È uscito nelle librerie, in traduzione italiana a cura di Marsilio Editore, il libro “Il Successore. I miei ricordi di Benedetto XVI”. Il testo è il resoconto di alcuni incontri che si sono svolti a Santa Marta fra il giornalista spagnolo Javier Martinez Brocal e Papa Francesco.

Su Silere non possum abbiamo parlato più volte di Martinez Brocal e del suo rapporto con Jorge Mario Bergoglio. Il giornalista fu anche colui che Papa Francesco informò, martedì 11 gennaio 2022 alle 17.10, quando si recò nel negozio di dischi in via della Minerva a Roma. Brocal si fece trovare sul posto e raccontò con fare sensazionalistico questa visita che il Papa fece ai proprietari del negozio. La narrazione fu: “Mi trovavo casualmente lì” ma in realtà l’uomo fu avvisato per tempo per poter creare il caso.

Questa premessa è doverosa per poter leggere questo libro con consapevolezza. Allo stesso tempo, queste cose emergono chiaramente nel dialogo fra il giornalista e il Papa. Nel testo Brocal racconta che più volte ha sottoposto al Pontefice la bozza di questo testo e il Pontefice ha offerto le sue correzioni. È chiaro, quindi, che non si tratta di un “libro-intervista” come quelli che solitamente siamo abituati a leggere. È un testo studiato a tavolino. C’è da chiedersi: perché?

Prima di addentrarci nella lettura è doveroso farsi un’ulteriore domanda: che differenza c’è fra il libro “Nient'altro che la verità” di Georg Gänswein e “Il Successore” di Papa Francesco?

Si tratta di due operazioni ben precise. Il primo è un libro di un uomo, segretario di un grande Papa, che racconta le proprie memorie. Non è una novità, è successo anche con pontefici precedenti. Il secondo è un testo del Papa regnante che tenta, a tutti i costi e senza ricordare il proprio ruolo, di rispondere al primo libro e mettere in cattiva luce tutti coloro che hanno servito il suo predecessore. In seconda battuta, poi, c’è un vero e proprio tentativo di riscrivere la storia.

Il tutto diventa molto chiaro analizzando alcune espressioni in modo specifico e ora lo faremo.

Legittimare le sue scelte

Nella speranza di legittimare le sue scelte facendole passare come “volute anche da Benedetto XVI” il Papa racconta che il cardinale Pietro Parolin avrebbe dovuto succedere a Bertone ma c’erano dei circoli di potere che bloccavano questa mossa. Tralasciando il fatto che il Papa, all’età di 87 anni, sbaglia dicendo che Parolin era cardinale, il problema serio è che in realtà questa affermazione è palesemente falsa. Con la morte di Benedetto XVI e la destinazione come nunzio di Mons. Ganswein, Francesco si assicura anche il silenzio di tutti su questo tema che però è cruciale. Benedetto XVI non solo non ha mai pensato di sostituire Tarcisio Bertone nonostante glielo abbia chiesto metà collegio cardinalizio, ma non avrebbe mai pensato a Pietro Parolin. È bene ricordare che Joseph Ratzinger fu il primo Papa a voler colpire la lobby della diplomazia, questa sì che è una lobby non la finta lobby gay. Il Papa decise di mettere un “non diplomatico” a capo della Segreteria di Stato. Scelta saggia, peccato che la decisione sia caduta su un uomo che ha approfittato della sua amicizia con il pontefice per mettere nei guai la Chiesa intera.

Questa scelta non fu mai perdonata a Benedetto XVI da coloro che appartenevano a questa lobby: Beniamino Stella, Pietro Parolin, ecc… Per questo motivo dalla Terza Loggia partì tutto lo scandalo Vatileaks. Mentre il mondo è convinto che Jorge Mario Bergoglio sia stato voluto dalla Chiesa povera, l’arcivescovo di Buenos Aires fu eletto grazie ai circoletti veneti guidati proprio da Beniamino Stella dove il presule si recava in gran segreto di notte durante le Congregazioni generali pre-conclave nel 2013. Stella era all’Accademia Ecclesiastica e Bergoglio accedeva da un ingresso laterale in segreto. Ed ecco che quando fu eletto Stella fu usato per far fuori Mauro Piacenza e Parolin per far fuori Tarcisio Bertone. Queste scelte, però, non c’entrano nulla con Benedetto XVI e il Papa lo sa bene. C’è da dire che ora Stella piange e si asciuga le lacrime a Casa San Benedetto, per Parolin non è ancora chiaro quanto resisterà.

