Giovedì 24 ottobre 2024 il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza il Collegio dei Penitenzieri Vaticani.

Nel 1569 papa Pio V costituì tre Collegi di penitenzieri con il compito di assicurare - nelle basiliche di San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore - un'adeguata celebrazione del sacramento della riconciliazione. Affidò allora quel compito, rispettivamente, ai gesuiti in San Pietro, ai frati minori osservanti in San Giovanni in Laterano, ai domenicani in Santa Maria Maggiore. Nel 1933 Pio XI costituì un quarto Collegio per la basilica di San Paolo fuori le Mura affidandolo ai benedettini. Fu Papa Gregorio IX a chiamare i Frati Minori presso la curia papale in San Giovanni in Laterano. Papa Clemente XIV, il quale apparteneva ai frati minori conventuali, decise di affidare ai suoi confratelli il ministero della penitenza nella Basilica di San Pietro, dopo la soppressione dei gesuiti che da due secoli offrivano questo servizio nella Basilica. I religiosi iniziarono il loro ministero di penitenzieri il 17 agosto 1773. La formulazione giuridica dell'affidamento si concretizzò il 10 agosto 1774 con il Motu proprio Miserator Dominus che li costituiva penitenzieri vaticani in perpetuo. Come abitazione dei penitenzieri il Papa assegnò lo stesso palazzo Della Rovere-Pallotta, in piazza Scossacavalli, rimasto libero per la soppressione dei gesuiti. Nel 1948, per ordine di Pio XII, il Collegio fu trasferito dalla vecchia residenza in via della Conciliazione al Palazzo del Tribunale, nella Città del Vaticano. 

Cari fratelli e sorelle, Eminenza, buongiorno!

Saluto Padre Vincenzo Cosatti e tutti voi. Sono contento di incontrarvi in occasione del 250° anniversario dell’affidamento ai Frati Minori Conventuali del ministero delle Confessioni nella Basilica di San Pietro (cfr Clemente XIV, Motu proprio Miserator Dominus, 10 agosto 1774). Lo ha fatto Clemente XIV, forse una delle cose buone che ha fatto. Ma, poveretto, le altre le ha fatte per ispirazione di questo frate vostro, Bontempi, che credo sia ancora all’inferno [ridono], ma non sono sicuro. Quando è morto Clemente XIV, Bontempi se n’è andato a rifugiarsi all’Ambasciata di Spagna, perché aveva paura. Passati alcuni mesi, quando c’era la pace, è andato dal Generale e gli ha detto: “Padre Generale, io porto tre Bolle qui. [In cambio chiedo] primo, che io possa avere denaro – francescano! –; secondo, che possa vivere fuori dalla comunità; e terzo, che possa viaggiare dove voglio”. E il Generale, un saggio conventuale, prese le Bolle: “Ma caro ne manca una” – “Quale, Padre?”. “Quella che assicuri la salvezza della tua anima!”. Questo è storico, perché lui aveva ingannato Papa Ganganelli con tutte queste cose. Bontempi era un furbone!

Ogni giorno la Basilica di San Pietro è visitata da più di quarantamila persone, ogni giorno! Molte arrivano da lontano e affrontano viaggi, spese e lunghe code per potervi giungere; altri vengono per turismo, la maggioranza. Ma tra loro tantissimi vengono a pregare sulla tomba del Primo degli Apostoli, per confermare la loro fede e la loro comunione con la Chiesa e affidare al Signore intenzioni care, o per sciogliere voti che hanno fatto. Altri, anche di fedi diverse, vi entrano “da turisti”, attratti dalla bellezza, dalla storia, dal fascino dell’arte. Ma in tutti c’è, consapevole o inconsapevole, un’unica grande ricerca: la ricerca di Dio, Bellezza e Bontà eterna, il cui desiderio vive e pulsa in ogni cuore d’uomo e di donna che vive in questo mondo. Il desiderio di Dio.

E la vostra presenza in tale contesto è importante. Per i fedeli e i pellegrini, perché permette loro di incontrare il Signore della misericordia nel Sacramento della Riconciliazione. Carissimi, perdonare tutto, tutto, tutto. Fatelo sempre: perdonare tutto! Noi siamo per perdonare, qualcun altro sarà per litigare! E per tutti gli altri, perché testimonia loro che la Chiesa li accoglie prima di tutto come comunità di salvati, di perdonati, che credono, sperano e amano nella luce e con la forza della tenerezza di Dio. Fermiamoci perciò un momento a riflettere sul ministero che svolgete, sottolineandone tre aspetti particolari: l’umiltà, l’ascolto e la misericordia.

