The Archbishop of Perugia-Città della Pieve, Ivan Maffeis, writes his first pastoral letter

La prima lettera pastorale dell’arcivescovo Ivan Maffeis alla Chiesa di Perugia-Città della Pieve porta con sé un carico di ideologia che abita, purtroppo, numerosi vescovi. Nel testo, il primo che Maffeis scrive da vescovo, si parla di laici, diaconi permanenti ma si dimentica il clero. L’esperienza in CEI, a quanto pare, non ha aiutato il sacerdote trentino.

“Ha il suo peso pure la gestione delle strutture, che perlopiù rimane ancora un’incombenza del solo sacerdote. Ne soffrono la qualità della sua presenza tra la gente, il suo servizio di guida spirituale e pastorale, la sua possibilità di curare le relazioni”, scrive Maffeis. Probabilmente nessuno ha spiegato all’ex parroco di Rovereto che i laici non possono occuparsi della gestione delle nostre strutture per un motivo molto semplice: non gliene frega nulla. Difatti, nella gestione del denaro e delle strutture, stiamo vedendo con i nostri occhi quanto è deleterio il racconto, falso e ideologico, fatto in tutti questi anni. 

“La Chiesa è la casa di tutti”, “la parrocchia è di tutti”, “tutti sono responsabili della parrocchia”, ecc… La realtà è ben diversa. Le aule del catechismo vengono lasciate sporche, in disordine. Essendo di tutti, non dimentichiamo che lo spirito italiano abita anche le nostre parrocchie, alla fine non sono di nessuno. Chi pulisce? Chi mette in ordine? Il parroco. I bagni vengono lasciati sporchi. Chi pulisce? Il parroco. La realtà è che alla fine della giornata il laico prende la sua borsa e torna a casa. La sua casa. Della chiesa non gli interessa nulla e a vivere dentro queste mura restiamo solo e soltanto noi. La gente è abituata a venire in chiesa per usufruire di alcuni servizi, quando siamo fortunati per pregare, e poi torna a casa propria. Se ci sono dei beni da amministrare, quelli vanno fatti amministrare da chi ha a cuore il bene della comunità, non certo da chi non ha il “senso della comunità” e pensa alla propria famiglia. Del resto, se in passato abbiamo scelto di chiedere ai preti di non sposarsi, il motivo è solo ed esclusivamente questo. Una questione pratica, economica.

Se l'amministrazione della parrocchia porta via certamente del tempo, ciò non significa che non sia un compito che bisogna lasciare al sacerdote. In questi anni abbiamo giocato a parlare di laici e i risultati li abbiamo visti. La ricerca del potere è all'ordine del giorno ma le mansioni più umili (aprire la chiesa, chiuderla, pulire e sistemare) nessuno le vuole esercitare. È chiaro, quindi, che il castello cade e il mantra del sacerdozio come servizio viene meno. I sacerdoti devono essere servi umili, i laici, invece, no. Bella storia.

Le funzioni della Curia

Se si vuole ridurre il carico amministrativo in carico al sacerdote, una soluzione è quella di inserire nella curia diocesana degli uffici che funzionino e non siano gestiti da laici (o anche preti, purtroppo) mafiosi. La curia è divenuta, sempre più, un luogo che il parroco frequenta malvolentieri. Un palazzo, appunto, dove chi ci vive sembra non avere il contatto con la realtà. Oggi, peraltro, è gestita dai laici, piuttosto che dai presbiteri. Il risultato è che questi uffici non servono a nulla. Si pensi, ad esempio, ai numerosi episodi in cui i parroci si sono ritrovati problemi economico-legali a causa dei consigli errati di questi avvocati laici che popolano le curie diocesane.

Se la curia fosse un luogo dove il parroco, il quale magari non ha neppure tantissime competenze finanziarie o amministrative, può trovare supporto, tutto questo "tempo" sarebbe dedicato alla pastorale. Se in curia il parroco trovasse dei confratelli, piuttosto che dei laici, che lo aiutino a gestire la parrocchia nell’interesse della comunità locale e non facendo i propri “porci comodi”, ci sarebbero molti meno incombenti per il singolo pastore e la gestione dei beni sarebbe comunque assicurata al vescovo e ai suoi sacerdoti.

