New York - Quando alle 22:47 locali i principali network americani hanno annunciato la vittoria di Zohran Mamdani, un boato ha attraversato Brooklyn. Da lì, dove aveva cominciato a bussare porta per porta un anno fa, il “ragazzo del Queens” è diventato il nuovo sindaco di New York, il più giovane in oltre un secolo e il primo musulmano della storia della città.

Una vittoria che sa di svolta, ma anche di riscatto. Mamdani – 34 anni, figlio di un professore ugandese e della regista indiana Mira Nair – ha sconfitto Andrew Cuomo, ex governatore e volto dell’establishment democratico, e il repubblicano Curtis Sliwa, conquistando oltre un milione di voti, il risultato più alto dai tempi di John Lindsay nel 1969.

Dallo sconosciuto al simbolo di una città che vuole respirare

Solo dodici mesi fa Mamdani era un nome ai margini del Partito Democratico. I primi sondaggi lo davano all’1 per cento, “alla pari con la risposta qualcun altro”, come lui stesso ha ironizzato più volte. Poi la svolta: una campagna costruita sui temi concreti – costo della vita, case inaccessibili, trasporti pubblici inefficienti – e uno slogan semplice, quasi disarmante: “La vita in questa città non deve essere così dura”.

La sua proposta di bloccare gli affitti, rendere gratuiti autobus, asili e scuole per l’infanzia, e creare supermercati comunali a prezzi calmierati ha intercettato l’esasperazione della classe media. Una proposta radicale per una città dove, come scriveva The New Yorker, “l’affitto medio a Manhattan supera i 5.400 dollari e un figlio può costare 20mila dollari l’anno”.

Il “secondo lavoro più difficile d’America”

Il sindaco di New York, diceva John Lindsay nel 1969, è “il secondo lavoro più difficile degli Stati Uniti dopo il presidente”. Gestisce una metropoli da 8 milioni di abitanti, un bilancio da oltre 110 miliardi di dollari e più di 300mila dipendenti pubblici. Dovrà coordinarsi con la governatrice Kathy Hochul e affrontare la rivalità aperta del presidente Donald Trump, che ha già minacciato tagli ai fondi federali verso la città.

Ma Mamdani non sembra spaventato. Nel suo discorso della vittoria, ha risposto direttamente alla Casa Bianca: “In questo momento oscuro della politica, New York sarà la luce.”

Il socialista del Bronx e l’America che cambia

Mamdani non è solo il primo musulmano a guidare New York: è anche il primo sindaco che si dichiara apertamente socialista democratico, come la sua alleata Alexandria Ocasio-Cortez. Il New Yorker ha descritto la sua elezione come “una sfida generazionale tra un insider stanco e un outsider integerrimo”. E lui stesso, durante un dibattito, aveva risposto al più esperto Cuomo: “Ciò che mi manca in esperienza lo compenso con l’integrità. E ciò che ti manca in integrità, non lo potrai mai compensare con l’esperienza.” È la frase che ha conquistato i giovani elettori e ha segnato la frattura con una politica percepita come corrotta e distante.

Dall’hip hop alla City Hall

Prima della politica, Mamdani era Mr. Cardamom, rapper del Queens. Le sue canzoni – ironiche e sociali – parlavano di disuguaglianze, razzismo e identità. “Usava l’umorismo e la destrezza linguistica per raccontare la vita dei poveri e degli oppressi”, scriveva The Indypendent. Forse è lì che ha imparato a comunicare, a creare ritmo nelle parole e immediatezza nel messaggio: qualità rare nei comizi politici.

Una campagna dai colori del futuro

Anche l’estetica ha avuto un ruolo cruciale. La campagna di Mamdani – ideata dallo studio Forge di Philadelphia – ha abbandonato il blu istituzionale dei democratici per un mix di giallo taxi e blu elettrico, ispirato alle bodegas di quartiere e ai film di Bollywood.
Un linguaggio visivo vivace, popolare, multietnico. Come la città che ora governa.

Tra sogno e responsabilità

Mamdani eredita una città divisa e diffidente, con un debito in crescita e tensioni sociali irrisolte. Ma ha dalla sua parte una generazione che non vuole arrendersi al cinismo politico. Come ha scritto The Guardian nel suo editoriale post-elettorale, “la vittoria di Mamdani non è la fine di una campagna, ma l’inizio di un esperimento democratico: può una metropoli governarsi con l’empatia di chi la abita, non di chi la possiede?”. New York cambia sindaco, ma forse cambia anche pelle. Dopo anni di scandali e corruzione, ha scelto un trentenne ugandese-musulmano, ex rapper e socialista, per amministrarla. Forse perché – come scriveva James Baldwin – “L’amore è l’atto di continua ribellione contro la disperazione.”

E oggi New York sembra aver scelto di ribellarsi alla disperazione, affidando la sua voce più libera a chi, fino a ieri, la cantava nei sottopassaggi del Queens.

M.C.
Silere non possum