Primo: l’umiltà. Ce la insegna l’Apostolo Pietro, discepolo perdonato, che arriva a versare il suo sangue nel martirio solo dopo aver pianto umilmente per i propri peccati (Lc 22,56-62). Egli ci ricorda che ogni Apostolo – e ogni Penitenziere – porta il tesoro di grazia che dispensa in un vaso di creta, «affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7). Perciò, cari fratelli, per essere buoni confessori, facciamoci «noi per primi penitenti in cerca di perdono» (Bolla Misericordiae Vultus, 17), diffondendo sotto le volte imponenti della Basilica Vaticana il profumo di una preghiera umile, che implora e impetra pietà.

Secondo: l’ascolto, per tutti, e specialmente per i giovani e per i piccoli. È la testimonianza di Pietro pastore, che cammina in mezzo al suo gregge e che cresce nell’ascolto dello Spirito attraverso la voce dei fratelli (At 10,34-48). Ascoltare non è infatti solo stare a sentire ciò che le persone dicono, ma prima di tutto accogliere le loro parole come dono di Dio per la propria conversione, docilmente, come argilla nelle mani del vasaio (cfr Is 64,7). Ci farà bene, in proposito, non dimenticare mai che «Ascoltando davvero il fratello nel colloquio sacramentale, noi ascoltiamo Gesù stesso, povero ed umile […] diventiamo uditori della Parola» (Discorso ai partecipanti al Corso sul Foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, 9 marzo 2018), e che solo così possiamo sperare di offrirgli il servizio più grande: quello di metterlo «in contatto con Gesù» (ivi). Ascoltare, non tanto domandare; non fare lo psichiatra, per favore: ascoltare, ascoltare sempre, con mitezza. E quando vedi che c’è un penitente che comincia ad avere un po’ di difficoltà, perché si vergogna, dire “ho capito”; non ho capito nulla, ma ho capito; Dio ha capito e quello è importante. Questo me lo ha insegnato un grande Cardinale penitenziere: “Ho capito”, il Signore ha capito. Ma per favore non fare lo psichiatra, quanto meno parli meglio è: ascolta, consola e perdona. Tu stai lì per perdonare!

Infine, terzo: la misericordia. Come dispensatori del perdono di Dio, è importante essere “uomini di misericordia”, uomini solari, generosi, pronti a comprendere e a consolare, nelle parole e negli atteggiamenti. Anche qui Pietro ci è di esempio, con i suoi discorsi intrisi di perdono (cfr At 3,12-20). Il confessore – vaso di argilla, come abbiamo detto – ha un’unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli: la misericordia di Dio. Quei tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione. Il confessore deve essere vicino, misericordioso e compassionevole. Quando un confessore comincia a chiedere… No, stai facendo lo psichiatra, fermati, per favore. Questo lo insegnava San Leopoldo Mandić, che amava ripetere: «Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono già abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?»; e aggiungeva: «E se il Signore mi rimproverasse di troppa larghezza potrei dirgli: “Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”» (cfr Lorenzo da Fara, Leopoldo Mandic. L’umanità, la santità, Velar, 1989). Ci dia il Signore la grazia di poter ripetere le stesse parole!

Alcune volte ho raccontato la storia di quel Cappuccino che è confessore a Buenos Aires – non so se a voi l’ho raccontata –, l’ho fatto Cardinale non questa volta, l’altra. Ha 96 anni e continua a confessare; io andavo da lui, perdona tutto! Una volta è venuto a dirmi che aveva paura di perdonare troppo. “E cosa fai?”, gli ho detto io. “Vado davanti al Signore: Signore mi perdoni? Scusami, ho perdonato troppo! Ma stai attento che sei stato Tu a darmi il cattivo esempio!”. Sempre perdonare, tutto e senza domandare tante cose. E se non capisco? Dio capisce, tu vai avanti! Che sentano la misericordia.

Cari fratelli, grazie per il vostro servizio, per la vostra assiduità e pazienza, per la vostra fedeltà! È morto il mio confessore alcuni mesi fa, vado a confessarmi da voi, a San Pietro. Fate bene! Grazie per essere, nel cuore della Chiesa, ministri della presenza sacramentale di Dio-amore. Continuate così il vostro ministero: nell’umiltà – io sono peggio di te –; nell’ascolto, e non tanto nelle domande; e nella misericordia.

Mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. E ogni volta che verrò da voi, perdonarmi, si capisce.