Diocesi di Brescia

Il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, ha pubblicato oggi un’intervista al vescovo di Brescia, Mons. Pierantonio Tremolada, in cui il presule ha condiviso la sua esperienza di malattia, la lotta contro la fragilità e la forza della fede in un periodo di grande sofferenza.

Mons. Tremolada ha raccontato il difficile percorso affrontato a causa della fibrosi midollare, una patologia che lo ha portato a sottoporsi a un trapianto di midollo osseo il 20 luglio 2022 presso l’ospedale San Gerardo di Monza. Un cammino segnato da momenti di smarrimento, ma anche da una crescita interiore, in cui la fiducia in Dio ha avuto un ruolo centrale: «Nella malattia capisci ancora meglio e davvero che non siamo i padroni di noi stessi. Nell’esperienza della fragilità e della debolezza estrema, sei chiamato a crescere nella pazienza, nell’umiltà, nella fiducia in Colui che guida le nostre esistenze». Un momento particolarmente significativo del suo percorso è stata la telefonata ricevuta proprio da Papa Francesco il 16 ottobre 2022, quasi tre mesi dopo il trapianto. Il Santo Padre gli ha rivolto parole di incoraggiamento, invitandolo a vivere la prova con fiducia e speranza: «Fu una telefonata inattesa: mi fece molto piacere, la ricordo con profonda riconoscenza».

Nell’intervista, Mons. Tremolada ha riflettuto sul significato della malattia per un vescovo, sottolineando come questa esperienza lo abbia portato a comprendere che il ministero episcopale, così come ogni altro servizio nella Chiesa, ha un limite temporale: «Come pastori siamo chiamati a mettere a disposizione la nostra vita per il tempo che il Signore vorrà. Questo ti dà pace e ti ricorda che non siamo indispensabili, ma solo servitori inutili». Parlando delle difficoltà affrontate, ha descritto il trauma della diagnosi e la sfida di affrontare le cure, tra cui la chemioterapia, il dolore fisico e la crescente debolezza: «La malattia ti mette di fronte a due momenti distinti. Il primo è quando ne ricevi notizia, il secondo è quando inizi a viverla. Qui entra in gioco il dolore fisico, la percezione del corpo sempre più debilitato. Devi imparare a vivere il limite, a crescere nella pazienza e nella fiducia».

Fondamentale
, nel suo cammino di sofferenza e guarigione, è stata la vicinanza delle persone: «Nella fragilità e nella debolezza comprendi ancora meglio il valore di chi ti è accanto: i medici, gli infermieri, e tutte quelle persone che pregano per te, anche se non le conosci. Queste attenzioni fanno bene al malato». Un segno di riconoscenza particolare Mons. Tremolada lo ha rivolto al donatore anonimo che gli ha permesso di sopravvivere grazie alla donazione del midollo osseo: «Non potrò mai conoscerlo, ma gli sarò infinitamente grato».
Dopo un lungo periodo di cure e convalescenza, nel gennaio 2023 il vescovo è finalmente potuto rientrare in diocesi. Un ritorno segnato dall’affetto della comunità: «Ho avuto la percezione che tutti fossero contenti della mia presenza. E mi dicevano: “siamo felici non per quello che fai, ma perché ci sei”».

Oggi Mons. Tremolada sta bene ed ha ripreso pienamente il suo ministero pastorale. In questo periodo sta vivendo l'impegnativa e ambiziosa esperienza della "Visita Giubilare" nella Diocesi di Brescia in preparazione al Convegno Ecclesiale 2026. Diverse sono le realtà già visitate, nei giorni scorsi, Mons. Vescovo ha visitato le zone 28 e 31 della diocesi, incontrando sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Mercoledì 19 marzo ha guidato una celebrazione giubilare con un breve pellegrinaggio dall’Istituto Maria Ausiliatrice alla chiesa di San Giovanni Bosco. Il giorno successivo, ha proseguito gli incontri con i presbiteri della zona e ha presieduto la celebrazione eucaristica nella chiesa delle Sante Capitanio e Gerosa, dedicata in particolare ai consacrati e ai membri dei Consigli di partecipazione.

Dal 14 al 16 marzo, il presule è stato a Roma per compiere il pellegrinaggio giubilare insieme a 2.169 ragazzi ed educatori provenienti da 60 parrocchie e unità pastorali della Diocesi di Brescia. Un’esperienza intensa e significativa per i giovani pellegrini, che hanno vissuto momenti di preghiera, comunione e riflessione nel cuore della cristianità. Attualmente è nuovamente nell'Urbe, dove guida il pellegrinaggio giubilare della Diocesi di Brescia, accompagnando la comunità bresciana in un percorso di fede e preparazione spirituale.

«Nella malattia capisci ancora meglio e davvero che non siamo i padroni di noi stessi. Nell’esperienza della fragilità, della debolezza estrema, della malattia grave che mette a rischio la tua vita, per non cadere nello smarrimento sei chiamato a crescere nella pazienza, nell’umiltà, nella fiducia in Colui che guida le nostre esistenze. Quella fiducia è l’anima della nostra fede. Con quella fiducia, come pastore chiamato a servire la Chiesa, metti a disposizione la tua vita per il tempo che il Signore vorrà. E fu un invito a vivere la prova con fiducia e speranza, quello che mi fece papa Francesco quando, il 16 ottobre 2022, mi chiamò al telefono, a quasi tre mesi dal trapianto del midollo osseo che avevo ricevuto il 20 luglio all’ospedale San Gerardo di Monza, reso necessario per l’aggravarsi di una patologia, la fibrosi del midollo, che mi affliggeva da tempo. Fu una telefonata inattesa: mi fece molto piacere, la ricordo con profonda riconoscenza». Così il vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, rievoca il cammino vissuto in questi ultimi anni, segnati da una malattia, da un trapianto, quindi da un percorso di guarigione che l’ha riportato – nel gennaio del 2023 – al rientro in diocesi, per riprendere a tutti gli effetti il suo ministero. Un cammino che, oggi, può aiutare a leggere ciò che sta affrontando e attende un altro vescovo – il Vescovo di Roma – anch’egli nella prova della malattia.

