The text of the questions posed by Jesuits during the meeting with Pope Francis in the Democratic Republic of Congo
Il Santo Padre Francesco ha compiuto il suo 40° Viaggio Apostolico Internazionale raggiungendo la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Durante i suoi viaggi apostolici, Bergoglio ha dato vita ad una tradizione che è quella di incontrare le comunità della Compagnia di Gesù presenti sul territorio.
Silere non possum ha seguito il Viaggio del Papa e lo ha raccontato, giorno per giorno, in questi articoli.
Il 2 febbraio 2023 Francesco ha incontrato 82 gesuiti presenti nella Repubblica Democratica del Congo. L'incontro è avvenuto a Kinshasa nel palazzo della Nunziatura Apostolica. Dopo una presentazione della Provincia fatta dal Reverendo Padre Rigobert Kyungu, i membri della Compagnia hanno rivolto delle domande al Pontefice.
Bergoglio, all'ennesima domanda sulle sue possibili dimissioni, ha chiarito: "Io credo che il ministero del Papa sia ad vitam.
Non vedo la ragione per cui non debba essere così. Pensate che il ministero dei grandi patriarchi è sempre a vita. E la tradizione storica è importante. Se invece stiamo a sentire il «chiacchiericcio», beh, allora bisognerebbe cambiare Papa ogni sei mesi".
Santo Padre, la Compagnia di Gesù riceve la sua missione dal Papa. Qual è la missione che lei dà alla Compagnia oggi?
Sono
d'accordo con le preferenze apostoliche universali che la Compagnia ha
elaborato. Esse consistono innanzitutto nell'indicare il cammino verso
Dio mediante gli Esercizi spirituali e il discernimento.
La
seconda è quella della missione di riconciliazione e di giustizia, che
va fatta camminando insieme ai poveri, agli esclusi, a coloro che sono
feriti nella propria dignità. E poi i giovani: bisogna accompagnarli a
creare il futuro. Quindi la collaborazione nella cura della casa comune
nello spirito della
Laudato si'.
Io le ho approvate, e
adesso i gesuiti devono incarnarle in ogni specifica realtà locale nelle
modalità più adatte e adeguate, non in modo teorico e astratto. Ecco,
voi dovete applicarle qui in Congo.
Certo, è chiaro che qui è
forte il tema del conflitto, delle lotte tra fazioni. Ma apriamo gli
occhi sul mondo: tutto il mondo è in guerra! La Siria vive una guerra da
12 anni, e poi lo Yemen, il Myanmar con il dramma dei rohingya. Anche
in America Latina ci sono tensioni e conflitti. E poi questa guerra in
Ucraina. Tutto il mondo è in guerra, ricordiamocelo bene. Ma io mi
domando: l'umanità avrà il coraggio, la forza o persino l'opportunità di
tornare indietro? Si va avanti, avanti, avanti verso il baratro. Non
so: è una domanda che io mi faccio. Mi dispiace dirlo, ma sono un po'
pessimista.
Oggi davvero sembra che il problema principale sia la
produzione di armi. C'è ancora tanta fame nel mondo e noi continuiamo a
fabbricare le armi. È difficile tornare indietro da questa catastrofe. E
non parliamo delle armi atomiche! Credo ancora in un lavoro di
persuasione. Noi cristiani dobbiamo pregare tanto: «Signore, abbi pietà
di noi!».
In questi giorni mi colpiscono i racconti delle
violenze. Mi colpisce soprattutto la crudeltà. Le notizie che vengono
dalle guerre che ci sono nel mondo ci parlano di una crudeltà persino
difficile da pensare. Non solo si uccide, ma lo si fa crudelmente. Per
me questa è una cosa nuova. Mi dà da pensare. Anche le notizie che
arrivano dall'Ucraina ci parlano di crudeltà. E qui in Congo lo abbiamo
ascoltato dalle testimonianze dirette delle vittime.
Lei
ha un bel rapporto con il patriarca Bartolomeo. Come la Chiesa si sta
preparando al 2025, quando ricorrerà il 1.700o anniversario del primo
Concilio di Nicea?
