Città del Vaticano - L’elezione di Leone XIV ha già iniziato a produrre i suoi frutti, ma anche a infastidire i soliti noti: commentatori onnipresenti, giornalisti legati più all’ideologia che alla verità, e quegli opinionisti che da anni si occupano di Chiesa senza mai averla veramente compresa. Emblematica, in questo senso, la riflessione pubblicata da Alberto Melloni sul Corriere della Sera, smentita dai fatti e dai cardinali stessi. Ma non c’è da stupirsi: Melloni non è nuovo a errori grossolani – come il goffo “Robertus Franciscus” al posto del corretto “Robertum Franciscum” – e a una narrazione faziosa, spesso utile solo a mantenere visibilità mediatica e a garantirsi qualche fondo per la sua fondazione. Lo stile è sempre lo stesso: sputare veleno, prima su Benedetto XVI, poi incensare Papa Francesco fino a quando è stato utile, per poi scaricarlo quando non ha ottenuto incarichi o favori per sé e per i suoi amici.
Il vizio di certa stampa è antico, Silere non possum ne parla da anni, ma la reazione all’elezione di Leone XIV lo ha reso ancora più evidente. Da anni, alcuni si stracciavano le vesti al solo pensiero che si potesse criticare il Papa, confondendo la fede con l’idolatria della persona. In realtà, non c’era alcuna fede in quel “non si tocca il Papa”, ma solo calcolo politico. Oggi, con Leone XIV, si volta pagina. Il Papa torna a parlare di Cristo, torna a mettere al centro le vocazioni alla vita consacrata, la preghiera, la fede semplice del popolo che ama Maria. E questo, ovviamente, irrita chi ha trasformato la Chiesa in un megafono ideologico per cause alla moda. Per Leone XIV, invece, non esiste pace o giustizia senza Gesù Cristo. Ed è proprio per questo che la stampa lo teme.
A differenza di quanto afferma Melloni, il Conclave non è un congresso di partito, né un esperimento di ingegneria sociale. Non si parla di continuità o discontinuità, di capo partito pro o contro ideali. La scelta dei cardinali, invece, è stata spirituale, ecclesiale, e profondamente consapevole. Robert Francis Prevost non era un “delfino” di Papa Francesco, come qualche improvvisato analista sostiene. Francesco, al massimo, nei primi anni parlò di Krajewski come di un uomo di futuro, ma nulla più. Ed è tutto dire! I cardinali hanno scelto Prevost perché è un uomo di Dio: spirituale, umile, e proprio per questo concreto. Leone XIV non è un uomo che annuncia riforme con il megafono, le attua. E le attua mettendo Cristo al centro, come ha detto egli stesso nella Messa in Cappella Sistina: il compito del Papa non è conquistare la scena, ma indicare il Signore.
Sono parole che hanno colpito nel segno. “Siamo stati molto contenti delle sue parole nell’Aula nuova del Sinodo”, racconta un cardinale. “Ci ha detto che siamo i suoi primi collaboratori. Parole e gesti che non vedevamo da tempo, il Collegio era stato esautorato di tutto.” È consapevole del peso del ministero, ma lo accoglie con umiltà, desideroso di lasciarsi accompagnare. Questo è il tono che ha colpito la maggioranza del Collegio cardinalizio: un uomo che ascolta, che unisce, che non divide. E la Chiesa, oggi, ha bisogno proprio di questo. Perché per predicare ed invocare la Pace nel mondo, dobbiamo prima sperimentarla ed attuarla nella Chiesa. Non ha senso parlare di disarmo tra le nazioni, se non siamo capaci di disarmare le nostre tastiere e le nostre bocche: quelle di tanti sedicenti “teologi”, “liturgisti”, “storici” e “commentatori” che seminano solo divisione.