Chissà perché, però, Bergoglio non ha mai preso di petto Tarcisio Bertone ed anche in questo libro non accenna assolutamente alla sua persona. Anche quando racconta la sera dell’elezione riferisce, in modo del tutto falso, che si affacciò alla finestra con Cláudio Hummes e Agostino Vallini perché non sapeva si sarebbe dovuto affacciare con il Camerlengo. In realtà l’Ordo rituum Conclavi al n. 75 non prevede che il Pontefice si debba affacciare alla loggia con il Camerlengo.

Benedetto XVI e Papa Francesco

Nel racconto emergono chiari alcuni attacchi strumentali che Bergoglio vuole che vengano trascritti. Non potendo attaccare il suo predecessore, altrimenti rischierebbe un vero e proprio scisma, il Papa offre una narrazione volta a screditare tutti coloro che circondavano Joseph Ratzinger come a volerlo descrivere “sotto scacco” di un cerchio di fedelissimi. A capo di questo cerchio, il Pontefice vuole far intendere, c’era sicuramente Georg Gänswein.

Inoltre, emerge chiaro, che l’unico elogio che Bergoglio fa di Ratzinger è inerente al suo “coraggio” e alla sua scelta di rinunciare. Non parla di tutto ciò che ha fatto Benedetto XVI in otto anni di pontificato, non parla delle sue encicliche, non parla della sua teologia. Nulla. Solo un grande gesto: le dimissioni. E lui sarebbe quello che votò Ratzinger nel 2005?

Francesco, a precisa domanda, riferisce che Papa Benedetto XVI non ha mai manifestato un chiaro disaccordo nei suoi confronti e, al contrario, rispondeva alle questioni di cui lo rendeva partecipe offrendo altre soluzioni (pag. 69). Bergoglio lo racconta in questo modo perché, evidentemente, non conosceva Joseph Ratzinger. Chi ha passato la propria vita al suo fianco è consapevole che Benedetto XVI non ha mai alzato la voce o sbattuto i pugni sul tavolo, al contrario del regnante, e non ha mai affrontato il governo della Chiesa con fare dispotico. Figuriamoci se avrebbe fatto questo con il suo successore in una situazione delicata come quella che si stava (e si sta) vivendo. Benedetto XVI era ben consapevole, purtroppo solo dopo l’elezione del suo successore, che qualunque suo gesto avrebbe rischiato di creare un vero e proprio scisma. È chiaro che il Pontefice emerito, se proponeva una alternativa, lo faceva proprio per far capire che c’erano altre soluzioni. Questo fanno i grandi della storia, senza autoritarismo ma con autorità. Ratzinger non aveva bisogno di urlare, sclerare, opporsi ma era sufficiente una sua parola perché arrivasse chiara, senza interpretazioni seconde. Questo è un problema che Papa Francesco non ha compreso quando parla della questione dei vescovi africani e di Fiducia Supplicans (pag. 150). Parlando del cardinale Fridolin Ambongo Besungu, il Papa dice che ha fatto bene a confrontarsi con il Dicastero per la Dottrina della Fede e afferma: “Hanno chiarito le cose, si sono spiegati…A volte si resta erroneamente nel dubbio invece di andare a chiedere spiegazioni direttamente a chi ha preso certe decisioni”. Tralasciando il fatto che non si sono chiariti affatto ma semplicemente hanno preso la decisione di “non applicare Fiducia Supplicans” in Africa, Francesco dimentica che non è possibile agire in questo modo. Ogni singolo vescovo del mondo dovrebbe bussare al portone del Sant’Uffizio perché i documenti non sono chiari oppure dovrebbe essere il Dicastero ad essere chiaro e offrire parole che non diano spazio a fantasiose interpretazioni? La Chiesa ha il dovere di essere chiara ed anche inattaccabile. Altrimenti a cosa dovrebbe servire il magistero? Dovremmo avere la fila dei presuli che chiedono spiegazioni per ogni singolo problema? Suvvia!