Prendo spunto dalla tua domanda
per ricordare un grande teologo ortodosso morto oggi, Ioannis Zizioulas,
che è stato metropolita di Pergamo. È venuto in Vaticano a presentare
la mia enciclica
Laudato si'. Era un esperto di escatologia.
Una volta gli chiesero quando ci sarebbe stata l'unità dei cristiani.
Lui rispose, con sano realismo e forse pure con una sottile ironia:
«Alla fine dei tempi!». Ricordiamolo nelle nostre preghiere.
Sì,
stiamo preparando un incontro per il 2025. Con il patriarca Bartolomeo
vogliamo arrivare a un accordo per la data della Pasqua, che proprio in
quell'anno coincide. Vediamo se così possiamo accordarci per il futuro. E
vogliamo celebrare questo Concilio come fratelli. Ci stiamo preparando.
Pensate che Bartolomeo è stato il primo Patriarca che dopo tanti secoli
è venuto all'inaugurazione del ministero di un Papa!
Come
gesuita professo lei ha fatto voto di non cercare ruoli di autorità
nella Chiesa. Che cosa l'ha spinta ad accettare l'episcopato e poi il
cardinalato e poi il papato?
Quando ho fatto quel
voto l'ho fatto sul serio. Quando mi hanno proposto di essere vescovo
ausiliare di San Miguel, io non ho accettato. Poi mi è stato chiesto di
essere vescovo di una zona al Nord dell'Argentina, nella provincia di
Corrientes. Il Nunzio, per incoraggiarmi ad accettare, mi disse che lì
c'erano le rovine del passato dei gesuiti. Io ho risposto che non volevo
essere guardiano delle rovine, e ho rifiutato. Ho rifiutato queste due
richieste per il voto fatto. La terza volta è venuto il Nunzio, ma già
con l'autorizzazione firmata dal Preposito generale, il p. Kolvenbach,
che aveva acconsentito al fatto che io accettassi. Era come ausiliare di
Buenos Aires. Per questo ho accettato in spirito di obbedienza. Poi
sono stato nominato arcivescovo coadiutore della mia città, e nel 2001
cardinale. Nell'ultimo conclave sono venuto con una valigetta piccola
per tornare subito in diocesi, ma sono dovuto rimanere. Io credo nella
singolarità gesuita circa questo voto, e ho fatto il possibile per non
accettare l'episcopato.
Santo Padre, il bacino del
fiume Congo, il secondo polmone verde del Pianeta dopo l'Amazzonia, è
minacciato da deforestazione, inquinamento e sfruttamento intensivo e
illegale delle risorse naturali. Lei pensa che si potrà fare un Sinodo
su questa regione come quello realizzato per l'Amazzonia?
Il
Sinodo sull'Amazzonia è stato esemplare. Lì si è parlato di quattro
«sogni»: sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale. Si applicano anche
al bacino del Congo: c'è una somiglianza. L'equilibrio planetario
dipende anche dalla salute dell'Amazzonia e del bioma del Congo. Non ci
sarà un Sinodo sul Congo, ma certo sarebbe bene che la Conferenza
episcopale si impegnasse sinodalmente a livello locale. Con gli stessi
criteri, ma per portare avanti un discorso più legato alla realtà del
Paese.
Si è parlato di
sue possibili dimissioni. Davvero lei è intenzionato a lasciare il
ministero petrino? E il Generale della Compagnia? Secondo lei, il suo
incarico deve restare a vita?
Guarda, è vero che io
ho scritto le mie dimissioni due mesi dopo l'elezione e ho consegnato
questa lettera al cardinale Bertone. Non so dove si trovi questa
lettera. L'ho fatto nel caso che io abbia qualche problema di salute che
mi impedisca di esercitare il mio ministero e di non essere pienamente
cosciente per poter rinunciare. Questo però non vuol affatto dire che i
Papi dimissionari debbano diventare, diciamo così, una «moda», una cosa
normale. Benedetto ha avuto il coraggio di farlo perché non se la
sentiva di andare avanti a causa della sua salute. Io per il momento non
ho in agenda questo. Io credo che il ministero del Papa sia
ad vitam.
