Città del Vaticano - Il 25 aprile 2025, il Dicastero per il Dialogo Interreligioso avrebbe dovuto rendere pubblico un messaggio indirizzato ai fedeli buddisti in occasione della festa del Vesak, intitolato “Buddisti e cristiani in dialogo di liberazione per il nostro tempo”. Il testo, firmato dall’allora prefetto George Jacob Koovakad, era stato preparato prima della morte di Papa Francesco, avvenuta il 21 aprile. Come prevede la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, con la sede vacante tutti i capi dicastero decadono, e il documento non è stato mai pubblicato ufficialmente. Oggi Silere non possum è in grado di renderlo pubblico in esclusiva.

Il contenuto del messaggio, a una lettura attenta, solleva interrogativi profondi sulla direzione presa da parte di alcuni ambienti della Chiesa Cattolica in materia di dialogo interreligioso. Il testo infatti propone una visione sincretistica del rapporto tra cristiani e buddisti, arrivando a suggerire una “liberazione comune” che pare quasi fondarsi su un cammino condiviso di ascesi, compassione e meditazione, come se questi potessero condurre alla stessa mèta ultima dell’uomo. Ma la verità rivelata non si negozia: come ha ricordato il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium (n. 14), “non potrebbero salvarsi coloro che, pur conoscendo che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, tuttavia non vi entrano o in essa non perseverano”. La tradizione della Chiesa è chiara e limpida: extra Ecclesiam nulla salus – fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.

Il documento omette ogni richiamo alla centralità di Cristo come unico salvatore del genere umano (cfr. Atti 4,12), preferendo invece un linguaggio vago e aperto che strizza l’occhio a filosofie religiose che, per quanto spiritualmente articolate, non possono essere poste sullo stesso piano della Rivelazione cristiana. Il buddismo – oggi diventato una moda intellettuale anche in ambiti ecclesiali – non conduce alla salvezza. 

Ciò che inquieta ancor di più è il fatto che questa visione trova oggi accoglienza anche in ambienti che dovrebbero custodire con rigore la tradizione monastica cristiana. È il caso, emblematico, del monastero di Camaldoli, dove da anni si è aperta la porta a pratiche ispirate al buddismo zen e ad altre filosofie orientali. Il monachesimo, che ha donato alla Chiesa secoli di santità, studio e meditazione della Parola (la lectio divina), oggi pare voler rinunciare alla sua identità per abbracciare esperienze che non portano alla salvezza. Non possiamo restare in silenzio. Il rispetto per le religioni non deve mai degenerare in relativismo dottrinale. Il dialogo non può diventare un pretesto per tacere la verità su Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. Il mondo ha bisogno della luce del Vangelo, non di surrogati spirituali. Il testo che oggi pubblichiamo è una testimonianza di quanto urgente sia un rinnovamento della Curia che non abbia paura di proclamare ciò che è eterno, certo, salvifico: la Chiesa è il Corpo di Cristo, e solo in essa si riceve la vita eterna.

p.J.L.
Silere non possum