A distanza di dodici anni dall’elezione di Francesco, i bisogni sono cambiati. Allora qualcuno cercava uno scossone, una rivoluzione, oggi si desidera profondità, pace e unità. Non più slogan, ma Vangelo. Non più progetti astratti, ma una Chiesa che parli di Gesù Cristo. E Leone XIV ha mostrato fin dai primi gesti – semplici e incisivi – quale sarà la sua linea. Basta con l’infantile contrapposizione tra tradizionalisti e progressisti. Basta con il Papa usato come strumento per le battaglie personali. Basta con il culto della personalità, che ha confuso il carattere del Papa con il suo mandato divino. Il Papa passa. Ma Cristo resta.
Per questo, oggi, nella Chiesa si respira una certa serenità. I cardinali hanno scelto un uomo che ha saputo farsi voler bene a Roma e che è ancora amato nella sua diocesi di Chiclayo. I seminaristi peruviani, quando hanno sentito pronunciare il nome di Prevost l’8 maggio, sono esplosi di gioia. Quel sorriso timido e umile affacciatosi dalla Loggia ha parlato più di mille editoriali. Ma i soliti “sciacalli giornalai” – come ormai possiamo tranquillamente definirli – già iniziano a diffondere falsità, preoccupati che il nuovo Papa non rientri nei loro schemi politici o ideologici. C’è già chi si sta muovendo per accaparrarsi interviste, libri, prefazioni, lettere e telefonate: un meccanismo ben rodato, che negli anni passati ha fruttato una quantità di denaro che molti nemmeno immaginano. Ma Leone XIV ha lasciato intendere chiaramente di voler porre fine a questo sistema.
Nei giorni scorsi ha provato a contattare il fratello, chiamandolo più volte senza ottenere risposta. Quando infine il fratello si è accorto delle chiamate, ha risposto in vivavoce mentre accanto a lui c’era un giornalista che stava registrando. Appena il Papa ha capito la situazione, ha chiuso la telefonata. Non dovrebbe stupirci: forse il vero problema è che, in questi dodici anni, ci siamo assuefatti a dinamiche e gesti che di normale non avevano proprio nulla.
Nonostante il panorama mediatico resti imbarazzante, Leone XIV procede con serenità, e soprattutto con libertà: le sue scelte non sono guidate da ideologie, ma da fede e spontaneità.
Un cardinale ha osservato: “Solo chi non ha fede si aggrappa a sciocchezze come le apparenze esteriori. Ciò che distingue Robert Francis Prevost rispetto al passato è la naturalezza con cui compie ogni gesto. Tiene la croce, la toglie, indossa o non indossa le scarpe rosse: lo fa senza calcoli, senza sceneggiate. Prima tutto era studiato, comunicato con precisione alla stampa per ottenere un certo effetto. Oggi, invece, ogni gesto è semplice, spontaneo.Il Papa ha lo sguardo rivolto a Dio, non a queste banalità.” Proprio oggi, tra l’altro, Leone XIV incontrerà per la prima volta la stampa.

Il Pontefice ha scelto di dormire nel suo appartamento presso il Dicastero per la Dottrina della Fede, in attesa di trasferirsi nel Palazzo Apostolico. La sera dell’elezione ha cenato con il Collegio cardinalizio e con chi ha servito il Conclave, condividendo il pasto con alcuni cardinali provenienti da diversi continenti. Con loro ha spiegato il significato della scelta del nome “Leone XIV” e ha mostrato, ancora una volta, di essere un uomo di comunione.
Intanto, mentre i giornali si concentrano sulle croci, le scarpe, l’appartamento o le battute di circostanza alla fine dei discorsi, la Chiesa torna a respirare aria di Vangelo.
Leone XIV non è un personaggio da copertina: è un Papa che parla più di Cristo che dell’uomo. Ed è proprio questo che, oggi, restituisce serenità a tanti vescovi e sacerdoti nel mondo, che lo hanno accolto con quell’amore profondo e fedele che si riserva al Papa, chiunque esso sia.
p.E.S.
Silere non possum