Is it true that Jesus does not send vocations to the Church? Why are the seminaries empty?
Mentre Francesco si reca nei salotti della televisione italiana, all’interno della Chiesa vi sono diversi problemi, i quali sembrano non importare al Papa dell’innovazione.
In questi anni abbiamo sentito numerose persone che hanno lanciato l’allarme: “Non ci sono più vocazioni. I giovani non vogliono seguire Cristo”. Ma è davvero così? Se tentiamo di abbandonare il mantra tipicamente italiano che è volto a demonizzare i giovani, ci renderemmo conto che il problema non è questo. Sì, il risultato è che nei seminari e nei monasteri non ci sono più giovani, ma il motivo non è perché questi non vogliono seguire Cristo.
La Chiesa ha una crisi d’identità
La società è certamente cambiata e il mondo offre molte possibilità ai giovani ma il Signore non ha mai fatto mancare “operai nella Sua messe”. Anzi, se oggi un giovane sceglie di abbandonare tutto ciò che gli viene proposto e bussare alla porta di un monastero o un seminario, questo dovrebbe far comprendere come questa scelta è ancor più encomiabile. L’errore che la Chiesa compie, da cinquant’anni a questa parte, è quello di guardare con sospetto a chiunque bussa alla propria porta. Il problema è essa stessa che si è convinta di “non essere abbastanza” e, di conseguenza, diviene sempre meno attraente. L’atteggiamento è lo stesso che assumono quelle persone, ferite dalla vita, che non si sentono “degne di essere amate”. "Perchè viene in seminario?", "Perchè non va altrove?", "Cosa cerca qui?", sono le tante domande che abitano la testa di molti preti e di molte suore sessantottini.
Oggi, soprattutto nei luoghi di potere, vi sono dei soggetti che sono vecchi, stantii, piagnucolanti. Queste persone sono convinte di avere un tesoretto da custodire. Pensiamo alla parabola che Gesù racconta in merito ai talenti (Mt 25,14-30). Il comportamento di queste persone è simile a quello del servo che ricevette un solo denaro. Ricevo un monastero con 10 monaci? Lo riconsegno con dieci monaci, se va bene. Ho un seminario con 4 seminaristi? Ne porto all’ordinazione due e gli altri li mando a casa. Poi?
Non c’è lungimiranza, non c’è quel senso di appartenenza, non c’è l’amore del padre di famiglia che lavora per consegnare qualcosa ai suoi figli. Si tratta di uomini e donne che sono entrati in seminario, in convento, durante gli anni fruttuosissimi del Concilio ed hanno ricevuto realtà floride. Quello che hanno ricevuto non sono stati capaci di curarlo, implementarlo. Tutto gli era dovuto, tutto gli è dovuto, ma loro nulla debbono alla Chiesa di Dio. Sono le stesse persone, ormai ridicole, che rilasciano interviste, appaiono in televisione e infangano ogni giorno la Chiesa sostenendo che è una realtà abusante, che tutto è perduto e quant’altro.
Le vocazioni: un problema non una ricchezza
Nella maggior parte di questi casi, ci si imbatte in vescovi, rettori dei seminari o abati che guardano alle vocazioni con sospetto. La porta della Chiesa è aperta a tutti, proprio a tutti, ma per il tempo necessario per poter ballare e cantare insieme. Poi? Poi ognuno a casa propria. Oggi, le vocazioni sono un problema per le comunità. Pensiamo, ad esempio, a quelle comunità piene di uomini “maturi” che ormai non hanno più voglia di far nulla. Durante la ricreazione scappano in camera, per la liturgia delle ore hanno molti impegni pastorali, il capitolo diviene un adempimento burocratico da risolvere in 5 minuti. Ecco, pensiamo ad una realtà del genere. Se un giovane bussasse a quel monastero, sarebbe il panico. Significherebbe dover trovare qualcuno capace di fare il “maestro dei novizi”; significherebbe ristabilire una regola di vita, ormai perduta; significherebbe stravolgere la propria comoda e insignificante vita. In sostanza, oggi, molte comunità hanno paura dei giovani. Ecco, quindi, che il racconto prende un’altra piega. Non è il Signore che non manda vocazioni, siamo noi a non accettarle perché sono uno specchio nel quale non vogliamo guardare.