Che cosa significa vivere l’esperienza di una malattia grave? E cosa significa viverla da vescovo?
«Ho capito una grande verità: come pastori siamo chiamati a mettere a disposizione la nostra vita per il tempo che il Signore vorrà. Il nostro servizio – vale per il Papa come per il vescovo e ogni altra persona che abbia responsabilità nella Chiesa – ha sempre un limite temporale. Questo lo capisci meglio quando hai consapevolezza che quel tempo potrebbe concludersi presto. E questo ti dà pace. Ti ricorda che non siamo indispensabili, ma solo servitori inutili: consapevoli che quello che diamo e offriamo si colloca in una prospettiva di grazia più grande».

Quando seppe della malattia, eccellenza, come reagì? Cosa provò? E come la affronto?
«La malattia ti mette di fronte a due momenti distinti. Il primo, il più scioccante, è quando ne ricevi notizia e prendi coscienza che ti attende una situazione grave, con conseguenze serie, e un cammino dall’esito incerto. Il secondo momento è quando cominci a “vivere” la malattia e il suo aggravarsi – nel mio caso, con il ricovero al San Gerardo, il trapianto preceduto dalla chemioterapia per abbattere il midollo osseo malato… Qui entra in gioco il dolore fisico, la difficoltà a sopportarlo, la percezione del corpo sempre più debilitato, senza energie… E al dolore si affianca l’esperienza della fragilità e della debolezza: non puoi più fare le cose di prima e disporre di te in autonomia. Devi affidarti. Imparare a vivere il limite, che è la regola della nostra esistenza. E sei chiamato a crescere nella pazienza, nell’umiltà, nella fiducia. Contro la malattia si deve lottare: e questo riguarda sia il corpo sia lo spirito». 

Che cosa la ha aiutata, in questa lotta? In chi e in cosa ha trovato sostegno?

«Nell’Angelus preparato per domenica scorsa – quella della sua dimissione dal Gemelli – il Papa ha parlato della “pazienza del Signore”, che nel tempo del ricovero ha sperimentato “nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati”. Ecco: posso dirlo anch’io. Nella fragilità e nella debolezza, comprendi ancora meglio il valore delle persone che hai intorno, a partire da quelle più vicine: come i medici e gli infermieri del San Gerardo, straordinari per professionalità e umanità. Ma hai anche la percezione interiore della presenza e della vicinanza di tutte quelle persone a te ignote, fisicamente lontane, ma che ti pensano, pregano per te… Anche questo fa bene al malato. E che gioia, al rientro in diocesi, incontrare persone sconosciute che mi dicono: “abbiamo pregato per lei!”».

La domenica di papa Francesco ci consegna anche due gesti: il suo grazie alla signora dei fiori gialli e la sosta a Santa Maria Maggiore…
Il Papa ha voluto presentarsi al balcone del Gemelli, nella sua fragilità. E il suo saluto a quella donna, individuata in mezzo alla folla, testimonia quella tenerezza di cui tante volte ci ha parlato. Riguardo a Santa Maria Maggiore: anch’io ho sentito il bisogno di dire “grazie” a Maria, per la sua vicinanza che non è mai mancata. E, quando mi è stato possibile, sono andato in pellegrinaggio a Pompei».

Ha altri “grazie” da condividere?
«Sono infinitamente riconoscente al donatore del midollo osseo, del quale non potrò mai sapere il nome e il volto. Mi resterà per sempre sconosciuto. Nessuno dei miei familiari era compatibile: perciò ci siamo dovuti rivolgere al database mondiale, per trovare un donatore adatto. Nell’attesa di una risposta positiva, vivi come sospeso, nella trepidazione che arrivi un “lieto annuncio”. Lo stesso è avvenuto dopo il trapianto, quando incombeva il rischio del rigetto e si trattava di capire se avrebbe dato l’esito sperato. Lì capisci com’è vero che non siamo padroni di noi stessi. E come è difficile vivere nella prova, nella sofferenza e nell’attesa del “lieto annuncio” senza imparare quell’umile fiducia che è l’anima della nostra fede».

Com’è stato il rientro in diocesi?
«Ho avuto la percezione che tutti fossero contenti della mia presenza: ma nel contempo, all’inizio, mi raccomandavano di non eccedere negli impegni, di custodire le energie, di non preoccuparmi troppo per quello che dovevo o potevo fare davvero. È come se mi avessero detto: “siamo felici non per quello che fai, ma perché ci sei, perché sei nuovamente qui con noi”. E ne sono stato felice anch’io».

E ora come sta, eccellenza?
«Bene, ringraziando il Signore. I controlli vanno bene, le energie ci sono. E posso tornare a Roma, dove in questi giorni si svolge il pellegrinaggio diocesano del Giubileo, a poco più di una settimana dal pellegrinaggio degli adolescenti che abbiamo vissuto con duemila ragazzi».