Città del Vaticano - Nella Solennità di Cristo Re, Papa Leone XIV ha firmato la Lettera Apostolica In unitate fidei, un testo denso, teologicamente robusto, che si presenta di fatto come un chiaro indirizzo per il suo pontificato. La firma giunge alla vigilia del suo primo viaggio apostolico, che dal 27 novembre al 2 dicembre lo condurrà in Turchia, con una tappa altamente simbolica: İznik, l’antica Nicea, luogo del primo Concilio Ecumenico (325).

Ricevendo i partecipanti al Simposio Nicea e la Chiesa del terzo millennio, il Papa aveva affermato: «Il Concilio di Nicea non è solo un evento del passato, ma una bussola che deve continuare a guidarci verso la piena unità visibile dei cristiani». Oggi questa bussola prende la forma di un testo magisteriale.

Una professione di fede rinnovata

L’apertura della Lettera chiarisce l’intenzione del Papa: richiamare la Chiesa a custodire e trasmettere «con amore e con gioia il dono ricevuto», espresso nelle parole del Credo di Nicea: «Crediamo in Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza». Leone XIV collega immediatamente il documento al contesto del suo pontificato e dell’Anno Santo della Speranza: «desidero incoraggiare in tutta la Chiesa un rinnovato slancio nella professione della fede». Non è solo un richiamo dottrinale, ma un invito a riscoprire il Credo come sorgente di speranza in un tempo segnato da «minacce di guerra e di violenza, disastri naturali, gravi ingiustizie e squilibri». Questa prospettiva è la stessa del discorso ai partecipanti al Simposio Ecumenico, dove il Papa aveva insistito sul valore del ritorno alle sorgenti come strada comune: ritornare alla fede nicena per superare divisioni che oggi appaiono meno assolute di un tempo.

La crisi ariana come specchio del presente

Il Papa ricostruisce con precisione la crisi che portò al Concilio di Nicea: non un dettaglio teologico, ma una frattura che toccava il centro della fede cristiana. Ario negava la piena divinità del Figlio; l’imperatore Costantino convocò il Concilio perché «insieme all’unità della Chiesa era minacciata anche l’unità dell’Impero». Il parallelo con l’oggi è evidente: come allora, divisioni dottrinali e incomprensioni reciproche rappresentano non solo una ferita ecclesiale, ma un fattore di instabilità nel mondo. Nel suo discorso al Simposio, Leone XIV aveva rilevato lo stesso rischio: «le differenze nei rispettivi calendari […] dividono le famiglie e indeboliscono la credibilità della nostra testimonianza del Vangelo». Il Papa legge quindi la storia come una chiave interpretativa del presente.

Il cuore del Credo: Cristo, “della stessa sostanza del Padre”

La sezione centrale della Lettera è una vera catechesi cristologica. Leone XIV spiega con chiarezza il passaggio decisivo del Concilio: i Padri professarono che il Figlio è «dalla sostanza (ousia) del Padre […] generato, non creato, della stessa sostanza (homooúsios) del Padre». E sottolinea che l’uso di termini non scritturistici non fu una “ellenizzazione”, bensì un modo per difendere la fede biblica, distinguendola dalle contaminazioni dottrinali. Il Papa insiste poi sulla dimensione soteriologica, citando sant’Atanasio: «Non divenne Dio da uomo che era, ma da Dio che era divenne uomo per poterci divinizzare». La divinizzazione - tema centrale nella spiritualità orientale - è presentata come la vera umanizzazione: un ponte teologico diretto verso il mondo ortodosso, che riconosce in questo punto uno dei cardini della propria tradizione. Non è un caso: ai partecipanti al Simposio, Leone XIV aveva ricordato che Nicea «è il Concilio per eccellenza» per l’Oriente. Qui il Papa mostra di voler parlare con il linguaggio teologico comune a cattolici e ortodossi.

Crisi, resistenze e il ruolo del popolo di Dio

La Lettera non elude le tensioni che seguirono a Nicea. Leone XIV ricorda che gli ariani ottennero per anni l’appoggio dell’imperatore e che la Chiesa attraversò una “notte ecclesiale”. Il passaggio più forte è la citazione di sant’Ilario: «le orecchie del popolo sono più sante dei cuori dei sacerdoti».

