Diocesi di Brescia

Nella solennità dell’Immacolata Concezione, nella Chiesa di San Francesco d’Assisi in Brescia, S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica con il tradizionale rito dei ceri e delle rose. «La solennità dell’Immacolata Concezione ci consente di accogliere il messaggio di speranza che la figura della Beata Vergine Maria ci offre, presentandosi a noi come la piena di grazia, come colei che non ha conosciuto la corruzione e non ha subito la triste ferita del peccato», ha esordito il vescovo nell’omelia.

Poi il pensiero alle «ferite del mondo». «Di questa grazia il nostro mondo, oggi, ha particolarmente bisogno. Le sue ferite ci appaiono evidenti e si impongono in tutta la loro serietà. Tra queste ferite, la più sconcertante e la più dolorosa è senza dubbio quella della guerra, recentemente scoppiata anche nel continente europeo, in terra Ucraina, e divampata con spaventosa intensità nel Medio Oriente. Quanto avvenuto in questi due regioni ci ha reso maggiormente consapevoli di una drammatica verità: la guerra è assolutamente inaccettabile, è accecamento e follia, devastazione e morte, dolore e disperazione; è una vergognosa offesa alla dignità dell’uomo» ha detto.

Il rito e la tradizione

Il sindaco Laura Castelletti ha offerto alla Vergine due ceri a nome della città di Brescia. Questo gesto ha origini antiche. Il 28 marzo 1522, infatti, il Comune di Brescia deliberò di festeggiare solennemente il giorno 8 dicembre e di recarsi processionalmente all’altare dell’Immacolata in san Francesco con tutti i Paratici (le società operaie e artigiane cittadine) e offrire dei ceri alla Vergine Maria in segno di devozione e richiesta di intercessione per la città. Un gesto che ogni anno il sindaco in carica rinnova.
Allo stesso tempo il vescovo diocesano offre alle autorità delle rose bianche. Questo gesto risale al 1858 ad imitazione di ciò che fece l'allora ministro generale dell’Ordine di San Francesco, Fr. Salvatore Calì, il quale inviò al beato Papa Pio IX una rosa d’oro come segno di gratitudine per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione. Il rito, celebrato ininterrottamente nei secoli, ma sospeso dopo le violente soppressioni napoleoniche, venne ripristinato nel 1928 al rientro dei francescani nel loro antico convento e riconfermato ufficialmente con delibera comunale il 18 giugno 1980.

La Chiesa segno di pace

Il vescovo Pierantonio ha concluso la sua omelia chiedendo il dono della Pace: «Di questa pace la Chiesa è chiamata a offrire un esempio visibile e credibile. Chiunque fa parte della Chiesa deve sentire insieme la gioia e la responsabilità di appartenervi. La pace del cuore e la pace tra credenti caratterizzano la Chiesa. Ma non ci si potrà fermare qui. La Chiesa è anche chiamata a riconoscere come suo obiettivo la pace universale. Laddove si ricercano vie di riconciliazione tra i popoli, laddove si progettano iniziative di mutuo soccorso e ci si impegna a promuovere la giustizia, la Chiesa non potrà essere assente. Il comando ricevuto dal suo Signore esige che si presenti sempre come colei che persegue la pace per tutti».

S.I.

Silere non possum

OMELIA DI S.E.R. MONS. PIERANTONIO TREMOLADA

Vescovo di Brescia

La solennità dell’Immacolata Concezione ritorna anche quest’anno come un felice appuntamento. Ci consente di accogliere il messaggio di speranza che la figura della Beata Vergine Maria ci offre, presentandosi a noi come la piena di grazia, come colei che non ha conosciuto la corruzione e non ha subito la triste ferita del peccato. L’Immacolata Concezione è la donna splendente di luce, mirabile nella sua bellezza, maestosa nella sua grandezza, amabile nella sua tenerezza. In lei tutto è limpidamente vero, giusto, santo, pienamente in sintonia con l’amore che viene da Dio. Destinata a diventare la Madre di Dio, è la primizia dell’umanità rigenerata dal sangue di Cristo. Dalle altezze dei cieli, ma non lontana da noi, compie ora a nostro favore la sua opera di intercessione. Il desiderio più vivo del suo cuore è quello di condividere con l’umanità la grazia che ha fatto di lei la “benedetta fra tutte le donne”.

