The Ratzinger Prize was conferred at the Vatican by Cardinal Parolin.
“A differenza dei pontificati del suo predecessore e del suo successore – ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin – quello di Benedetto XVI non si presenta come un tempo di eccezionale dinamismo sulla scena politica internazionale e globale, ma piuttosto come un magistero caratterizzato dalla consapevolezza e dalla lettura in profondità della situazione culturale e spirituale del mondo all’inizio di questo millennio”.
Il 1 dicembre 2023, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Ratzinger. A presiedere il momento, in sostituzione del Pontefice, S.E.R. il Sig. Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede.
Si tratta del primo anno in cui questo premio viene assegnato in memoria del pontefice defunto.
La mattina di venerdì, all’interno delle Grotte Vaticane, il Rev.do P. Federico Lombardi, presidente della Fondazione, ha presieduto una Santa Messa in memoria di Benedetto XVI, chiedendo al Signore che lo ricompensi per il suo servizio, ma anche che il suo lascito spirituale e culturale continui a dare frutti preziosi per la Chiesa e per il bene dell’umanità.
All'evento, molto partecipato, erano presenti diversi cardinali e arcivescovi. Assente il segretario del Papa defunto, S.E.R. Mons. Georg Gänswein.
I premiati dell'edizione 2023, il Rev.do Sac. Pablo Blanco Sarto e il Sig. Francesc Torralba, sono stati presentati dagli Em.mi Sig.ri Cardinali Luis Francisco Ladaria, Prefetto emerito del Dicastero per la Dottrina della Fede e Gianfranco Ravasi, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Cultura.
I premiati
Il Rev.do Sac. Pablo Blanco Sarto è nato il 12 luglio 1964 a Saragozza (Spagna). Ha studiato Filologia ispanica presso l’Università di Navarra. A Roma ha terminato gli studi di Teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce, iniziando poi la laurea e il dottorato in Filosofia, sul pensiero di Luigi Pareyson (1918-1991). È stato ordinato presbitero il 21 settembre 1997. Nel 2005 ha concluso il Dottorato in Teologia Dogmatica presso l’Università di Navarra, con uno studio sulla teologia fondamentale e delle religioni di Joseph Ratzinger. Attualmente è professore ordinario all’Università di Navarra nelle aree dell’ecumenismo, della teologia sacramentale e del ministero. Collabora con l’Institut Papst Benedikt XVI. di Ratisbona (Germania), con numerose istituzioni accademiche spagnole e latinoamericane, con diverse case editrici e riviste teologiche e pastorali. Fa parte del comitato di redazione dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger in spagnolo presso la BAC. È autore di numerosi studi e volumi sulla vita, il pensiero e l’opera di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
Il Sig.
Francesc Torralba Roselló è nato a Barcellona il 15 maggio 1967, è sposato e padre di 5 figli. Ha conseguito il dottorato in Filosofia presso l’Università di Barcellona (1992), in Teologia presso la Facoltà di Teologia della Catalogna (1997), in Pedagogia presso l’Università Ramon Llull (2018), in Storia, Archeologia e Arti Cristiane, all’Ateneu Universitari Sant Pacià, Facoltà Antoni Gaudí (2022). Attualmente è professore accreditato presso l’Università Ramon Llull e tiene corsi e seminari in altre università in Spagna e America. Alterna l’attività didattica con l’impegno che dedica a scrivere e divulgare il suo pensiero, orientato all’antropologia filosofica e all’etica. Autore prolifico, ha pubblicato più di 1.800 articoli e oltre 100 libri.