La fede del popolo, il suo sensus fidei, fu decisiva per custodire l’ortodossia. Anche questo è un messaggio al presente: non sono anzitutto le strategie istituzionali a garantire l’unità della Chiesa, ma la fedeltà del popolo al cuore del Vangelo. È lo stesso desiderio rievocato con i partecipanti al Simposio, quando il Papa aveva invitato tutti a «pregare insieme implorando dallo Spirito il dono dell’unità».

Il Credo come criterio per l’oggi

La Lettera apostolica non è un trattato storico; è un invito alla conversione. Leone XIV domanda: «Che ne è della ricezione interiore del Credo oggi? Comprendiamo e viviamo ciò che diciamo ogni domenica?».

Tre punti emergono:

La questione di Dio nell’epoca dell’indifferenza
Dio è spesso irrilevante per la vita delle persone; e parte della responsabilità è dei cristiani «che non testimoniano la vera fede».

La centralità di Cristo 
Il Sommo Pontefice ricorda che sequela e salvezza sono inseparabili dalla Croce e dalla carità: «Non possiamo amare Dio che non vediamo, senza amare anche il fratello e la sorella che vediamo».

L’incontro con Cristo nei poveri
«Quello che abbiamo fatto al più piccolo di questi, lo abbiamo fatto a Cristo». È il punto in cui teologia e pastorale si incontrano.

Nicea come fondamento dell’ecumenismo

L’ultimo numero è un compendio di ecclesiologia ecumenica. Leone XIV afferma che «quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide». Parole che rievocano quell’invito di San Giovanni XXIII a guardare ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide. Il Papa parla della fede nicena come “sorgente comune” per sviluppare forme nuove di sinodalità ecumenica.

Il Papa esclude due vie: né “ecumenismo di ritorno”, cioè l’idea che gli altri debbano rientrare in una forma preesistente; né accettazione passiva dello status quo.

Propone invece un ecumenismo orientato al futuro, fondato su riconciliazione, scambio di doni, preghiera comune e ascolto reciproco. La preghiera conclusiva allo Spirito Santo, che chiude la Lettera, è una sorta di epiclesi sull’intero cammino ecumenico: «Indicaci le vie da percorrere, affinché […] torniamo ad essere ciò che siamo in Cristo: una sola cosa, perché il mondo creda. Amen».

La chiave del pontificato: unità e profondità teologica

Dalla Lettera Apostolica In unitate fidei e dalle parole pronunciate dal Papa emerge una visione di insieme che orienta chiaramente il pontificato di Leone XIV. Al centro vi è Nicea come fondamento dell’identità cristiana: la fede nel Figlio «della stessa sostanza del Padre» non è per lui un retaggio del passato, ma la sorgente attiva da cui nasce ogni rinnovamento ecclesiale. La cristologia nicena e la dottrina della divinizzazione non sono temi accademici: rappresentano il terreno condiviso su cui può poggiare un ecumenismo reale, capace di parlare al mondo perché radicato nel cuore della Rivelazione. Accanto a questo asse dottrinale, Leone XIV pone la sinodalità come stile ecclesiale universale. Non un metodo riservato al cattolicesimo, ma una forma di vita cristiana che richiede il contributo e il discernimento di tutte le Chiese, nella consapevolezza che l’unità non sarà frutto di strategie, ma di cammini condivisi e di una conversione comune allo Spirito.

Infine, il Papa rilancia il Credo come motore della missione. La professione di fede non può essere percepita come un testo liturgico astratto: deve diventare carne nella carità, nella prossimità ai poveri, nella ricerca della pace, nella responsabilità storica. La verità di Cristo è sempre una verità che salva, e dunque trasforma la vita. Dentro questa visione unitaria si comprende il valore del viaggio che sta per iniziare: la tappa a İznik non è un omaggio archeologico, ma un gesto teologico e pastorale. Andare a Nicea significa tornare alle radici per costruire il futuro, ripartire da ciò che già unisce per affrontare ciò che ancora divide.

In unitate fidei è dunque una chiamata: a riscoprire il Credo come parola viva, a riconoscere nell’unità un dono da implorare e una responsabilità da assumere, a credere che la speranza cristiana nasce sempre da un ritorno alla sorgente. Leone XIV indica questa strada proprio mentre si appresta a raggiungere il luogo in cui, 1700 anni fa, la Chiesa professò la sua fede con una voce sola.

d.G.B.S.
Silere non possum