Di questa grazia il nostro mondo, oggi, ha particolarmente bisogno. Le sue ferite ci appaiono evidenti e si impongono in tutta la loro serietà. Tra queste ferite, la più sconcertante e la più dolorosa è senza dubbio quella della guerra, recentemente scoppiata anche nel continente europeo, in terra Ucraina, e divampata con spaventosa intensità nel Medio Oriente. Quanto avvenuto in questi due regioni ci ha reso maggiormente consapevoli di una drammatica verità: la guerra è assolutamente inaccettabile, è accecamento e follia, devastazione e morte, dolore e disperazione; è una vergognosa offesa alla dignità dell’uomo. Le immagini che giungono dai territori degli scontri armati suscitano nelle coscienze un immenso sconforto, una pena infinita e insieme un rifiuto istintivo, che porta a dire: “Tutto questo non deve accadere”. Eppure tutto questo accade. È sempre accaduto e accade tuttora. La memoria storica, che ci consegna il racconto delle enormi sofferenze causate dalla guerra, non ha cambiato il cuore dell’uomo. E così anche oggi ci troviamo a contare le vittime di una violenza insensata, che, su vari fronti e sempre con le armi, provoca i suoi effetti devastanti. Le prime vittime sono gli innocenti, in particolare i bambini, quanti non si possono difendere e perciò sono destinati a soccombere.

La guerra non è nei disegni di Dio. Quando egli diede origine al mondo, ebbe la gioia di constatare che tutto era buono. Il colpevole sospetto dei nostri progenitori nei suoi confronti e la mancanza di fiducia in lui hanno sconvolto gli equilibri della creazione, ma soprattutto hanno corrotto il cuore dell’uomo. Una orgogliosa volontà di potenza e la seduzione della violenza hanno preso casa là dove la persona umana decide di se stessa. Convinto di aver conquistato senza Dio la vera libertà, l’uomo si è ritrovato solo e ha scoperto il lato oscuro di se stesso, cioè la potenza del male capace di soggiogarlo. Così la mano di Caino si è alzata sul fratello Abele e la morte violenta ha preso piede nella storia dell’umanità. Di questa furia omicida la guerra è l’espressione più tragica. Essa infatti coinvolge nazioni intere e provoca perdite enormi in termini di vite umane e di rovine ambientali.

Le ragioni della guerra sono note. Ne danno testimonianza la storia stessa e la nostra attuale esperienza. La guerra esplode laddove la sete di potere genera un desiderio sfrenato di conquista, che poi si giustifica con una visione ideologica della realtà. La guerra si accende quando prende piede l’illusione di poter risolvere i contrasti attraverso l’uso della forza, vedendo nell’altro non un interlocutore ma un nemico. La guerra, infine, si innesca quando la rabbia e un rancore antico prendono la forma estrema dell’odio, accecando la mente e scatenando la sete di vendetta.

Il desiderio di Dio per l’umanità è esattamente opposto a quello della guerra. Il suo disegno da sempre tende all’edificazione della pace. Lo conferma il canto degli angeli nella notte del Natale di Cristo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Qui la pace tra gli uomini è presentata in modo suggestivo come il riflesso della gloria dei cieli, come armonia perfetta, come la piena comunione in Dio propria degli angeli. Gli antichi profeti già avevano identificato nella pace l’esito ultimo dell’opera di Dio a favore dei popoli della terra. Lo hanno fatto con espressioni toccanti: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra”. Se si è potuto guardare alla guerra addirittura come un’arte, un giorno questo non accadrà più. Tutte le nazioni – dicono sempre i profeti – si riuniranno insieme e siederanno all’unica mensa, nella gioia del Regno di Dio. Il Cristo riprenderà queste parole e le confermerà.

