rischiano di educare a un modello di prete “funzionario”, sempre attivo, sempre in prima linea, con l’idea che il valore si misuri dalla quantità di impegni. Ma la vera formazione dovrebbe insegnare l’arte di unire contemplazione e azione, preghiera e riposo, lavoro e distacco. Se una sera in seminario non ci sono attività, non è un dramma, si sopravvive ugualmente.  San Tommaso diceva “Gratia non tollit naturam, sed perficit”. Anche la natura del corpo e della psiche chiede i suoi tempi. Non rispettarli significa forzare un equilibrio delicato. E qui la psicologia converge con la teologia: il riposo è cura, è igiene interiore, è prevenzione di fratture.

Una lezione di amicizia e libertà

Infine, il Papa suggerisce che non tutto deve girare intorno all’incarico. Il sacerdote non può ridursi al ruolo. Servono relazioni autentiche, amicizie vere, spazi di gratuità. Solo così si evita che il ministero diventi un’identità schiacciante. Il Papa, ritirandosi a Castel Gandolfo, mostra che anche lui – uomo tra gli uomini – ha bisogno di libertà, silenzio e rapporti umani non condizionati dal ruolo. È una pedagogia silenziosa ma eloquente: il ministero senza respiro si spegne, quello che sa rigenerarsi si apre alla grazia.

d.I.A.
Silere non possum