Il discorso del Cardinale Segretario di Stato
Eminenze,
Eccellenze,
Illustri Premiati,
Autorità accademiche,
Signore e Signori,
Amici,
sono veramente lieto di presiedere quest’anno la cerimonia di consegnadei Premi Ratzinger e mi congratulo sinceramente ancora una volta con i due illustri studiosi a cui sono stati assegnati, i professori Pablo Blanco Sarto e Francesc Torralba Roselló. Poco meno di un anno fa, Benedetto XVI terminava il suo lungo cammino terreno. Perciò quest’anno – come è stato già ricordato – la cerimonia della consegna dei Premi intitolati al suo nome assume naturalmente il carattere di un incontro nella sua memoria e nella riflessione sull’eredità che egli ci ha lasciato. Un’eredità viva, da continuare a far fruttificare nel cammino della Chiesa nel nostro tempo, guardando non indietro, ma avanti. In questa prospettiva i discorsi dei due professori, Blanco e Torralba, ci hanno dato contributi e spunti preziosi. Inoltre, le ulteriori iniziative della Fondazione continueranno opportunamente ad essere orientate a questo fine con larghezza di orizzonti culturali ed ecclesiali. Nel medesimo spirito, sia permesso anche a me di aggiungere qualche breve considerazione, certo senza pretendere di ripercorrere la lunga vita e l’opera di Joseph Ratzinger, ma sottolineando con pochi cenni alcuni aspetti caratteristici del suo servizio come Pastore della Chiesa universale, che rimangono e rimarranno ispiratori per tutti noi, e non solo per i fedeli cattolici. A differenza dei pontificati del suo predecessore e del suo successore, quello di Benedetto XVI non si presenta come un tempo di eccezionale dinamismo sulla scena politica internazionale e globale, ma piuttosto come un magistero caratterizzato dalla consapevolezza e dalla lettura in profondità della situazione culturale e spirituale del mondo all’inizio di questo millennio. I segni di mutazione e di crisi nei rapporti fra i popoli, nel rapporto fra l’uomo e la creazione, nella visione della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti, si sono manifestati negli ultimi decenni con crescente evidenza, lasciando prevedere la gravità degli sviluppi che ne seguono e la necessità di un impegno sempre più urgente e deciso per farvi fronte. Urgenza su cui insiste sempre più, con coraggio ed energia, il presente pontificato, come dimostra ad evidenza anche il viaggio che papa Francesco avrebbe dovuto iniziare domani, se ragioni di salute non lo avessero costretto a cancellarlo. Benedetto XVI, portando nel suo servizio di Pastore supremo la ricchezza della riflessione di tutta la sua vita precedente, ha aiutato a comprendere le ragioni profonde dei problemi e a trovare fondamenti solidi su cui appoggiare la ricerca delle soluzioni. Così, la sua enciclica sociale
Caritas in veritate, pubblicata in un tempo di grave crisi economica e sociale, con contraccolpi sul sistema mondiale, pone già chiaramente in luce e interpreta le questioni cruciali sul destino della nostra casa comune, poi approfonditi e affrontati dal Papa Francesco nella Laudato si’, e ora nella recentissima Lettera Laudate Deum, e ne indica le possibili vie di soluzione nella carità e nella fraternità, su cui nuovamente insisterà così efficacemente Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti. Benedetto XVI guarda con realismo lo sviluppo della società contemporanea. Più volte parla del “tramonto della presenza di Dio dall’orizzonte degli uomini” e insiste sul suo compito, come Papa, “di condurre gli uomini verso Dio”, di parlare di Dio al mondo di oggi e nel mondo di oggi, non di un Dio qualsiasi, ma di quello che ha parlato sul Sinai e di cui Gesù Cristo ci ha rivelato il volto di Padre (Lettera ai Vescovi, 10/3/2009). Egli è convinto che l’oblio di Dio costituisca il rischio massimo per la vita stessa dell’umanità.
