Brescia - C’è chi lo definisce un luogo di grazia, chi invece – con crescente disagio – parla di un santuario trasformato in enclave. A Montichiari, nel cuore della diocesi di Brescia, il Santuario Rosa Mistica-Madre della Chiesa, sorto sul luogo delle presunte apparizioni mariane del 1947, è oggi al centro di un’inquietudine che non può più essere ignorata.
Da mesi, i residenti delle zone limitrofe lamentano un inquinamento acustico costante: canti, rosari e preghiere diffusi a volume “troppo elevato” nei campi circostanti, ben oltre i confini dell’area sacra. «Non siamo contrari alla fede», spiega un abitante, «ma questa è anche una zona residenziale e tutti vorremmo vivere seranemente». Il disagio, però, è solo il sintomo di un malessere più profondo, che non riguarda solo l’ordine pubblico, ma la vita ecclesiale stessa del santuario.
Sono diversi i sacerdoti bresciani che, seppur con timore, storcono il naso di fronte alla gestione del Santuario delle Fontanelle. C’è chi parla apertamente di scarsa trasparenza, chi di un interesse eccessivo per il denaro, e chi – più diplomaticamente – si limita a notare che “il fervore spirituale sembra coincidere con quello economico”. È proprio per questo che, già mesi fa, Silere non possum aveva dato notizia delle dinamiche interne alla Fondazione Rosa Mistica – Fontanelle e delle nomine del Consiglio di Amministrazione, che hanno consolidato nelle mani di pochi il controllo di un patrimonio rilevante. Anche fra le sacre mura la vicenda non è passata inosservata. Secondo quanto riferiscono alcuni chierici nel Palazzo del Sant’Uffizio, l’interesse del cardinale prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede nei confronti della devozione a Maria Rosa Mistica sarebbe nato per ragioni personali: la diffusione del culto in Argentina, Paese d’origine del porporato, avrebbe infatti destato in lui una particolare sensibilità.
Tuttavia, a Brescia, fonti interne alla Curia precisano che tutta la documentazione trasmessa a Roma — compresa una lettera riservata del vescovo Tremolada nella quale venivano evidenziati “molti aspetti positivi” e “pochi e irrilevanti elementi critici” al fine di orientare il giudizio del Dicastero — è stata materialmente redatta da don Marco Alba, rettore del Santuario e figura di riferimento dell’area di Comunione e Liberazione. A lui si deve anche la stesura del testo della nota ufficiale concordata con il Dicastero e del decreto di approvazione poi firmato da S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada. In altre parole, “il principale interessato all’approvazione è stato anche l’autore dei documenti che ne hanno determinato l’esito”, spiegano.
È lo stesso don Marco Alba – oggi membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione – ad aver seguito passo dopo passo la procedura che ha condotto al Nihil obstat della Santa Sede, ottenendo così un riconoscimento che consolida ulteriormente la sua influenza all’interno del complesso intreccio istituzionale e gestionale delle Fontanelle. Non meno significativo è il fatto che, all’interno della stessa Fondazione, sia stato nominato revisore dei conti il sig. Fabrizio Spassini, figura laicale ricorrente in numerosi organi e organismi diocesani. La sua presenza costante, sottolineano più voci, non appare né fruttuosa né opportuna.
«Ancora una volta – osserva una laica di lunga esperienza, da anni al servizio della diocesi – il controllo viene affidato sempre alle stesse persone: individui senza competenze specifiche ma con le giuste sponsorizzazioni e i contatti adeguati. Se dieci realtà ecclesiali vedono coinvolta sempre la stessa persona, c’è un problema di sistema. Il giorno in cui quella figura dovesse diventare un problema, non sarebbe a rischio un solo ente, ma ben dieci».
Un rilievo che, al di là dei nomi, mette in discussione l’intero modello di gestione, fondato su fiduciarie di cerchia più che su criteri di trasparenza e competenza.
La fondazione Fontanelle
Come precisato nei documenti ufficiali, la Fondazione – costituita nel 2014 e civilmente riconosciuta come ente ecclesiastico – ha il compito di amministrare un patrimonio mobiliare e immobiliare ingente, frutto di decenni di offerte e lasciti legati alla devozione mariana delle Fontanelle.
Ufficialmente, la Fondazione ha il compito di «collaborare con i sacerdoti incaricati del culto» e di «vigilare affinché le manifestazioni di devozione si svolgano in autentico spirito di preghiera, sacrificio e penitenza». Tuttavia, dietro queste formule apparentemente edificanti si nascondono interessi ben più concreti — tra cui, non da ultimo, quello legato alla costruzione di un nuovo santuario, progetto che è divenuto sempre più realistico dopo l’intervento provenuto da Roma.
Le Missionarie Francescane di Maria Immacolata: una comunità sotto osservazione
Un ulteriore elemento critico, legato al santuario, riguarda la presenza di alcune “donne con l’abito”. Dal 2022 operano infatti presso il santuario le Missionarie Francescane di Maria Immacolata, un’associazione privata di fedeli eretta ad experimentum dal vescovo Pierantonio Tremolada. Si tratta di un gruppo di giovani donne — non religiose in senso canonico — guidate da una “superiora” anch’essa molto giovane. Oggi vivono nel convento di Rezzato, già dimora dei frati, dove conducono vita comunitaria. Dietro la loro apparente fervente dedizione emergono però criticità sempre più inquietanti, come confermano alcune testimonianze raccolte da Silere non possum.
