Città del Vaticano - «Questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». È il cuore teologico e insieme il criterio politico del Messaggio di Leone XIV per la LIX Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2026): una pace che nasce dal Vangelo e, proprio per questo, pretende di misurarsi con l’architettura concreta dei conflitti, con le scelte economiche degli Stati, con i linguaggi della propaganda e con le tecnologie che stanno cambiando la guerra.
Come nasce la giornata?
La Giornata Mondiale della Pace, celebrata ogni 1º gennaio, è stata istituita da Paolo VI con un messaggio datato 8 dicembre 1967 ed è stata celebrata per la prima volta il 1º gennaio 1968: da allora, a Capodanno, il Pontefice consegna alla comunità internazionale un testo che non è un semplice augurio, ma una lettura morale della storia e delle sue responsabilità.
Nel 2026 Leone XIV colloca la sua voce in questa tradizione e la caratterizza con un titolo programmatico: «La pace sia con tutti voi. Verso una pace disarmata e disarmante».
Rimetti la spada nel fodero
L’avvio del messaggio è cristologico: il Papa parte dal saluto del Risorto – «Pace a voi» – e lo interpreta come parola che non “commenta” la realtà, ma la muta, perché genera un “definitivo cambiamento” in chi la accoglie e, per questa via, incide anche sul mondo. Da qui l’insistenza su un dato spesso trascurato: la pace, prima di essere una meta, è una presenza e un cammino; va custodita come una fiamma esposta al vento e resa più visibile proprio quando intorno sembrano prevalere macerie e scoraggiamento.
È su questo sfondo che Leone XIV introduce la prima parola chiave: pace disarmata. La fonda direttamente nel Vangelo: «Vi lascio la pace… Non come la dà il mondo, io la do a voi», e poi l’imperativo che rovescia la logica dell’autodifesa assolutizzata: «Rimetti la spada nel fodero». Per il Papa, la pace cristiana resta “disarmata” perché disarmata è stata la lotta di Gesù dentro circostanze storiche e politiche reali; e i cristiani, proprio per questo, non possono sottrarsi a una memoria severa, riconoscendo le volte in cui sono stati complici di dinamiche violente. Il testo, tuttavia, non rimane sul piano spirituale. Leone XIV nomina ciò che oggi viene spesso presentato come inevitabile: la corsa al riarmo, la retorica della “pericolosità altrui”, la deterrenza nucleare come paradigma delle relazioni tra popoli. E ne offre una diagnosi etico-politica: quando la sicurezza si fonda sulla paura e sul dominio della forza, si stabilizza un rapporto irrazionale che svuota diritto, giustizia e fiducia.
Dentro questa cornice inserisce un dato che vuole essere una scossa di coscienza: nel 2024 le spese militari mondiali sono aumentate del 9,4%, raggiungendo 2.718 miliardi di dollari, pari al 2,5% del PIL mondiale. Leone XIV affianca a questo un’ulteriore preoccupazione: il rischio di un riallineamento delle politiche educative e delle campagne mediatiche verso una percezione permanente di minaccia, a scapito di una cultura della memoria capace di custodire le consapevolezze del Novecento e le sue vittime.
In questo scenario, il Papa individua un salto di qualità che rende il presente più instabile: l’uso delle intelligenze artificiali in ambito militare. Non si tratta solo di nuove armi, ma di un cambiamento nella catena morale delle decisioni: il “delegare” alle macchine scelte che riguardano la vita e la morte può produrre una deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, con effetti “senza precedenti” sull’umanesimo giuridico e filosofico che sostiene ogni civiltà. Leone XIV chiede di denunciare le concentrazioni di interessi economici e finanziari che sospingono in quella direzione, ma insiste anche su un’altra urgenza: il risveglio delle coscienze e del pensiero critico, senza il quale ogni allarme resta sterile.
Una pace disarmata e disarmante
La seconda parola chiave - pace disarmante - porta il discorso dalla guerra all’antropologia. Leone XIV la lega alla bontà: “disarmante” perché spezza la catena della reazione, perché costringe a riconoscere l’altro non come funzione o minaccia ma come volto. E qui il Papa porta lo sguardo al mistero dell’Incarnazione: Dio “senza difese” che si affida alla fragilità di un bambino e, così facendo, educa l’umanità a una cura concreta per ciò che è fragile. La fragilità, nel messaggio, non è un dettaglio emotivo: è una forza conoscitiva, capace di renderci più lucidi su ciò che “fa vivere” e su ciò che “uccide”.
Da questa prospettiva Leone XIV rilancia un tema classico della dottrina sociale: il disarmo integrale. Richiama san Giovanni XXIII e l’idea che la riduzione (e, ancor più, l’eliminazione) degli armamenti resta quasi impossibile se non si smontano gli “spiriti”, sciogliendo la “psicosi bellica” e sostituendo la logica dell’equilibrio armato con il principio della vicendevole fiducia. Nel messaggio questo passaggio serve a dire che, senza una conversione culturale profonda, anche le migliori architetture diplomatiche diventano fragili e reversibili.
Il Papa, infatti, assegna un compito specifico alle religioni: vigilare sul tentativo crescente di trasformare in armi perfino i pensieri e le parole, e smentire “anzitutto con la vita” le forme di blasfemia che trascinano la fede nel combattimento politico, benedicono il nazionalismo e giustificano religiosamente la violenza. Per questo insiste su preghiera, dialogo ecumenico e interreligioso e comunità come “case della pace” in cui si disinnesca l’ostilità, si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. Accanto alla dimensione spirituale, Leone XIV rivendica la responsabilità della politica: la via “disarmante” della diplomazia, della mediazione e del diritto internazionale, con un appello a rafforzare le istituzioni sovranazionali proprio nel momento in cui vengono più facilmente delegittimate e indebolite. E, per evitare che la parola “pace” resti un ideale astratto, il Papa chiede di contrastare gli atteggiamenti fatalistici e di sostenere iniziative spirituali, culturali e civili: associazionismo responsabile, partecipazione non violenta, pratiche di giustizia riparativa, in piccolo e in grande.
Il messaggio si chiude con un orizzonte che Leone XIV legge dentro il tempo ecclesiale: il Giubileo della Speranza come occasione per avviare “in sé stessi” un disarmo del cuore, della mente e della vita, affidando il futuro a una promessa biblica che diventa impegno storico.
Il testo consegna così al 2026 una traiettoria nitida: una pace che nasce dall’incontro con Cristo e diventa criterio di coscienza, cultura e responsabilità pubblica. E a chi liquida Leone XIV come una voce poco autorevole o politicamente esitante, il Messaggio risponde con i fatti: l’efficacia di un Pontefice non si misura dal volume mediatico, ma dalla precisione con cui incide nel dibattito. Leone XIV sceglie un registro sobrio, parla poco, ma parla in modo chiaro, coerente e strutturato; non rincorre l’attualità a colpi di dichiarazioni, ma costruisce un orientamento. Non alza i toni: con il suo stile e con parole misurate richiama il mondo ad abbassare le armi, non soltanto quelle militari, ma anche quelle della lingua.
d.B.N.
Silere non possum