Ricordo ancora, come se fosse ieri, l’
omelia che pronunciò il 12 settembre 2009, quando, nella Basilica di San Pietro, conferì l’ordinazione episcopale a cinque nuovi Vescovi, tra cui c’era anche il sottoscritto. Una celebrazione memorabile! Una omelia memorabile! Egli identificò “la ferita interiore dell’uomo” nella “lontananza da Dio” e proseguì: “Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio”. In questa prospettiva non manca, infaticabilmente e con radicata convinzione, di richiamare la necessità del contributo armonico della fede e della
ragione nel cercare e trovare la strada della verità, del senso dell’esistenza umana e della sua dignità, nel distinguere il bene dal male per la salvezza della persona e della comunità umana, nel fondare il diritto e la giustizia, la convivenza nella pace. I suoi grandi discorsi pubblici rivolti ai rappresentanti della società e della politica – a New York, a Londra, a Berlino –, rimangono fra i momenti più alti della proposta di dialogo costruttivo fra il papato e il mondo contemporaneo, non solo in forza dell’autorità morale e religiosa della Chiesa, ma anche della profondità del ragionamento e dell’ampiezza delle basi culturali dell’argomentazione. Del resto, l’idea di ragione che Papa Ratzinger non si è mai stancato di proporre e promuovere, è sempre stata quella di una ragione “aperta”, capace di spaziare dalle scienze matematiche e naturali a quelle umane e sociali, alla filosofia e alla teologia; una ragione assetata di dialogo fra le diverse dimensioni e discipline del sapere e dell’arte; una ragione capace di porsi e di affrontare le domande sulla natura come quelle sull’uomo, sulla sua origine e il suo destino, senza chiudersi nel positivismo, e senza perdere nel relativismo la propria vocazione alla ricerca della verità. Non c’è dubbio che Benedetto XVI sia un maestro e un modello per l’esercizio sempre necessario del dialogo fra fede e ragione nel mondo di oggi, in tutta la sua complessità culturale e in tutte le questioni cruciali che ci propone ogni giorno. L’eredità che ci lascia non è tanto in una serie di soluzioni specifiche, quanto nel giusto atteggiamento con cui
muoverci volando alto con le due ali della ragione aperta e della fede, anche se sempre con umiltà, fatica e perseveranza. Anche per questo, contrariamente a quanto qualcuno ha superficialmente pensato, Benedetto XVI è stato e continua ad essere un esempio luminoso e coraggioso di dialogo. Le stesse difficoltà da lui incontrate a volte nei rapporti con posizioni diverse, sono state generalmente conseguenza della sua esigenza di lealtà totale, per rifiutare un dialogo fatto di accomodamenti superficiali e cercare un incontro a livello più profondo nella verità. Del resto, sono innumerevoli le testimonianze della sua disponibilità attenta e sincera all’ascolto, da parte di chi lo ha conosciuto e avuto interlocutore anche nei rapporti ravvicinati e personali. Non si trattava in nessun modo di un ascolto limitato al solo livello concettuale, ma – senza trascurarlo – si allargava alla totalità della persona, mente, cuore, esperienza vissuta, come è indispensabile per raggiungere quell’ “incontro” che Papa Francesco non si stanca di proporci.
Benedetto XVI, ultimo papa ad aver vissuto personalmente l’esperienza del Concilio Vaticano II, non solo vi ha dato un contributo importantissimo nel corso del suo svolgimento, ma anche nel corso della sua attuazione, con sguardo lungimirante, aiutandoci a vedere gli orientamenti di lungo periodo nella formulazione della missione della Chiesa nel nostro tempo, in rapporto alla cultura moderna e ai rapporti con le grandi religioni.
