È curioso che un articolo interamente dedicato alla “partecipazione giovanile alla Messa” riesca a parlarne quasi senza nominare Gesù Cristo: il suo nome compare solo in chiusura, come postilla devota. È un dettaglio? No: è la questione. Se la Santa Messa è raccontata come codice comunicativo da rendere “efficace”, o come rito da alleggerire perché “noioso”, è inevitabile che ai giovani appaia un accessorio identitario, non l’incontro con una Persona.

Quando si parla della Messa senza dire Chi vi abita

Nel testo pubblicato su Avvenire a firma di Paola Bignardi, il discorso sulla liturgia procede come se Cristo fosse un riferimento superfluo. L’articolo elenca le difficoltà dei giovani, la loro “mobilità”, la fatica di riconoscersi in un linguaggio che appare distante, la noia, le omelie troppo lunghe, il senso di costrizione. Eppure, in tutto questo, non si accenna mai al fatto che la Messa è il memoriale del suo sacrificio.

Così, la liturgia finisce per essere trattata come un linguaggio da migliorare o una prassi da rendere accettabile. Si discute del come - ma si è smarrito completamente il Chi. È come se si parlasse di un incontro amoroso occupandosi solo dell’arredamento della stanza, ignorando la persona amata.

Il cristianesimo non nasce da un linguaggio, ma da un fatto

Giussani scriveva che “il cristianesimo nasce non come un discorso religioso, ma come un avvenimento”. È un’irruzione del Mistero nella storia, non una costruzione educativa. Quando si riduce la fede a questione di “efficacia comunicativa”, si scambia il cristianesimo per un metodo pedagogico. Ma — dice Giussani — “il Mistero si fa conoscere solo svelandosi, prendendo l’iniziativa di collocarsi come fattore dell’esperienza umana”. Questo è il punto che manca completamente nell’articolo di Avvenire: la rivelazione come fatto.

Non si tratta di “rendere interessante” la Messa, ma di riscoprire che lì Dio accade. E la noia nasce proprio quando il cuore non riconosce più un evento, ma solo una forma. Il rito, svuotato della sua Presenza, diventa un esercizio estetico, e allora sì, può essere giudicato “noioso”. Non perché è ripetitivo, ma perché è incomprensibile senza l’Evento che lo fonda.

L’incontro che fonda la fede

In All’origine della pretesa cristiana, Giussani spiega che “l’unico modo per conoscere Cristo è l’incontro con una realtà umana nella quale Egli è presente”. Questo è il principio che regge ogni esperienza cristiana autentica. Non basta conoscere il nome di Gesù: bisogna incontrarlo in una comunità viva che lo renda sperimentabile. E la Messa è proprio questo: il luogo dell’incontro reale con una Presenza viva, non il ricordo di un’assenza. Quando un giovane entra in chiesa e trova solo parole, discorsi, estetiche, o tentativi di “fidelizzazione”, non incontrerà nessuno. Perché ciò che lo muove — come dice don Giussani — non è un dovere, ma un’attrattiva.
E l’unica attrattiva capace di reggere l’urto del tempo è Cristo. Senza di Lui, la Messa non ha ragione d’essere, e la Chiesa diventa una burocrazia spirituale impegnata a gestire il proprio calo d’audience.

La liturgia non si addomestica: si abita

L’articolo cita il Piccolo Principe e parla della necessità di “addomesticare” i giovani al rito, di introdurli al simbolo. Ma il rischio è quello di confondere l’educazione al mistero con l’addomesticamento del Mistero. La liturgia non è qualcosa da spiegare, è qualcosa che accade. Il Mistero non è un linguaggio da interpretare, ma una realtà che si svela e che chiede adesione.

Giussani ammoniva che la ragione umana tende sempre a “degradare lo sguardo”, identificando il significato totale con ciò che riesce a comprendere da sé. È ciò che accade ogni volta che si parla di “partecipazione” in termini puramente orizzontali. Ma la liturgia non è la somma delle nostre parole: è l’azione di Cristo che continua nella storia, il gesto con cui Egli si china ancora sull’uomo per guarirlo e nutrirlo. “I sacramenti sono il gesto di Gesù che nella Chiesa si piega sulla debolezza umana per farla diventare diversa”, spiegava Giussani in Perché la Chiesa.

Ecco cosa manca in quell’articolo: l’idea che la Messa non è un simbolo, ma un gesto di Cristo.

La noia come sintomo del vuoto

I giovani si annoiano, dice Bignardi. Ma forse si annoiano perché nessuno li ha mai aiutati a riconoscere Chi hanno davanti. Non perché la Messa sia lunga, ma perché è diventata muta. Come può essere interessante ciò che non si percepisce come vivo? Chi entra in una chiesa per assistere a uno spettacolo religioso, troverà sempre di meglio su Netflix. Ma chi entra per incontrare Cristo, troverà un senso che non si consuma. Giussani spiegava che “Cristo non è venuto a spiegare la vita, ma a prenderla”. In All’origine della pretesa cristiana, scriveva: “La grazia non è una forza magica, ma la compagnia di Cristo che cambia l’uomo”.La differenza è tutta qui: tra un rito che parla di Dio e un Mistero in cui Dio parla all’uomo.

Un cristianesimo senza Cristo

L’articolo di Avvenire, pur animato da buone intenzioni, finisce per proporre un cristianesimo senza Cristo: un sistema educativo, un insieme di strumenti pastorali, un linguaggio che cerca consenso. È il vecchio tentativo di salvare la religione sostituendo la fede con la cultura. Ma la fede non nasce da un discorso, nasce da un incontro. E la Chiesa non esiste per spiegare un valore, ma per custodire una Presenza.

Giussani scriveva: “Cristo continua a farsi incontrare oggi nella compagnia del suo corpo, la Chiesa”. Dunque, non si tratta di aggiornare le strategie, ma di riscoprire la sorgente. La Messa non ha bisogno di essere resa accattivante: ha bisogno di essere riconosciuta. È il momento in cui il Mistero si fa vicino, in cui l’Eterno entra nel tempo, in cui il pane e il vino — realtà umili — diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Se questo non viene detto, se non viene mostrato, tutto il resto è pedagogia senza fede.

Tornare al centro

Forse i giovani non tornano a Messa perché non trovano Cristo, non perché non trovano chitarre.
Perché cercano un senso e si trovano davanti a un linguaggio, cercano una Presenza e trovano un programma. E allora sì, si annoiano. Ma non della liturgia: si annoiano dell’assenza. La questione non è come “rendere la Messa più vicina ai giovani”, ma come ricondurre i giovani a Cristo. E questo non avverrà grazie a una strategia di comunicazione, ma attraverso una testimonianza viva: un volto, una presenza, un’esperienza concreta che, senza proclami né slogan, faccia percepire che Cristo è qui. Non per teoria, ma per esperienza vissuta - come un fatto che accade e trasforma. “L’uomo non si muove per un dovere, ma per un’attrattiva. E l’attrattiva è Cristo” spiega don Luigi Giussani

Finché non torneremo a pronunciare quel nome — Gesù Cristo — ogni discorso sulla Messa resterà un esercizio retorico. Perché senza di Lui, la liturgia è solo scena; con Lui, è vita che ricomincia.

d.M.S.
Silere non possum