Diocesi di Milano

«La direzione dello sguardo dice la qualità e la direzione di una vita, di una libertà. C’è lo sguardo superficiale, quello della curiosità: guarda dappertutto, percorre volentieri le vie su cui si affacciano infinite vetrine. Quale direzione segue lo sguardo della curiosità? Non va da nessuna parte: passa e ripassa per le stesse strade a guardare e commentare le vetrine. Va in tutte le parti: vuole visitare e fotografare tutto, ma non abita da nessuna parte. Lo sguardo curioso si posa frettoloso persino nelle chiese e nelle devozioni: non prega mai, e custodisce la memoria di tante visite come una collezione di fotografie per esibire il suo girovagare. Lo sguardo curioso vede sfilare le persone, commenta le apparenze: non può vivere nessuna amicizia, perché riduce le persone a oggetti di curiosità». Con queste parole S.E.R. Mons. Mario Enrico Delpini ha iniziato l'omelia durante la Santa Messa nella Notte Santa celebrata nel Duomo di Milano il 24 dicembre 2024. 

«C’è lo sguardo avido 
- ha osservato l'Arcivescovo - si rivolge a cose, persone, ruoli. Quale direzione segue lo sguardo avido? Insegue gli oggetti, i ruoli e le persone che vuole possedere, comperare, godere e presume di essere padrone di ciò che possiede, fosse pure l’amico o la moglie o il marito. Presume di essere padrone e in verità diventa schiavo della sua avidità, irragionevole e pericolosa per gli altri e anche per lui». Infine, «c’è lo sguardo sospettoso, spaventato: si guarda intorno e dappertutto vede nemici e pericoli, minacce e insidie. Quale direzione segue lo sguardo sospettoso? Sta fermo, si chiude in casa, cerca come sicurezza la solitudine» ha osservato Mons. Delpini. 

A queste malattie insite nell'uomo, l'Arcivescovo offre una soluzione: avere uno sguardo contemplativo. «La testimonianza del discepolo amato è l’annuncio di questa notte che ci chiama a ricevere la grazia di questo Natale: il Verbo fatto carne è la luce che apre gli occhi, è la voce che invita all’amicizia, è la bellezza che apre l’animo allo stupore. Così sarà il nostro contemplare la gloria del Figlio unigenito pieno di grazia e di verità ci renderà disponibili alla sequela, docili alla conformazione, pellegrini di speranza» ha detto. 

Omelia di S.E.R. Mons. Mario Enrico Delpini

1. Dove guardi, fratello; dove guardi sorella?

La direzione dello sguardo dice la qualità e la direzione di una vita, di una libertà.

C’è lo sguardo superficiale, quello della curiosità: guarda dappertutto, percorre volentieri le vie su cui si affacciano infinite vetrine. Quale direzione segue lo sguardo della curiosità? Non va da nessuna parte: passa e ripassa per le stesse strade a guardare e commentare le vetrine. Va in tutte le parti: vuole visitare e fotografare tutto, ma non abita da nessuna parte. Lo sguardo curioso si posa frettoloso persino nelle chiese e nelle devozioni: non prega mai, e custodisce la memoria di tante visite come una collezione di fotografie per esibire il suo girovagare. Lo sguardo curioso vede sfilare le persone, commenta le apparenze: non può vivere nessuna amicizia, perché riduce le persone a oggetti di curiosità.

C’è lo sguardo avido: si rivolge a cose, persone, ruoli. Quale direzione segue lo sguardo avido? Insegue gli oggetti, i ruoli e le persone che vuole possedere, comperare, godere e presume di essere padrone di ciò che possiede, fosse pure l’amico o la moglie o il marito. Presume di essere padrone e in verità diventa schiavo della sua avidità, irragionevole e pericolosa per gli altri e anche per lui.

C’è lo sguardo sospettoso, spaventato: si guarda intorno e dappertutto vede nemici e pericoli, minacce e insidie. Quale direzione segue lo sguardo sospettoso? Sta fermo, si chiude in casa, cerca come sicurezza la solitudine.

Dove guardi, fratello? Dove guardi sorella?

2. Il discepolo amato contempla la gloria del Verbo incarnato.

Il discepolo amato è testimone dello sguardo che contempla la gloria dell’Unigenito.
Dove va il discepolo amato che contempla la gloria del Verbo incarnato? Lo sguardo che contempla la pienezza di grazia e di verità orienta la vita perché diventi seguire Gesù, tenere fisso lo sguardo su Gesù.
Che possiamo dire di questo sguardo?

- Possiamo dire che è possibile solo perché c’è Natale, cioè perché il Verbo si è fatto carne, presenza nella storia, è attrattiva affascinante, è scoperta piena di stupore. Quelli che hanno preteso di trovare Dio esplorando i cieli, quelli che hanno preteso si cercare l’anima con l’anatomia del corpo, quelli che hanno preteso di cercare il senso nel rigore dei ragionamenti sono diventati quelli che negano di aver trovato, quelli che accumulano esperienze per giungere alla conclusione che non si capisce niente, che non c’è nessun senso. “Io sono agnostico” sembra la professione di fede più aggiornata e seria. Il discepolo invece vive il Natale, il farsi uomo del figlio di Dio, la parola che rivela la verità di Dio, la verità dell’uomo e il senso del tutto. Lo sguardo che contempla è frutto del Natale.

- Dello sguardo contemplativo possiamo dire che accoglie la promessa di Dio, la vocazione con cui Dio chiama tutti a essere nella luce, a essere figli di Dio. Lo sguardo che contempla rimane incantato, alimenta lo stupore, si sente trafiggere da una commozione: perciò ama il silenzio e ama cantare, innalza le sue lodi e vive della trepidazione di chi è chiamato a una gioia troppo grande, a una vita troppo bella e riconosce di essere una creatura troppo piccola, un niente troppo indegno.

- Dello sguardo che contempla possiamo dire che convince alla sequela, decide di vivere obbedendo a una attrattiva, e desidera il compimento della promessa. Perciò il discepolo diventa pellegrino di speranza, secondo la immagine proposta da Papa Francesco per l’anno santo, il Giubileo 2025. Pellegrino, cioè non visitatore distratto; pellegrino, non avido conquistatore; pellegrino, non spaventato rinunciatario. Pellegrino della speranza, perché ha visto la gloria del Figlio e ha ascoltato la vocazione a diventare figlio nel Figlio.

- Dello sguardo che contempla possiamo dire che rende il discepolo conforme al Figlio. È uno sguardo che non si pone come un osservatore di fronte a un oggetto, ma come un legno che entra nel fuoco, un’acqua insipida che si mescola con il dolcissimo vino che inebria il cuore delle creature.

- Dello sguardo che contempla possiamo dire che è la grazia che apre gli occhi ai ciechi. Il contemplare di cui parla il discepolo amato non è frutto di una capacità che alcuni hanno e altri non hanno. È piuttosto una luce che rende luce, una mano amica che prende per mano, un amore che rende capace di amare.

La testimonianza del discepolo amato è l’annuncio di questa notte che ci chiama a ricevere la grazia di questo Natale: il Verbo fatto carne è la luce che apre gli occhi, è la voce che invita all’amicizia, è la bellezza che apre l’animo allo stupore. Così sarà il nostro contemplare la gloria del Figlio unigenito pieno di grazia e di verità ci renderà disponibili alla sequela, docili alla conformazione, pellegrini di speranza.

+ Mario Delpini