Ci sono parole che dovrebbero restare sulla soglia delle labbra, e invece vengono pronunciate con disinvoltura: “Eh, ma anche tu hai fatto così…”, oppure “parli proprio tu che fai così…”. Sono frasi che, anche tra preti e religiosi, si sentono troppo spesso. Servono a difendere sé stessi, a livellare il male, a umiliare chi prova a rialzarsi.
È uno scandalo sottile, ma capillare: la gioia segreta per il peccato altrui. Perché l’errore dell’altro diventa l’occasione per innalzarsi, per giustificare la propria mediocrità, per sentirsi migliori. E così, invece di condividere il cammino della conversione, ci si trasforma in accusatori, dimenticando che nessuno si salva accusando, ma solo lasciandosi perdonare.
Gesù, nel Vangelo, fa esattamente il contrario. Si rallegra per la conversione del peccatore, non del suo peccato. «C’è più gioia in cielo per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).
Quando incontra la donna adultera, non le dice: “Anche tu sei come gli altri”, ma le restituisce la dignità ferita: “Neanch’io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11).
Il Vangelo, a quanto risulta, non racconta che Gesù — nei giorni, nei mesi o negli anni successivi — si sia mai rivolto alla donna adultera dicendole: “Ricordati che prima eri adultera”, oppure, vedendola forse parlare di Lui ad altri, l’abbia ammonita con ironia: “Ah, vai a dire loro di essere casti, tu che eri adultera?”.
Non mi risulta. Se mi fosse sfuggito questo passo, accetterei volentieri segnalazioni.
Ma quel silenzio di Gesù dice tutto: il peccato perdonato non è più argomento di conversazione, ma punto di partenza per una vita nuova.
Chi invece usa il peccato altrui come argomento, come freccia o come rivalsa, si mette dalla parte dell’Accusatore, non del Redentore. Sant’Antonio il Grande, negli Apoftegmi dei Padri del Deserto, diceva: «Verrà un tempo in cui gli uomini diventeranno pazzi, e quando ne vedranno uno che non è pazzo, si rivolteranno contro di lui dicendo: “Tu sei pazzo”, perché non è come loro». Così fanno certi cristiani oggi: invece di gioire per chi si converte, lo isolano, lo accusano di incoerenza, quasi che il Vangelo fosse un registro di contabilità morale, e non una storia di resurrezione. Sant’Ambrogio ammoniva: «Chi rinfaccia all’altro la sua antica colpa, non ha compreso la misericordia di Dio, che dimentica ciò che perdona». E San Giovanni Crisostomo ricordava: «Non basta non giudicare: bisogna anche non ricordare il male fatto da altri».
La Chiesa, quella che nasce dal costato trafitto di Cristo, non è la comunità dei perfetti, ma la casa dei riconciliati. È la Chiesa del Padre che corre incontro al figlio perduto, non quella del fratello maggiore che lo rimprovera per essere tornato. Luca 15 è la grande parabola di questo dramma spirituale: mentre il peccatore entra nella festa del perdono, il “giusto” rimane fuori, ferito dall’amore del Padre che non giudica ma accoglie.
In ogni comunità ci sono “fratelli maggiori” che non sopportano la conversione altrui. Preferiscono un peccatore stabile, prevedibile, utile al loro moralismo, piuttosto che un fratello redento che li costringe a cambiare sguardo. Perché — e qui sta la radice del male — la conversione dell’altro ci obbliga a rimettere in discussione la nostra falsa giustizia.
San Bernardo di Chiaravalle scriveva: «La misericordia che giudica è crudeltà; la misericordia che dimentica, invece, è divina». Il cristiano non è chiamato a ricordare le colpe, ma a ricordare la possibilità della grazia. Ogni volta che diciamo: “Anche tu hai fatto questo”, uccidiamo il seme della speranza. È come se dicessimo: “Non cambierai mai”, e così togliamo al fratello la possibilità di credere nel perdono. E questo atteggiamento è quello che scandalizza i non credenti, i quali guardano all’interno e si domandano: “Perché mai dovrei far parte di una setta che esclude, giudica e condanna?”
Eppure, Dio — scrive il profeta Michea — «getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati» (Mi 7,19). E se Dio dimentica, chi siamo noi per ricordare? Chi si rallegra del peccato altrui, o lo usa come arma, non conosce ancora il Vangelo. Perché la vera gioia cristiana nasce non quando si scopre il male, ma quando si riconosce che l’amore è più forte del male.
d.C.C.
Silere non possum