Non vedo la ragione per cui non debba essere così. Pensate che il
ministero dei grandi patriarchi è sempre a vita. E la tradizione storica
è importante. Se invece stiamo a sentire il «chiacchiericcio», beh,
allora bisognerebbe cambiare Papa ogni sei mesi!
Circa la
Compagnia di Gesù: sì, su questo io sono «conservatore». Deve essere a
vita. Ma, ovviamente, si pone la stessa questione che riguarda il Papa.
Padre Kolvenbach e padre Nicolás, gli ultimi due precedenti Generali,
hanno lasciato per motivi di salute. Mi sembra importante ricordare pure
che un motivo del generalato a vita nella Compagnia nasce anche per
evitare i calcoli elettorali, le fazioni, il chiacchiericcio…
Che
cosa le dà gioia dell'inculturazione congolese e specialmente del rito
congolese? Lei ha celebrato due volte in Vaticano in questo rito. E la
terza volta è stato qui. Sembra che le piaccia molto. Poi vorrei farle
una domanda sull'immagine della Chiesa come ospedale. Come può
spiegarcela?
Il rito congolese mi piace, perché è
un'opera d'arte, un capolavoro liturgico e poetico. È stato fatto con
senso ecclesiale e con senso estetico. Non è un adattamento, ma una
realtà poetica, creativa, per essere significativo e adeguato alla
realtà congolese. Per questo sì, mi piace e mi dà gioia.
La Chiesa
come ospedale da campo. Per me la Chiesa ha la vocazione dell'ospedale,
del servizio per la cura, la guarigione e la vita. Una delle cose più
brutte della Chiesa è l'autoritarismo, che poi è uno specchio della
società ferita dalla mondanità e dalla corruzione. E la vocazione della
Chiesa è alla gente ferita. Oggi questa immagine è ancora più valida,
considerando lo scenario di guerra che stiamo vivendo. La Chiesa deve
essere un ospedale che va dove c'è gente ferita. La Chiesa non è una
multinazionale della spiritualità. Guardate i santi! Curare, prendersi
cura delle ferite che il mondo vive! Servite la gente! La parola
«servire» è molto ignaziana. «In tutto amare e servire» è il motto
ignaziano. Voglio una Chiesa del servizio.
Lei ha voluto vescovi gesuiti. Tra noi c'è un gesuita chiamato all'episcopato. Che cosa si aspetta da loro?
La
scelta di un gesuita come vescovo dipende esclusivamente dal bisogno
della Chiesa. Io credo al nostro voto che tende a evitare che i gesuiti
siano vescovi, ma, se serve per il bene della Chiesa, allora
quest'ultimo bene prevale. Ti dico la verità: quando il Generale o i
provinciali sanno che si sta pensando di fare vescovo un gesuita
intervengono e sanno ben «difendere» la Compagnia. Se, però, poi si
decide che è necessario, si fa. Altre volte – e sto pensando a un caso
specifico –, se il primo della terna è un gesuita, ma poi c'è un secondo
che può andare comunque bene, allora si sceglie il secondo della terna.
Io credo al voto, ma prevalgono i bisogni della Chiesa.
Quali sono le sue più grandi consolazioni e le sue più grandi desolazioni?
La
più grande consolazione è quando vedo gente semplice che crede. Mi fa
bene. La mia consolazione è il santo popolo fedele di Dio, peccatore ma
credente. Mi fanno invece provare desolazione le
élites, peccatori e non credenti. Che i preti siano pastori di popolo e non monsieur l'Abbé, né tantomeno «chierici di Stato».
In alcuni Paesi ci sono accordi tra Stato e Chiesa. Ho il timore che questo dia un grande potere ai vescovi. Lei cosa ne pensa?
Questo
spesso riguarda i rapporti tra lo Stato della Città del Vaticano e i
vari Paesi. Il senso di questi accordi è di aiutare la Chiesa ad andare
avanti, e non certo quello di coprire una mondanità ecclesiastica. Serve
sicurezza per l'insegnamento, i ministeri, la predicazione libera del
Vangelo. L'obiettivo, quindi, non è quello di tutelare interessi di
altro genere. L'accordo deve riguardare il servizio, non la mondanità.
Il testo dell'incontro è stato pubblicato da
La Civiltà Cattolica