Diocesi di Milano

Milano - L’Arcivescovo Mario Delpini ha presieduto alle 17.30 il Pontificale nella solennità di San Carlo Borromeo, compatrono dell’Arcidiocesi. Al termine, è sceso nello Scurolo per guidare un momento di preghiera con il clero davanti alle reliquie del Santo. La liturgia ambrosiana ha offerto la cornice biblica del messaggio: vivere «in maniera degna della chiamata» ricevuta.

Una parola chiave: serietà

Il filo rosso dell’omelia pronunciata da Delpini è una virtù sobria e impegnativa: serietà. Non posa da galateo ecclesiastico, né estetica delle buone maniere; è il coraggio di lasciare che la vita sia “sottoposta al giudizio della Parola” e che il Crocifisso orienti scelte e priorità. «San Carlo è stato una persona seria: lo sguardo fisso al Crocifisso ha segnato la sua vita nella sequela del Buon Pastore» - ha richiamato l’Arcivescovo.

L’unità come esame di coscienza

San Paolo non propone un semplice bon ton ecclesiale: umiltà, dolcezza, magnanimità e il “vincolo della pace” non sono formule di cortesia, ma la grammatica concreta della comunione. Con il suo consueto stile diretto e pastorale, che invita a tradurre il Vangelo nella vita di ogni giorno, l’Arcivescovo Delpini ha trasformato l’esortazione in un esame di coscienza: perché, vescovi, preti, consacrati e laici, talvolta seminiamo amarezza e divisione, celando dietro le buone maniere la povertà dei sentimenti?Perché promettiamo di pregare con la Chiesa e per la Chiesa senza perseverare nella preghiera? L’omelia ha insistito sulla sincerità: solo chi si lascia ferire dalla verità e dal pentimento può servire davvero l’unità dello Spirito.

La parola che edifica (e quella che corrode)

Ogni ministero è responsabilità della parola: dire la verità non come clava, ma come annuncio che costruisce. L’Arcivescovo ha messo in guardia dalla retorica sterile e dalle mormorazioni che “diffondono malumore e scoraggiamento”: se la parola diventa corrosiva, come potrà essere edificato il corpo di Cristo? L’orizzonte resta quello dettato da San Paolo: arrivare tutti all’unità della fede, fino alla misura della pienezza di Cristo.

Sobrietà, risorse, pace: il realismo di San Carlo

La serietà evangelica tocca anche il portafoglio: San Carlo, principe e pastore, arrivò a spogliare la propria casa per gli indigenti. Nel suo nome, il Vescovo ha richiamato una sobrietà che trovi vie di solidarietà e contrasti lo sperpero, scandalo che si consuma “mentre i poveri stanno a guardare”. Di fronte alla guerra, non basta deplorare: serve un’economia ispirata da umanesimo, non dall’avidità.

Riforma del clero: partire da sé

San Carlo sapeva che la riforma della Chiesa passa dal clero riformato. Per questo l’appello finale è rivolto anzitutto ai ministri: sinceri nella carità, edificanti nella comunicazione, sobri e solidali nell’uso delle risorse. È la consegna del Patrono alla sua Chiesa, oggi come ieri.

Il silenzio orante accanto al corpo del Santo ha sigillato la celebrazione: una discesa non solo fisica, ma spirituale, alle radici dell’episcopato ambrosiano. Qui, la serietà invocata dall’omelia si traduce in preghiera condivisa e in una promessa: custodire l’unità dello Spirito nel vincolo della pace, con il passo concreto della sobrietà e il tono umile della verità che edifica.

d.L.V.
Silere non possum