Nel suo pontificato non sono mancate le difficoltà. Ricordiamo in particolare il manifestarsi drammatico della crisi degli abusi sessuali da parte di membri del clero, di cui aveva già visto la gravità come cardinale prefetto e con cui dovette confrontarsi per tutto il tempo del pontificato. Lo fece con intima sofferenza, ma con umile rispetto delle vittime e della verità, orientando la Chiesa sulle vie dell’ascolto, della giustizia e del rigore, della conversione e della prevenzione, su cui il suo successore ha potuto continuare e progredire verso una soluzione sempre più adeguata di questi mali terribili. Benedetto XVI è stato un Pastore e maestro della fede. Pur avendo una conoscenza teologica vastissima e molto articolata nei diversi campi della teologia, ha saputo guidarci verso l’essenziale con ordine e chiarezza. Lo ha dimostrato con la scelta delle tre virtù teologali come argomento di tre encicliche, di cui l’ultima, significativamente, è stata ripresa e conclusa dal suo successore. Deus Caritas est. Dio è Amore. Abbiamo ricordato la preoccupazione di Benedetto per l’oblio di Dio nel nostro mondo e l’urgenza con cui si sentiva chiamato a condurci verso di lui. La parola con cui Benedetto ha aperto il suo primo e più atteso atto magisteriale, dice esattamente chi è il Dio che Gesù ci rivela, qual è la verità ultima verso cui tendono la ragione e la fede, cioè l’Amore. Non si può non essere toccati dalla piena continuità con cui i papi contemporanei vedono il cuore del messaggio cristiano per il nostro tempo – così travagliato da guerre e contese – proprio nell’amore e nella misericordia di Dio. Questi devono ispirare non solo le parole, ma tutto il servizio della Chiesa. Con profondità e finezza Papa Francesco, nell’omelia delle esequie di Papa Benedetto, ha evocato le sue parole all’inaugurazione del ministero di pastore universale: “Pascere è amare”. Questo mistero dell’Amore di Dio, che non si finirà mai di esplorare, apre alla speranza. Tutti sentiamo l’immenso bisogno di accendere e alimentare speranza di fronte alla tentazione di sfiducia e disperazione generata dai conflitti omicidi che sono continuamente sotto i nostri occhi in questa “terza guerra mondiale a pezzi”. Dai conflitti irrisolti nasce una disperazione che ne genera
continuamente di nuovi. Di fronte a questa situazione, nell’enciclica
Spe salvi Benedetto XVI non ha solo ripercorso le vicende storiche delle speranze umane e delle loro crisi, ma ha continuato a proporre la prospettiva della salvezza e della giustizia finale di Dio anche per tutte le vittime dimenticate di tutti i conflitti del mondo. L’impegno teologico e magisteriale di Benedetto XVI sui temi del destino finale e della speranza dell’uomo e dell’umanità rimarrà certamente un elemento importante della sua eredità per questo tempo assorbito in un ritmo frenetico, che rende difficile o impossibile conservare la memoria del passato e del futuro. Un anno fa, proprio nel suo discorso in occasione della consegna dei Premi Ratzinger, Papa Francesco ha evocato lo sguardo di Papa Benedetto, parlando di “quei suoi occhi contemplativi”, che negli anni dopo la rinuncia si erano sempre più fissati nelle realtà ultime. Nei nostri tempi il Signore ha fatto alla Chiesa il dono di papi non solo saggi e prudenti, ma anche virtuosi e santi, che hanno guidato il popolo di Dio anche con il loro esempio. Giovanni Paolo II ha dato una testimonianza eminente di malattia vissuta nella fede. Benedetto XVI di fragilità crescente nella vecchiaia vissuta nella preghiera. La sua eredità ha quindi diverse dimensioni preziose. Certamente quella teologica e culturale, di cui resterà solida testimonianza nella sua poderosa Opera Omnia e nel suo magistero papale, come pure quella pastorale. Ma non dobbiamo dimenticare quella spirituale, che brilla nella profondità e nella spiritualità delle sue omelie ed è giunta a compimento nella sua lunga testimonianza di preghiera per la Chiesa e di preparazione all’incontro con Dio. In realtà, già l’atto stesso della sua rinuncia al pontificato è stato una sintesi ammirabile di visione lucida e ragionevole della situazione, di responsabilità nell’esercizio del governo e di umiltà davanti a Dio e agli uomini. Esso segna certamente anche per il futuro la storia della Chiesa del nostro tempo. Ai premiati dunque e a tutti voi, il compito e l’augurio di poter proseguire il vostro servizio continuando a sentire l’ispirazione e il sostegno dell’eredità di questo grande Papa, Benedetto XVI. Grazie!