Quanto sperato per i tempi ultimi, cioè questa meravigliosa armonia tra le nazioni, deve misurarsi nella storia umana con una libertà che spesso si orienta in modo contrario. La ricerca esasperata di sé, la cieca esaltazione della propria identità personale o sociale mettono continuamente a rischio quella comunione universale cui diamo il nobile nome di pace. La storia ce lo dimostra: la pace non va da sé. Deve essere voluta, desiderata, attuata con impegno e determinazione. La pace va considerata l’obiettivo costante del vivere sociale in ogni epoca, il primo compito che ogni generazione deve assumere.

Essa è frutto delle decisioni sagge e coraggiose degli uomini e delle donne che sono chiamati a governare gli stati. È frutto anche degli slanci sinceri delle grandi anime, dei veri maestri, degli uomini e delle donne che coltivano il pensiero, la scienza e l’arte, che diffondono il buon profumo della vera cultura.

Ma la pace è anche frutto delle piccole azioni di ogni giorno, delle scelte di tanti che conducono una vita a torto qualificata come semplicemente ordinaria. La pace ama ricevere il suo sostegno da quanti la cercano e la amano con semplicità. Questi sanno che alla comunione e alla concordia ci si educa giorno dopo giorno, ponendo gesti sinceri di accoglienza, coltivando il rispetto per tutti, facendo dell’ascolto e del dialogo la regola del proprio agire, non accettando mai l’ingiustizia e il sopruso, offrendo il proprio aiuto a chi è più debole.

Se infatti la guerra è la forma estrema dell’aggressività umana, è pur vero di questa aggressività esistono altre forme. Esiste un’aggressività delle parole, che lascia sempre un segno doloroso in chi ascolta. È l’aggressività che si manifesta nel parlare arrogante, negli scatti di collera, nell’ironia velenosa, nello scherno, nell’insulto, nella calunnia. Anche i sentimenti possono caricarsi di aggressività. Vengono coltivati nel segreto ma non rimangono nascosti. Sono i sentimenti dell’antipatia, della gelosia, dell’invidia, dell’intolleranza, della sopportazione, del disprezzo. Sappiamo bene che le parole e i sentimenti danno forma alla nostra vita di ogni giorno. La testimonianza a favore della pace passa necessariamente attraverso di loro.

Alla pace dunque ci si educa. È infatti necessario coltivare un’attenta vigilanza per consentire al cuore di mantenersi libero dalle passioni distruttive e così offrire al mondo la preziosa testimonianza del bene. La vera pace ha radici profonde, che raggiungono la coscienza. Ha inoltre una forma sinfonica, poiché deriva dall’armonica fusione di diverse virtù. Quanto alla sua origine, per chi crede, essa va ricercata nell’amore stesso di Dio.

Di questa pace la Chiesa è chiamata a offrire un esempio visibile e credibile. Chiunque fa parte della Chiesa deve sentire insieme la gioia e la responsabilità di appartenervi. Così scrive san Paolo ai suoi fratelli cristiani: “La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo”. La pace del cuore e la pace tra credenti caratterizzano la Chiesa. Ma non ci si potrà fermare qui. La Chiesa è anche chiamata a riconoscere come suo obiettivo la pace universale. Laddove si ricercano vie di riconciliazione tra i popoli, laddove si progettano iniziative di mutuo soccorso e ci si impegna a promuovere la giustizia, la Chiesa non potrà essere assente. Il comando ricevuto dal suo Signore esige che si presenti sempre come colei che persegue la pace per tutti.

La costruirà giorno per giorno a fianco degli uomini e delle donne di buona volontà, che nel mondo operano per la concordia. È quanto avremmo piacere che avvenisse sempre più anche in questa nostra città, su questo nostro territorio: siano luoghi di pace, di civile convivenza, di reciproca accoglienza, di amorevole comunione. Abbiano tutti bisogno di persone oneste e coraggiose, di quelle persone che il Signore Gesù nel suo Vangelo definisce “operatori di pace” e riconosce come veri figli di Dio. A loro, alla loro passione, alla loro perseveranza, alla loro saggezza, al loro grande cuore sono affidati i destini del mondo.

+ Pierantonio, vescovo