Gerusalemme – Le autorità israeliane hanno proceduto al congelamento dei conti bancari del Patriarcato ortodosso e all’imposizione di tasse esorbitanti sulle sue proprietà. Una decisione che ha immediatamente sollevato condanne e avvertimenti, non solo da parte delle autorità palestinesi ma anche delle istituzioni religiose locali, che parlano di un attacco senza precedenti contro la libertà della Chiesa e la sua stessa sopravvivenza.

Una misura che minaccia la missione della Chiesa

Il Comitato Superiore per gli Affari Ecclesiastici, in un messaggio indirizzato alle Chiese del mondo, ha denunciato la mossa israeliana, sottolineando che essa mette a rischio la capacità del Patriarcato di svolgere i suoi compiti spirituali, umanitari e comunitari. Il Comitato ha parlato di una “violazione flagrante dello status quo storico” che regola i rapporti tra comunità religiose a Gerusalemme, oltre che di un “chiaro affronto al diritto internazionale e agli accordi vigenti”.

L’attacco non si è limitato al blocco dei conti. Secondo la stessa Commissione, sono state registrate aggressioni contro i terreni della Chiesa ortodossa nei pressi del monastero di San Gerasimo (Deir Hijla), vicino a Gerico, con nuove espansioni coloniali nelle aree circostanti. Un’azione che, nel quadro delle politiche di insediamento, appare volta a modificare l’identità stessa di Gerusalemme e a ridurne progressivamente la componente araba e cristiana.

Una politica sistematica

“Quanto sta accadendo – avverte il Comitato – rappresenta un attacco senza precedenti alle Chiese della Terra Santa, e in particolare al Patriarcato ortodosso di Gerusalemme”. Le misure israeliane vengono interpretate come parte di una strategia più ampia per indebolire la presenza cristiana originaria in Palestina e privare la città del suo carattere religioso e culturale plurale.

Il portavoce della Chiesa greco-ortodossa ha parlato di un atto “contrario alle consuetudini e agli accordi internazionali”, aggiungendo che i capi delle Chiese locali sono riuniti in via permanente per definire una strategia di risposta.

La condanna palestinese

Il Ministero degli Esteri palestinese ha a sua volta denunciato il provvedimento, definendolo parte di una “guerra aperta” contro i luoghi santi, cristiani e musulmani, e contro le istituzioni religiose palestinesi. Stessa linea è stata assunta dalla Provincia di Gerusalemme, che ha parlato di un “nuovo crimine” volto a paralizzare la vita della Chiesa, interpretando le misure come tassello di un piano complessivo per “ebraicizzare Gerusalemme” e cancellarne l’identità araba, islamica e cristiana.

Precedenti e conseguenze

Non è la prima volta che il Patriarcato ortodosso subisce simili pressioni. Già nel 2018, le autorità israeliane avevano sequestrato beni e conti per un valore superiore a 30 milioni di shekel (circa 8,5 milioni di dollari). Oggi, il nuovo provvedimento si inserisce in un contesto di crescente tensione, che vede da un lato le comunità cristiane denunciare una erosione sistematica dei loro diritti, e dall’altro le istituzioni israeliane giustificare la stretta con questioni fiscali e amministrative.

Un appello al mondo cristiano

Ministero degli Esteri e Provincia di Gerusalemme hanno rivolto un appello urgente alla comunità internazionale, ma soprattutto al mondo cristiano e islamico, perché intervengano a difesa della libertà religiosa e della presenza storica delle Chiese in Terra Santa. “Proteggere la missione spirituale e umanitaria della Chiesa – hanno dichiarato – è una responsabilità collettiva e un dovere storico”.

La vicenda mette nuovamente in evidenza un nodo irrisolto: fino a che punto le misure amministrative e fiscali possano essere usate come strumenti politici per ridisegnare il volto di Gerusalemme? E cosa significa, per l’equilibrio già fragile della città, colpire una delle istituzioni religiose più antiche, legata alla memoria stessa del cristianesimo? Domande che restano aperte, mentre il rischio, sempre più denunciato, è quello di una progressiva cancellazione della presenza cristiana in Palestina.

p.F.A.
Silere non possum