Città del Vaticano - La Basilica di San Pietro, questa mattina, è apparsa troppo piccola per contenere l’abbraccio che Papa Leone XIV ha rivolto ai partecipanti della IX Giornata Mondiale dei Poveri. Prima dell’inizio della celebrazione, il Pontefice ha voluto raggiungere la Piazza, quasi a voler accorciare le distanze, e ha salutato i presenti: un gesto semplice, ma rivelatore di una logica evangelica che non mette i poveri ai margini, ma al centro della vita ecclesiale. Ha invitato tutti a partecipare con amore, anche attraverso gli schermi allestiti per l’occasione, ricordando che «siamo tutti uniti in Cristo» e assicurando che la celebrazione sarebbe stata il cuore della giornata che la Chiesa dedica, ogni anno, ai più fragili.

All’interno della Basilica, con la celebrazione della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, il Papa ha presieduto la Santa Messa del Giubileo dei poveri, consegnando alla Chiesa una lettura profonda del rapporto tra speranza cristiana, storia e povertà. La liturgia, incastonata negli ultimi giorni dell’anno liturgico, si è rivelata lo spazio ideale per riflettere sugli esiti della storia e sul modo in cui Dio interviene nelle vicende umane.

Nell’omelia, Leone XIV ha richiamato la profezia di Malachia, che intravede nel “giorno del Signore” l’alba di un mondo nuovo: un tempo in cui le speranze degli umili vengono finalmente riconosciute e ascoltate, mentre l’ingiustizia, soprattutto quella commessa contro i poveri, viene sradicata come paglia. Il sole di giustizia, ha spiegato il Papa, non è un semplice simbolo, ma una Persona: Cristo stesso, che entra nella storia non per distruggerla, ma per rivelarne il compimento.

Il linguaggio apocalittico del Vangelo, ha proseguito, non va interpretato come un annuncio di catastrofi, ma come un appello alla perseveranza: «Neppure un capello del capo perirà». È una promessa che attraversa le epoche e che, oggi, deve risuonare con ancora più forza in un mondo segnato da precarietà, guerra, instabilità sociale e nuove forme di solitudine. La Chiesa, ha ricordato citando il Concilio, continua il proprio cammino «tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», sostenuta dalla certezza che nulla della vita dei fedeli va perduto davanti al Signore. Leone XIV ha poi delineato un tratto caratteristico dell’intera Scrittura: Dio si schiera sempre dalla parte del più fragile. Orfani, stranieri, vedove: l’attenzione del Signore non nasce da un sentimentalismo, ma da una scelta precisa. È questa vicinanza, pienamente rivelata in Cristo, che trasforma la sua presenza in motivo di gioia e giubilo, soprattutto per chi vive condizioni di povertà estrema.

La Giornata Mondiale dei Poveri assume, in questa prospettiva, il significato di un vero Giubileo dei poveri. Non un rito accessorio, ma un momento in cui la Chiesa si lascia ricordare la propria identità più profonda. Il Papa ha voluto rivolgersi direttamente ai presenti: «Dilexi te – Io ti ho amato», ricordando il titolo del documento che ha firmato recentemente. Una parola irrevocabile, ha spiegato Prevost, che non appartiene al linguaggio della retorica ma al cuore stesso dell’annuncio cristiano. La Chiesa, soprattutto oggi, vuole essere «madre dei poveri, luogo di accoglienza e di giustizia». Nel mondo contemporaneo esistono povertà materiali evidenti, ma anche povertà morali, educative e spirituali. Il filo che le attraversa tutte, ha osservato il Pontefice, è la solitudine: un male subdolo che priva le persone della possibilità di sentirsi guardate, ascoltate, accompagnate. Per questo Leone XIV ha indicato una direzione chiara: sviluppare una cultura dell’attenzione. Non basta rispondere ai bisogni immediati; occorre una trasformazione dello sguardo, delle relazioni, dei contesti in cui viviamo. Famiglia, lavoro, comunità, mondo digitale: ogni spazio può diventare un luogo in cui si costruisce fraternità.

Neppure i conflitti internazionali, ha aggiunto, devono condurre alla paralisi o al fatalismo. La “globalizzazione dell’impotenza” nasce dall’idea che la storia non possa cambiare. Il Vangelo, invece, ribadisce che proprio negli sconvolgimenti più drammatici Dio si rende presente per salvare. È questo, secondo Leone XIV, che la comunità cristiana deve testimoniare in mezzo ai poveri: una speranza che non cede al realismo rassegnato. Il Papa ha rivolto un appello ai capi di Stato e ai responsabili politici, perché riconoscano la voce dei poveri come criterio di giustizia e di pace. Nessuna pace è possibile, ha affermato, senza una giustizia che includa tutti. Il mito di un progresso che scarta, dimentica e marginalizza intere categorie di persone è una delle forme più sottili di ingiustizia contemporanea. Un ringraziamento speciale lo ha riservato ai volontari e agli operatori della carità, ricordando però che il loro ruolo non è solo quello di alleviare le sofferenze, ma anche quello di essere coscienza critica della società. I poveri non sono un problema da gestire: sono «la carne di Cristo», il luogo in cui la fede cristiana si misura con la sua verità più radicale.

Infine, Leone XIV ha richiamato l’esempio dei santi che hanno incarnato l’amore di Cristo nei più emarginati. In particolare, ha riproposto alla Chiesa la figura di San Benedetto Giuseppe Labre, il “vagabondo di Dio”, come patrono dei senza tetto: un’esistenza poverissima che, nella logica evangelica, diventa luogo di rivelazione. Alla Vergine Maria, voce dei senza voce, il Papa ha affidato il cammino del Giubileo dei Poveri, perché la logica del Regno—che guarisce, consola e fascia le ferite—possa diventare stile di vita per ogni cristiano. Terminata la Santa Messa il Papa ha raggiunto, in auto, il Palazzo Apostolico per la recita dell'Angelus. 

d.E.R.
Silere non possum