Città del Vaticano - L’8 maggio 2025, la Chiesa ha vissuto un momento storico: l’elezione al soglio di Pietro di un nuovo Pontefice, che ha scelto il nome Leone XIV. Una decisione che non è passata inosservata, tanto per la sua forza simbolica quanto per il richiamo diretto a uno dei papi più significativi della modernità: Leone XIII, autore della Rerum Novarum, l’enciclica che diede avvio alla dottrina sociale della Chiesa. E proprio questo riferimento ha costituito una delle motivazioni dichiarate dal nuovo Papa nella scelta del suo nome.
In pochi giorni di pontificato, Leone XIV ha già offerto segnali precisi, indicando una direzione che unisce radici profonde e lucidità sull’oggi. Rivolgendosi alle Chiese Orientali, ha affermato: «Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie… E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos)…». Alle scuole cristiane ha invece parlato con franchezza delle sfide educative: «Oggi ci sono altri ostacoli da affrontare. Pensiamo all’isolamento che provocano dilaganti modelli relazionali improntati a superficialità, individualismo e instabilità affettiva… alla solitudine che ne deriva.»
Parole che sembrano proseguire idealmente proprio quel cammino inaugurato nel 1891 con la Rerum Novarume rilanciato da Giovanni Paolo II un secolo dopo con la Centesimus Annus. Due encicliche sorelle, che ci parlano ancora oggi con sorprendente freschezza.
Due encicliche, un filo rosso: l’uomo al centro
Esattamente 134 anni fa, il 15 maggio 1891, veniva pubblicata la Rerum Novarum: oggi ne celebriamo la memoria come un momento fondativo della dottrina sociale della Chiesa. In piena rivoluzione industriale, quella di Leone XIII fu una voce profetica: il lavoro non è una merce, l’uomo non può essere sfruttato, la giustizia non è un’utopia. Il Papa non prese le parti di un sistema economico, ma offrì una visione alta dell’uomo e della società, fondata su un principio irrinunciabile: la dignità della persona non si contratta. Nel 1991, con la Centesimus Annus, Giovanni Paolo II riprese e attualizzò quei temi: riconobbe il fallimento del comunismo, ma avvertì che anche il capitalismo, se non regolato dalla solidarietà, diventa disumano. L’uomo è sempre la misura. Non il profitto, non la tecnica, non l’efficienza. E oggi?
Sfide vecchie, nomi nuovi
Le questioni di fondo non sono sparite. Hanno solo cambiato volto. Il lavoro, per esempio. Se prima era sfruttamento industriale, oggi è precarietà sistemica, flessibilità spinta, algoritmi che decidono turni e stipendi. L’uomo resta spesso un ingranaggio. La povertà. Leone XIII parlava di concentrazione della ricchezza. Oggi i numeri sono ancora più crudi: una minima parte dell’umanità controlla risorse immense, mentre larghe fasce vivono nell’insicurezza materiale e psicologica. E poi c’è la solitudine culturale, quella che Leone XIV ha già indicato come un’emergenza spirituale: ritmi frenetici, relazioni superficiali, educazione svuotata di senso, perdita della memoria. Una società dove tutto è fluido, tranne la fame di senso che resta.
La Chiesa: voce libera e memoria viva
Leone XIII parlava da un mondo attraversato da ideologie forti; Giovanni Paolo II da un mondo che usciva da una grande contrapposizione. Leone XIV entra in scena in un’epoca senza grandi visioni, dove la crisi non è solo economica, ma antropologica e spirituale. Eppure, c’è un filo che li unisce: la convinzione che l’uomo non si salva da solo. Ha bisogno di Dio, ma anche di giustizia, di verità, di bellezza, di relazioni autentiche, di comunità. Per questo le encicliche sociali della Chiesa non sono mai solo analisi: sono atti di speranza. Sono inviti a ricostruire un mondo umano, a partire da chi è stato scartato, da chi non ha voce, da chi oggi viene educato a non aspettarsi più nulla. Forse è anche per questo che Leone XIV ha voluto cominciare da lì, dalla radice sociale e spirituale della missione della Chiesa. Perché il Vangelo non è un’idea da conservare in biblioteca, ma una forza che cambia la storia, a cominciare da quella dei più piccoli, dei più poveri, dei più soli.La Rerum Novarum ha acceso una luce. La Centesimus Annus l’ha tenuta viva. Ora tocca a noi custodirla, coltivarla, rilanciarla. Con coraggio. Con fede. E, come ci sta indicando Leone XIV, con lo sguardo rivolto a Dio e i piedi piantati nella terra degli uomini.
E.T.
Silere non possum