Alcuni familiari raccontano di “gravi difficoltà nel mantenere contatti con le proprie figlie, giovani donne che da tempo non possono comunicare liberamente con l’esterno”. Le richieste di chiarimento indirizzate al vescovo Pierantonio Tremolada e al vicario per la Vita Consacrata, don Giovanni Palamini, non hanno ottenuto risposte chiare né rassicuranti, alimentando così un clima di crescente preoccupazione.
Si parla di un clima chiuso, di una spiritualità rigida e di pratiche comunitarie che richiamano vecchie derive già note nella Chiesa Cattolica: quelle delle Suore Francescane dell’Immacolata, poi commissariate per disfunzioni gravi nella vita interna, per un’obbedienza trasformata in sottomissione e per deviazioni dottrinali.

Una “visita” che non chiarisce
A Piazza Pio XII, un religioso ha riferito che è stata condotta, nei mesi scorsi, una visita presso la comunità delle Missionarie Francescane di Maria Immacolata. A Silere non possum è stata consegnata copia di questo documento. Il problema, tuttavia, è che il visitatore è persona vicina al rettore del Santuario, don Marco Alba, e che l’intervento si è risolto in una “visita-lampo”, priva di qualsiasi reale approfondimento sulle dinamiche interne che, da tempo, destano preoccupazione. Secondo quanto emerge, l’obiettivo non sarebbe stato quello di accertare la verità, ma semplicemente di ottenere un documento formale, utile a “mettere tutto a posto” e proteggere la diocesi da eventuali contestazioni future. Il risultato è stato infatti un nulla di fatto: una relazione che non chiarisce nulla, ma che suona come una rassicurazione di rito.
Il solito copione clericale: “qualche criticità c’è, ma verrà sistemata; per il resto, tutto bene”. Nel frattempo, le cosiddette “religiose” vivono in una condizione di isolamento sempre più evidente: i rapporti con il parroco e la comunità parrocchiale in cui sorge il loro convento sono pressoché inesistenti, e nessun reale legame ecclesiale sembra essere mantenuto con le altre realtà del territorio. L’unica collaborazione attiva rimane quella con il Santuario delle Fontanelle, da cui tutto dipende e a cui tutto sembra ricondursi. Il risultato è una normalità solo apparente, una facciata devota che non riesce a nascondere le questioni più gravi: perché alcune giovani donne non possono mantenere contatti liberi e regolari con le loro famiglie? E soprattutto, perché la diocesi non ha disposto una vera supervisione, affidata a persone competenti e indipendenti, capace di garantire trasparenza e tutela?
Padre Dysmas de Lassus, nel suo volume Rischi e derive della vita religiosa, lo spiega con chiarezza: quando una comunità impone isolamento, controlla la comunicazione, interpreta la povertà come dipendenza e la preghiera come strumento di dominio, si è già oltre il confine della salute spirituale.
Una spiritualità di facciata
Nel santuario e nel monastero si prega, si canta, si parla di “servizio umile”, ma la domanda resta: quale idea di Chiesa sta crescendo qui? È troppo facile confondere la preghiera con la santità, l’obbedienza con la paura, la povertà con la negazione della libertà personale. E se, come dichiarato dalla stessa “superiora” al giornale La Voce del Popolo, la comunità è composta da «donne provenienti da esperienze comunitarie difficili» e vuole essere un refugium peccatorum, allora la diocesi dovrebbe chiedersi se non si stia favorendo la fragilità invece che guarirla. Perché la vita consacrata non nasce per chiudere, ma per liberare. E nessuna devozione mariana può giustificare forme di controllo psicologico o di isolamento affettivo.
Un silenzio che fa rumore
Il vescovo Pierantonio Tremolada e i suoi collaboratori, per ora, mantengono il silenzio. Nel Consiglio Episcopale stanno discutendo la redistribuzione degli incarichi, e presto dovrebbero essere comunicate alcune novità. Tuttavia, in questo contesto, il silenzio non può essere scambiato per prudenza: è, piuttosto, una forma di complicità con l’ambiguità.
Non si può, da un lato, invocare Maria come “Madre della Chiesa”, e dall’altro restare indifferenti davanti a figli che chiedono aiuto: i familiari di queste giovani donne e i fedeli che vivono attorno al Santuario delle Fontanelle, sempre più smarriti di fronte a una realtà che sembra sfuggire a ogni controllo. Le istituzioni ecclesiastiche hanno il dovere di verificare con rigore e trasparenza, non di coprire con un linguaggio pietoso ciò che rischia di degenerare in nuove forme di abuso spirituale. La storia del Santuario Rosa Mistica, già segnata da discussioni in merito alle apparizioni e da decenni di controversie, non merita di essere nuovamente travolta da un’inquietudine ecclesiale che avrebbe potuto – e dovuto – essere prevenuta.
Serve un intervento di verità
C’è chi invoca un intervento immediato da parte dei Dicasteri competenti, perché venga finalmente fatta luce su quanto accade alle Fontanelle e nel convento di Rezzato. Il vescovo Pierantonio Tremolada, ancora una volta, sembra non voler esercitare quella fermezza che dovrebbe contraddistinguere un ordinario diocesano. Nel frattempo, in Vaticano non si esitano a disporre provvedimenti anche duri contro monasteri fiorenti in Austria o in altre parti del mondo — comunità che, semplicemente, non hanno “santi in paradiso”. Ma quando si tratta di affrontare situazioni problematiche, si procede con estrema cautela, per non rischiare di infastidire qualche amico. Ecco la giustizia canonica che taluni si vantano di amministrare.
p.M.I. e s.R.A.
Silere non possum