Il giovane che viene definito “rigido”, infatti, è semplicemente colui che, giungendo alle porte di un seminario, cerca una realtà strutturata. Se arriva e trova persone che cantano, ballano, escono a bere lo spritz e gli unici momenti che passano insieme sono il pranzo e la cena, è chiaro che sbatterà la porta e se ne andrà. La risposta di molti formatori, oggi, però, è quella di demonizzare il giovane e non fare un esame di coscienza. Lo stesso Papa continua a puntare il dito contro coloro che vivono seriamente la loro vita religiosa, la loro vita sacerdotale. Ricevendo i seminari li invita sempre a “ripensare alla loro scelta” o chiede loro: “perché siete qui? Potete andare e trovarvi una ragazza”. Bisogna iniziare a leggere queste affermazioni alla luce della vita, delle esperienze di vita, di coloro che le pronunciano. Forse sono loro stessi che non vivono serenamente la loro scelta e, di conseguenza, la rendono meno appetibile anche agli altri.
Dove vogliamo andare?
Se un sacerdote non vive la propria vita di preghiera, se un monastero non segue la propria regola di vita, dobbiamo chiederci: cosa stiamo facendo? Si tratta di una casa di cura, una casa di riposo dove ognuno conduce la propria vita? Si tratta di persone che stanno insieme per poter pagare un inserviente solo?
La Chiesa, la quale avrebbe il compito di riaccendere questo fuoco nel cuore dei suoi membri, è oggi guidata da persone che non hanno addosso la "voglia di vivere". Oggi sono numerosi i monasteri che vengono commissariati ma per quale motivo? Problemi economici, problemi interni di lotte di potere oppure perché sono “troppo tridentini”. Quella che era uno strumento volto a vagliare lo stato di salute di una comunità, la visita apostolica, è divenuta uno strumento repressivo/ punitivo. Difatti, oggi le visite apostoliche non vengono commissionate perché in un monastero o in un seminario, non si prega, le monache non portano il velo oppure perché la vita fraterna non esiste. Oggi, le realtà vengono commissariate per punire, non per curare. Ci sono monasteri che non vivono affatto la loro regola ma se non creano problemi e a Roma non schiacciano i piedi, possono continuare in questo modo senza alcun problema. Nessuno se ne preoccupa, anzi. Se un monastero segue la propria regola, allora si interviene perché sono rigidi. Questi uomini e queste donne, che si sono formati alla scuola di un Concilio che non è mai stato celebrato, oggi sarebbero in grado di etichettare come “rigidi” anche san Benedetto o san Bruno.
Se in una comunità discutono fra loro, allora si interviene a gamba tesa. Ma quando mai ci sono stati monasteri, comunità, nei quali non si è discusso? Il problema è che oggi qualcuno ha fatto credere che la soluzione è rivolgersi a Roma, così l'abate o il superiore non contano più nulla. Ciò che importa, infatti, è avere le giuste amicizie oltre Tevere.
Oggi sono sufficienti due o tre monaci che si rivolgono a Roma sparlando del proprio abate per farlo dimettere. Se si indaga un po’, poi, si viene a scoprire che quei monaci erano stati richiamati perché non vivevano fedelmente la loro regola. È sufficiente che vi sia qualche laico incattivito contro l’abate, per farlo spedire in un altro Paese e far commissariare tutta la sua comunità. Scavando un po’, però, si scoprirà che quei laici avevano sete di denaro e di potere.
Sono numerose le comunità che oggi si trovano in queste situazioni spiacevoli e non vi è alcuna via d’uscita se non un chiaro cambiamento. Anche quelle comunità che hanno giovani sacerdoti alla loro guida rischiano di non portare alcun frutto perché vi è sempre qualche zavorra che funziona da àncora. Perché il problema di questa generazione di vecchi è anche che non ammettono di aver fallito. Se c’è il giovane rettore del seminario che ha il seminario pieno, beh “chissà che cosa ci sarà dietro”. Se l’abate di un monastero ha il noviziato pieno, beh “quell’abate avrà sicuramente qualche scheletro nell’armadio”.
E così, a forza di gelosie e invidie, la Chiesa continua a restare sotto scacco di uomini e donne repressi perché le loro ambizioni sono svanite nel nulla e, quindi, la Chiesa di Cristo deve terminare con la loro insignificante vita. Fra un tweet ed un post di Facebook, questi boomers, stanno demotivando anche chi ha ottime capacità e aspettative.
d.L.T.
Silere non possum
Solennità di Pentecoste.