Soltanto un amministratore folle affiderebbe i propri beni a delle persone che non hanno a cuore il bene della Chiesa. Noi, oggi, lo stiamo facendo con i laici. A breve ci ritroveremo a dover chiedere il permesso ai laici per poter celebrare la Santa Messa nelle Chiese. Il rischio è enorme. In Svizzera questo avviene già e se il parroco non dice ciò che piace ai laici, viene licenziato e allontanato dalla parrocchia. Chi annuncia il vangelo e le verità di fede, quindi, inizia a fare la fame.

La Chiesa italiana non ha ancora capito che grazie al laicato fra qualche anno verranno meno i sussidi su cui tutti stiamo contando. Abbiamo numerosi sacerdoti anziani che saranno da accudire nei prossimi anni. Se non si escogita un sistema per poter mettere da parte delle risorse, ci sarà da ridere. Mentre Francesco si diverte a parlare di povertà, arriveranno tempi nei quali ci sarà davvero pianto e stridor di denti.

Maffeis guarda in cielo

L'arcivescovo di Perugia-Città della Pieve allarga le braccia e guarda in cielo. Probabilmente in attesa della manna. Nel testo, 25 pagine, non si parla mai di vocazioni sacerdotali o di seminario.

“A più voci le nostre comunità chiedono che i sacerdoti siano liberati dalle attività burocratiche che gravano sull’ “azienda parrocchia”, al fine di consentire loro di porre attenzione anzitutto alla propria vita spirituale, così da essere pastori che riflettono la gioia del Vangelo, disponibili ad ascoltare le persone e a stare tra la gente”, continua Maffeis.

Demonizzare le attività burocratiche è un boomerang. La “propria vita spirituale” il sacerdote la coltiva a prescindere da ciò che riguarda l’attività amministrativa. Ancora una volta questi vescovi non comprendono la differenza fra religioso/monaco e prete secolare. Piuttosto che fare discorsi sterili sarebbe utile che all’interno del seminario, durante il percorso di formazione, si iniziasse ad aiutare i futuri presbiteri a comprendere anche le questioni economico-amministrative. Non possiamo pensare di buttare in parrocchia un giovane appena ordinato senza dargli alcuna nozione in merito a questioni burocratiche. Anche questo significa essere “normali”, ovvero saper pagare una bolletta. È chiaro, poi, che il sacerdote può avvalersi di laici competenti, soprattutto fidati, che lo aiutino nella gestione della parrocchia. Ma in un Paese che è fatto di burocrazia inutile, non si può pensare di demonizzarla in questo modo. Ci sono tantissimi sacerdoti che ogni giorno si occupano di “cose burocratiche” (pratiche amministrative, partecipazione ai bandi, contatti con le pubbliche amministrazioni) ma non lo fanno per piacere o per interesse personale. Lo fanno per poter garantire ai propri fedeli: la luce in chiesa, i fiori, il microfono, il campetto da calcio, il bar dell’oratorio, la festa patronale, ecc… Tutte attività che portano i giovani a vivere la parrocchia, ad incontrare il sacerdote. Di conseguenza nascono vite di fede vissuta, vocazioni al sacerdozio, matrimoniali, ecc…

Se la curia diocesana diventasse una realtà a servizio delle parrocchie, beh questo cambierebbe le carte in tavola. Sarebbero gli uffici ad occuparsi di tutte queste incombenze e il prete avrebbe più tempo per sé, per il Signore e per i propri fedeli. Lì, però, bisogna mettere sacerdoti (non laici) che non sbuffino ad ogni richiesta e siano consapevoli del servizio che fanno alla diocesi. 