L’amore di Benedetto XVI per la Chiesa

Francesco tiene a precisare che Joseph Ratzinger non assecondò mai neppure coloro che tentavano di strumentalizzarlo per attaccare il pontefice regnante. Nei giorni in cui mi è stato inviato il libro per poterlo recensire ho avuto la fortuna di incontrare un sacerdote che mi ha ricordato un episodio raccontato nella Scrittura: l’ebbrezza di Noe.

«I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all'interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del loro padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del loro padre. Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse:

«Sia maledetto Canaan!Schiavo degli schiavisarà per i suoi fratelli!». E aggiunse:

«Benedetto il Signore, Dio di Sem,Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafeted egli dimori nelle tende di Sem,Canaan sia suo schiavo!». Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. L'intera vita di Noè fu di novecentocinquanta anni; poi morì» Genesi 9,18-29.

Proprio come fecero questi saggi figli nei confronti del padre, Benedetto XVI ha agito con il Papa regnante. Allo stesso modo siamo chiamati a fare noi innanzi a queste uscite del Papa che sono volte a denigrare alcuni suoi confratelli nell’episcopato. Francesco, purtroppo, non si rende conto che con questi gesti mina il Papato e la credibilità della Chiesa stessa. Bergoglio passerà, proprio come è passato Alberto di Morra, Bertrand de Got o Joseph Ratzinger…La Chiesa, però, ha il dovere di restare quale faro inattaccabile.


Gli attacchi a Gänswein

Il motivo per cui Francesco sceglie di scrivere questo libro è solo uno: rispondere per le rime a Georg Gänswein. Lo si comprende in tutta la narrazione e in particolare in alcuni punti. Silere non possum aveva raccontato, con fedeli virgolettati, le parole del Papa rivolte ai presbiteri di Roma. Nell’incontro dell’11 giugno 2024 il Pontefice esordì con una frase dove raccontava dello “scandaloso” trasloco di “un monsignore” che portò via “due tir” di roba da casa sua.

Avevamo già spiegato che era chiaro, per chi vive qui dentro, a chi facesse riferimento il Papa ed avevamo anche spiegato quanto fosse stucchevole e poco elegante questo commento pauperista. Come mai Francesco non spiegò che questi “due tir” che in realtà sono “camion” erano il risultato di 20 anni di servizio alla Curia Romana ed al Papa? Come mai non ha spiegato che erano due camion con tutto ciò che riguardava, non solo il segretario ma anche il Pontefice emerito e le Memores? Inoltre, quando ci sarà da svuotare Santa Marta basteranno due camion? Qualcuno è entrato nella dimora del Papa? Solo chi non ha mai messo piede qui dentro è ancora convinto che il Papa vive in una stanza con un letto ed un bagno. Francesco in questi anni si è preso l’intero piano della Domus, strano che non lo raccontino questi giornalisti.

Infine, il Papa ha il tempo di mettersi a guardare quanti camion escono in un trasloco? Queste affermazioni non fanno altro che rendere chiaro come Bergoglio passi le proprie giornate ad ascoltare le chiacchiere delle diverse megere (gendarmi, servi di corte, monsignori dalla lingua felpata, professori repressi, ecc…) che accedono a Santa Marta per poter ottenere qualcosa. Questi commenti rendono anche chiaro come fossero ben disposti questi nuovi collaboratori con chi li ha preceduti.

A proposito di Santa Marta e del Palazzo Apostolico, faccio una piccola divagazione per sottolineare quanto Papa Francesco dice nel libro: «Il Palazzo Apostolico era “un imbuto strettissimo”», dice. In effetti, questo è il fine del Palazzo Apostolico, in questo modo si evitava che tutti potessero accedere al Papa e raccontargli la qualunque. Oggi, invece, tutti accedono a Santa Marta e Francesco non ha ancora capito che chi gli racconta alcune cose lo fa con un fine ben preciso. C’è da chiedersi, poi, quante di queste sono vere?

Visto che Gänswein è stato “indelicato” nel dire alcune cose, Francesco sceglie di raccontare un episodio che è ben difficile possa essere veramente accaduto. Il giorno in cui Benedetto XVI si aggravò lui si recò al Monastero. Nel raccontare questa visita, nonostante non gli fosse stato chiesto, afferma: “Subito dopo però successe una cosa molto brutta. Mentre uscivo, uno dei medici del monastero disse in tono sprezzante all'infermiere che mi accompagnava: «Sei uno spione». Questo che racconto è la pura verità. Secondo i medici non doveva trapelare nulla. In qualche modo mi venne da pensare che tenessero Benedetto quasi «sotto custodia». Non intendo prigioniero o rinchiuso, ovviamente, ma «sorvegliato»”.

