Colonia - Il recente ricorso canonico promosso dal Betroffenenbeirat della Conferenza episcopale tedesca contro il cardinale Rainer Maria Woelki appare sempre più come l’ultimo atto di una campagna diffamatoria che dura ormai da anni. Secondo l’arcidiocesi di Colonia, le accuse mosse – che spaziano da presunte negligenze nella gestione dei fascicoli di abusi fino all’addebito di false dichiarazioni sotto giuramento – sono “manifestamente infondate” e basate su “assunzioni e affermazioni errate” . L’attacco è annunciato come un’indagine interna alla Chiesa, ma nelle sue pieghe si intravede un intento ideologico: far cadere un porporato che non rientra nei modelli “modernisti” preferiti da taluni ambienti ecclesiali tedeschi.
Già nel maggio 2025 la Procura di Colonia aveva chiuso il procedimento penale nei confronti di Woelki. Il porporato versò undicimilaquattrocento euro a un ente caritativo in quanto la Procura ritenne che non vi fosse un dolo intenzionale bensì, al più, una condotta colposa. Le solite idiozie di una giustizia che fa acqua da tutte le parti e vuole assecondare la stampa piuttosto che la verità. Non si è trattato di un’assoluzione formale – nessun giudice è stato chiamato a emettere una sentenza –, ma è del tutto paradossale che, a fronte di un procedimento archiviato senza ipotesi di reato, continuino a circolare notizie prive di riscontri concreti.
La genesi di questa vicenda affonda le radici già nel 2021, quando papa Francesco avviò una Visita Apostolica nell’Erzbistum Köln per esaminare possibili omissioni nella lotta agli abusi. Quell’inchiesta però non mise mai in luce responsabilità dirette di Woelki: i visitatori non rilevarono comportamenti volti a occultare i colpevoli, ma semmai carenze strutturali dell’istituzione nel gestire i fascicoli e nel prevenire i danni di immagine. Nonostante ciò, emerge una pervicace volontà di inchiodare il porporato a capri espiatori, mentre le vere inefficienze organizzative restano in gran parte ignorate.
Da parte sua, l’arcidiocesi di Colonia sottolinea l’infondatezza delle accuse, lamentando che né il Betroffenenbeirat né la stampa abbiano mai cercato un confronto diretto con Woelki prima di mettere in circolo queste denunce. È una denuncia di metodo e di sostanza: un attacco mediatico che non rispetta neppure i principi base del diritto canonico e statale, il quale richiede indagini preliminari accuratissime e la tutela della presunzione di innocenza.
Ancora più grave è il silenzio – o la scarsa determinazione – degli organi civili tedeschi nel difendere la reputazione del cardinale. In uno stato di diritto sano, chi diffonde falsità dovrebbe rispondere davanti ai tribunali, mentre le vittime di campagne diffamatorie meritano piena tutela e protezione.
In conclusione, dietro la facciata di un formale contrasto alle ipotesi di abuso, si cela da anni una vera e propria campagna diffamatoria rivolta a un pastore che ha sempre agito secondo le norme canoniche e civili. La Chiesa di Colonia – e più in generale l’ordinamento tedesco – rischiano così di perdere ogni credibilità, laddove si lascia proliferare una persecuzione ideologica anziché promuovere una reale trasparenza e giustizia. Che questo scandalo, paradossalmente, sia più una battaglia di correnti interne alla Chiesa che un’autentica tutela delle vittime di abusi dovrebbe far riflettere più di qualunque comitato d’inchiesta.
M.P.
Silere non possum