Spesso, negli incontri di formazione ai quali prendiamo parte, sentiamo parlare di “fraternità sacerdotale”, “amicizia”, “bisogna andare d’accordo”, “bisogna aiutarsi”, ecc… Nel panorama odierno notiamo tristemente che molti vescovi scambiano la “fraternità” con l’“amicizia” e la vita religiosa per “fraternità”. Infatti, se il prete diocesano è chiamato alla fraternità con il proprio presbiterio, non è invece chiamato alla vita comune (simile alla vita religiosa) con i suoi confratelli. Allo stesso tempo, siamo chiamati ad essere “uomini di comunione” e “uomini di fraternità” ma non siamo tenuti ad essere “amici” di tutti. L’amicizia è qualcosa che nasce dal cuore, senza costrizione e senza alcun calcolo. Non può essere “imposta” dall’alto. Per questo, quando in seminario si osservano nascere delle amicizie, bisognerebbe essere contenti piuttosto che ostacolarle. Non è qualcosa di scontato! Spesso nascono rivalità, gelosie e da questo scaturisce il chiacchiericcio, la calunnia, ecc… Oggi, allora, vogliamo riflettere su cos’è la fraternità sacerdotale e lo facciamo partendo dagli esempi che la Sacra Scrittura ci offre in merito a questo tema.
«Ecco, come è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne» (Salmo 133).
Aronne è colui che, in combutta con Maria, aveva invidiato il fratello Mosè. La presentazione della fraternita fatta da questo salmo, che di primo acchito parrebbe perfettamente luminosa, ha al centro la figura di Aronne con le sue contraddizioni.