Questo racconto è di una gravità inaudita, ben peggiore di ciò che Ganswein ha raccontato e che trova conferma nelle parole di molti testimoni. Qui, invece, il Papa racconta un episodio che è inverosimile. Patrizio Polisca, davanti al Papa, avrebbe veramente detto una frase del genere? Ma chiediamoci perché Bergoglio offre questa narrazione? Attaccare il predecessore sarebbe troppo sfrontato e quindi sceglie di attaccare tutto il suo entourage?

Perché Francesco sta, da ben undici anni, offrendo questa immagine del Vaticano? Neppure Dan Brown è riuscito a scrivere tante dietrologie. “Questo che racconto è pura verità”, dice il Papa. Eppure, sembra proprio una excusatio non petita.

Questa narrazione di trame contro di lui emerge, ancora ed ancora. A pagina 74-75 Francesco racconta con particolari una cena alla quale erano presenti tre cardinali che, a suo dire, lo avrebbero “processato”. Ovviamente lui non era presente. Anche in questo caso, nessuno si chiede: ma come fa a saperlo il Papa?

È doveroso riflettere su queste dinamiche che sono tipicamente clericali, purtroppo. Francesco si è reso conto che, come qualcuno, gioca a influenzare il Papa in favore delle proprie idee, lo può fare anche per mettere in cattiva luce gli altri? Francesco, che ha definito il Palazzo Apostolico un “imbuto strettissimo”, non si è ancora reso conto che molte persone hanno capito il suo modo di agire e gli raccontano episodi o aneddoti (spesso falsi) per influenzare il suo giudizio verso determinate persone. Sono proprio quelli che gli stanno attorno e lo incensano notte e giorno che fomentano questo gioco malato. È strano che lui non se ne renda conto visto e considerato che ne è stato vittima per anni, anche quando fu esiliato (termine usato dal Papa stesso a pag.151) in Germania e a Cordoba. Per quanto riguarda il suo esilio in Germania, a pagina 153, il Papa nega che sia avvenuto per allontanarlo. Eppure, andò proprio così e ciò è sì tanto vero che lui in Germania non concluse i suoi studi e in altre occasioni riferì che stava tutto il giorno a guardare gli aerei che decollavano. Brocal, da buon servo del padrone, racconta l’esilio di Bergoglio in Germania in modo del tutto distorto (pag. 104). Il provinciale dei Gesuiti venne allontanato e spedito in Germania perché aveva diviso la provincia e creato non pochi problemi all’ordine.

Un ulteriore attacco a Gänswein, il Papa lo fa (pag. 44) quando fa leva su una cosa nota qui in Vaticano: il rapporto fra Mons. Josef Clemens e Mons. Georg Gänswein non era dei migliori. Del resto, uno fu il segretario di Ratzinger durante gli anni in cui ha servito la Curia Romana; l’altro lo ha succeduto fino alla sua morte. Francesco racconta un episodio che riguarda il rapporto fra Benedetto XVI e Clemens come se lui ne fosse stato testimone. In realtà, si tratta ancora una volta di chiacchiere che ha sentito dai suoi collaboratori.

La pubblicazione del libro di Georg Gänswein a ridosso del funerale non è stata una scelta delicata da parte della casa editrice, certo, ma è anche bene dire che non fu una specifica volontà di Gänswein. La pubblicazione di questo libro con tutti questi attacchi al segretario del predecessore, invece, è stata decisa a tavolino.L’attacco da parte del Pontefice regnante ha una portata ben diversa e questo modus agendi è scandaloso per “il Santo Popolo di Dio”, come lo chiamerebbe Francesco.

Summorum Pontificum

In merito ad uno dei provvedimenti più controversi del pontificato e che più di tutti lo hanno messo in contrapposizione con Benedetto XVI, Papa Francesco non risponde alla domanda che gli viene posta. Questa strategia, tipicamente gesuitica, Francesco la mette in atto ogni volta che non vuole rispondere. Lo ha fatto anche con i preti di Roma e con i vescovi italiani. Il giornalista gli chiede se avesse parlato a Benedetto XVI del Motu Proprio Traditionis Custodes. Lui afferma: “No, non ne parlammo” e poi cambia discorso: “Però ebbi un colloquio molto bello con lui dopo che alcuni cardinali, turbati dalle mie parole sul matrimonio, andarono a trovarlo”. Cosa c’entra? Nulla. Eppure, è emblematico che colui che si definisce amico e parla di Benedetto XVI come “un nonno” che non lo ha mai contraddetto, mentre decide di abrogare un documento che era stato identificativo del pontificato del predecessore, non gliene parla pur avendo la fortuna di averlo ancora in vita e potersi confrontare con lui. Curioso.