I laici e la parrocchia

Anche la proposta che Maffeis fa a termine della lettera pastorale è da inquadrare sia dal punto di vista ecclesiologico sia giuridico. Scrive: "credo sia opportuno costituire sul territorio delle equipe di persone, sapientemente formate e cordialmente legate al Vescovo, che lavorino in sintonia con il sacerdote che le presiede. Se ci muoviamo in questa prospettiva, partendo con qualche sperimentazione, nel giro di qualche anno riusciremo ad assicurare in maniera capillare l’apertura delle chiese e la tutela del loro patrimonio culturale, la promozione di momenti di preghiera e d’ascolto della Parola, l’attenzione alle persone sofferenti o comunque bisognose. Le risorse ci sono: la quarantina di diaconi, a cui si aggiunge un gruppetto di nuovi candidati; le centinaia di catechiste incontrate nelle zone nei mesi scorsi; i ministri della Comunione, i lettori, i sacristi, i volontari dei Centri d’ascolto; gli animatori del mondo giovanile... Altre forze – per altri ambiti e ministeri laicali – si aggiungeranno se accetteremo di aprirci, di chiedere, di far spazio e coinvolgere".

È necessaria prudenza. Se le parrocchie si vivono realmente e non si vive negli uffici della CEI, si apprende con facilità la difficoltà di questa scelta. Nelle nostre chiese ci sono numerosi laici che credono di essere i padroni del mondo. Loro decidono, loro dispongono. Se poi si ha la fortuna di avere i diaconi permanenti, allora si è a cavallo. Una proposta del genere non può trovare spazio in quattro righe al termine di una lettera pastorale. Se si vuole fare una proposta seria bisogna, innanzitutto, catechizzare le persone a cui ci si rivolge.

Siamo pieni di diaconi permanenti che sono convinti di celebrare la Santa Messa e siamo pieni di sagriste che si sentono "parrochesse". Non siamo liberi neppure di spostare una tovaglia da altare perchè altrimenti ti mangiano. Questo significa essere nella realtà. È facile vivere a Santa Marta e sparare a zero sui preti. È facile far finta di vivere nel palazzo povero ma comunque non toccare con mano le singole realtà.

La prima cosa da fare è catechizzare. Spiegare alle persone che il sacerdote è il sacerdote e loro sono chiamati a cooperare. Ed è bene chiarirlo alla luce di questa lettera apostolica. COOPERARE.

Affidare ai laici l'apertura e la chiusura delle chiese è certamente una cosa giusta. Se a farlo è il vescovo, magari farà comprendere loro la serietà di questa richiesta. Può essere. Anche perchè siamo abituati ai laici che vivono la parrocchia a seconda del loro umore. Sei il parroco che gli va a genio? Vengono tutti i giorni e iniziano a molestarti assillandoti. Puoi chiedergli ciò che vuoi e loro obbediscono. Se però, un giorno, non gli vai più a genio perché magari gli fai notare qualche difetto, qualche errore, allora finisce "l'amore per Gesù". In realtà queste persone vivono la loro fede (se così vogliamo chiamarla) con la pancia. Quindi, se gli vai ad affidare un compito (peraltro senza remunerazione), rischi di ritrovarti, da un giorno all'altro, senza chi ti copre quel servizio.

Questo perchè non abbiamo, appunto, chi spiega ai fedeli che in Chiesa si viene per Gesù Cristo e non per le persone. Il mio servizio, così, diviene un servizio al Signore e alla Chiesa tutta e non al singolo prete. Questo vale anche per quelle persone che dicono: "Vado a quella messa perchè il prete è bravo", "non vado più in chiesa perchè il prete è cattivo". Certo, l'incontro con il Signore passa anche attraverso gli uomini ma non possiamo accontentarci che la gente si fermi lì.

Rattrista, quindi, questo approccio. Maffeis, nella sua prima lettera pastorale come vescovo e nella sua prima lettera pastorale alla Chiesa di Perugia-Città della Pieve, non presta alcuna attenzione ai suoi preti. Pur parlando delle enormi difficoltà alle quali stiamo andando incontro per via della mancanza di ordinazioni, non parla della vocazione sacerdotale e non parla della disastrosa situazione del seminario umbro dove lui ha solo 3 seminaristi. Nessun progetto, solo il coinvolgimento dei laici, il quale è diventato, ormai, un vero e proprio feticcio.

F.P.

Silere non possum

Lettera Pastorale