Il funerale di Benedetto XVI

Nel suo racconto il Papa racconta di essersi affidato alle decisioni del segretario di Benedetto XVI per il funerale e quando le domande sono state più specifiche ha risposto con un “non ricordo”. Queste affermazioni sono palesemente false e il Papa può solo pensare che dei giornalisti come Brocal, che si entusiasmano per aver messo una o due volte piede qui dentro, gli credano. Chi questo Stato lo vive e ha ascoltato le sue sfuriate in quei giorni, è ben consapevole che venne fuori tutta la sua paura nei confronti del predecessore. È un dato di fatto che Bergoglio non ha mai saputo reggere il confronto con Benedetto XVI. Lui è sempre stato visto come “quello che non ha studiato e fa gaffe” e Ratzinger come il teologo colto e ieratico. Quei giorni furono emblematici e rivelatori per molti.

A Francesco diede molto fastidio il clamore che si ebbe per la morte di Benedetto XVI tanto è vero che non volle il lutto neppure in Vaticano. La motivazione che ha fatto riferire è che Benedetto XVI non era regnante ma in uno Stato non si fa lutto solo per la morte del Sovrano. Forse in Corea del Nord, ma in altri Paesi non è così. Al Papa diede fastidio anche la lunga fila di fedeli che si recava in preghiera sulle spoglie di Ratzinger. Nel libro, infatti, ha riferito che per il suo funerale tutto questo non ci sarà (pag. 83). Il motivo è presto detto: chi si recherebbe a pregare sulle spoglie mortali di un uomo che ha diviso la Chiesa in questo modo e ha trattato come schiavi tutti i suoi collaboratori? Nessuno.

Proprio mentre parlava dei funerali di Benedetto XVI ha affermato che non darà disposizione di bruciare i suoi appunti ma “se ne occuperà lui personalmente”. Questa affermazione fa pensare a come Francesco si approccia al grande mistero della morte. Proprio come per la sua malattia, il Papa pensa di poter prevedere tutto, addirittura la sua morte.

Due episodi, in riferimento alle esequie, sottolinea Brocal nel libro: l’omelia e la preghiera sulla bara prima che venisse sepolto. Per l’omelia, il Papa gioca a fare il grande omileta e dice che nell’omelia non bisogna fare elogi delle persone, per questo non disse nulla. Sinceramente non crediamo che Francesco abbia più grandi capacità omiletiche o teologiche dei suoi predecessori, eppure hanno sempre tratteggiato, almeno i punti salienti, della vita delle persone di cui celebravano le esequie.

Per quanto riguarda il gesto della mano sulla bara, invece, fu il risultato di una lotta con il cerimoniere. Lo raccontammo negli articoli di quei giorni [Qui e Qui]. Francesco non voleva restare sul sagrato mentre portavano via la bara di Benedetto XVI, voleva andarsene appena impartita la benedizione. Furono i collaboratori a fargli capire che quel gesto sarebbe stato letto malissimo. Chi era in sagrestia, prima e dopo la Messa, può testimoniare quanto Francesco fosse infastidito quel giorno.

Il Sinodo: un grande fallimento

Nel libro il Pontefice definisce il Sinodo come “la più grande priorità al momento”. Riferisce, inoltre, che questo cammino fu avviato da San Paolo VI. Queste affermazioni dicono molto. In primis, quello che il Papa definisce “la priorità” si sta concretizzando in un enorme fallimento. Nelle diocesi di tutto il mondo questo evento è ignorato da tutti, soprattutto i laici che il Papa vorrebbe tanto coinvolgere. In secondo luogo, il sinodo che Paolo VI ideò non aveva nulla a che vedere con questo. Non ultimo, il coinvolgimento dei laici o dei presbiteri. Il sinodo, per Paolo VI, era dei Vescovi.

Il Conclave del 2005

Papa Francesco offre, ancora una volta, l’immagine di un Conclave pieno di personaggi calcolatori. Riferisce di essere stato usato per contrastare l’elezione di Ratzinger perché, a suo dire, i porporati avrebbero proposto un terzo candidato. Subito dopo, però, Francesco si contraddice e dice di aver permesso, lui stesso, l’elezione di Ratzinger perché ne parlò al cardinale Darío Castrillón Hoyos e gli disse che non avrebbe mai accettato l’elezione. Ma come, se la volontà del Collegio era quella di offrire un terzo candidato, facendo così Bergoglio avrebbe assecondato il loro progetto. Se lui avesse rifiutato e Ratzinger non avesse avuto sufficienti voti, sarebbe stato offerto il terzo uomo. Come è noto, però, le cose non andarono così ma vi fu un emblematico intervento del cardinale Carlo Maria Martini, gesuita. L’uomo, pur essendo distante dalle posizioni di Ratzinger, disse chiaramente: “Votate Ratzinger, non Bergoglio!” Martini sapeva bene chi fosse il gesuita Jorge Mario e voleva scongiurare la sua elezione.

La volontà di demonizzare la Chiesa

Nel racconto di Papa Francesco degli anni di pontificato di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II c’è la volontà di descrivere la Curia Romana come un ambiente pieno di intrighi volti a tenere il Papa lontano dalla realtà. Anche in merito alla Congregazione per i Vescovi, Francesco si lascia andare a commenti ben poco eleganti. Il tutto perché quell’ambiente è quello che lo ha tenuto arginato in Argentina finché ha potuto, perché erano tutti ben consapevoli di cosa Bergoglio pensasse e di cosa avesse combinato negli anni.

Gli errori di Martinez Brocal

Brocal rivela di aver dedicato tanto spazio a Ganswein quando ha raccontato la morte di Benedetto XVI. Spazio che gli dedica anche in questo libro (pag 125), proprio perché il fine del testo è proprio quello di attaccarlo, descriverlo come inaffidabile, stratega, calcolatore. Da un lato si offre l’immagine di Benedetto XVI come una persona vittima di una macchinazione, dall’altra si offre l’immagine di un uomo senza scrupoli che lo ha tenuto sotto scacco.

Sono numerosi gli errori dell’autore in questo libro.

L’autore parla di “pastorale” che non è stato messo nella bara di Benedetto XVI. Il Papa, però, non porta il pastorale ma la ferula. Brocal si vanta spesso in questo testo di essere al servizio dei papi da anni ma non conosce neppure le nozioni elementari.

L’autore riferisce che Papa Benedetto XVI fu trasportato, “sopra un carro funebre”, dal Monastero alla Basilica Vaticana (pag. 130). L’affermazione è falsa, il Pontefice fu caricato su un pulmino di quelli che vengono utilizzati per trasportare i vescovi anche durante le visite ad limina. La scelta fu temeraria e fortemente irrispettosa del defunto, in quanto dovettero salire a bordo due persone per tenere la salma perché altrimenti nel tragitto il corpo di Benedetto avrebbe rischiato di andare di qua e di là. Anche i numeri di cui parla Brocal sono palesemente falsi. Basti pensare che i soli presbiteri concelebranti erano circa 5000. In una celebrazione di Papa Francesco non si erano mai visti così tanti preti concelebrare, neppure alla Messa Crismale.

Papa Francesco non ha mai voluto che venissero ordinati gli uomini sposati. A differenza di quanto afferma Martinez (pag 71), il Papa non stava progettando una risposta che consentisse l’ordinazione di uomini sposati ma scrisse: «Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale. I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro. Ma hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia, perché essa «fa la Chiesa», e arriviamo a dire che «non è possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia». Se crediamo veramente che è così, è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono.

Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia. Nello stesso tempo, è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche. Questa formazione dev’essere eminentemente pastorale e favorire la crescita della misericordia sacerdotale» Esortazione Querida Amazonia 89-90

In conclusione, non ci resta che sottolineare come Brocal non sia riuscito a cogliere l’invito che gli rivolse Benedetto XVI, ovvero quello di essere autentico nel suo lavoro. Anzi, in questo caso si è prestato ad una operazione, ben poco degna di un Pontefice, volta a colpire il predecessore e in particolare chi “ha osato parlare”.

d.S.A. e F.P

Silere non possum